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VERSO UNA NUOVA RIFORMA DEL SERVIZIO CIVILE

Il Governo varerà prossimamente una nuova riforma del servizio civile attraverso una legge delega che si spera venga attuata entro la fine del 2010. L'articolo auspica che la riforma non sia condizionata esclusivamente da vincoli di bilancio, e che regoli meglio il rapporto Stato-Regioni e preveda controlli rigorosi nei confronti di quegli enti che sfruttano i giovani, risparmiando stipendi, grazie al sussidio erogato dallo Stato. Il servizio civile in favore degli ultimi rimane da favorire grazie alla crescita umana di coloro che lo offrono e di coloro che lo ricevono. La maggioranza dei giovani che lo hanno svolto lo giudica un'esperienza che cambia la vita.


VERSO UNA NUOVA RIFORMA DEL SERVIZIO CIVILE

da Servizio Civile

del 24 giugno 2009

La storia del servizio civile in Italia inizia con la legge n. 772 del 15 dicembre 1972 intitolata: «Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza». Si trattò di una decisione storica: per la prima volta lo Stato riconosceva ai cittadini chiamati all’obbligo del servizio militare il «diritto a obiettare» e dava la possibilità agli obiettori di svolgere un servizio civile «sostitutivo». L’approvazione della riforma, che aveva come primo firmatario l’on. Giovanni Marcora, divise il Paese. Furono immediatamente liberati circa 150 giovani che erano in carcere perché si rifiutavano di prestare il servizio militare, ma in poco tempo ci si accorse che militari e obiettori di coscienza non godevano della stessa dignità(1).

La legge imponeva allo Stato di istituire un’apposita organizzazione nazionale di servizio civile, che però non fu realizzata: inoltre l’obiezione non si configurava come un diritto soggettivo ma come un «beneficio» concesso dallo Stato a determinate condizioni e con determinate conseguenze. Alcuni obiettori impugnarono la legge davanti alla Corte Costituzionale, che tra il 1985 e il 1997 intervenne con otto sentenze per dichiarare l’incostituzionalità di varie parti di essa. La sentenza storica rimane la prima, la n. 164 del 24 maggio 1985, con la quale la Corte riconobbe pari dignità tra il servizio militare e quello civile. Entrambi i servizi furono ritenuti modi diversi per realizzare l’unico dovere di difesa della patria sancito dalla Costituzione (ex art. 52 Cost.).

Anzi, la Corte precisò che il servizio civile, allo stesso modo di quello militare, è un modo per adempiere al dovere costituzionale di difesa della patria e di quei valori comuni su cui si fonda il nostro ordinamento (2).

Il 23 aprile 1986 la Corte stabilì, con la sentenza n. 113, che l’obiettore in servizio civile non è assoggettabile alla giurisdizione militare, bensì a quella ordinaria. Tre anni dopo, il 31 luglio 1989, la Corte, con la sentenza n. 470, dichiarava incostituzionali gli otto mesi in più di servizio civile che un obiettore doveva svolgere rispetto a un militare. Nel 2004, con la sentenza n. 228, la Corte ritorna a ribadire il concetto fondamentale: secondo l’art. 52 della Costituzione il servizio civile è uno strumento di difesa del Paese, le cui caratteristiche sono quelle di essere non-violento, alternativo alle forze armate e regolato esclusivamente dalla legislazione statale (3).

Soprattutto dopo la sentenza del 1989, le domande aumentarono del 140% rispetto all’anno precedente, fino ad arrivare a un massimo di 120.000 richieste del 1999 (4).

Anche la dottrina interpretò la scelta del legislatore come un’applicazione dell’art. 11 della Costituzione, in cui l’Italia «ripudia la guerra», e un’interpretazione estensiva dell’art. 52, che non prevede l’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio. Durante la XIII legislatura (1996-2001) il Parlamento approvò la prima riforma in materia di obiezione di coscienza con la legge n. 230/1998. Due anni dopo, un’ulteriore scelta legislativa influì indirettamente sul significato stesso di «servizio civile». La legge n. 331/2000, che reca come titolo: «Norme per l’istituzione del servizio militare professionale», aboliva la leva obbligatoria istituendo le Forze armate esclusivamente professioniste.

Così, agli inizi del 2001 il Parlamento, per non fare cessare automaticamente l’esperienza del «servizio civile» con il servizio militare obbligatorio, approvò la legge n. 64 (5) che disciplina il servizio civile nazionale e ne prevede una fase transitoria. La riforma, ancora in vigore, precisa tre aspetti fondamentali: riconferma la durata di un anno; l’età dei giovani ammessi al servizio civile deve essere compresa tra i 18 e i 28 anni; il servizio dev’essere svolto presso enti e organizzazioni (amministrazioni pubbliche, enti no profit o Ong) iscritte in appositi albi (regionali o nazionali) ai quali si accede con determinati requisiti, come, ad esempio, l’assenza di scopi di lucro, capacità organizzativa, compatibilità dei fini con quelli richiesti dalla legge (6). Il 20 dicembre 2001 si è così aperta una nuova pagina del servizio civile in Italia: le prime ragazze volontarie iniziarono il servizio civile. Nel 2002 e 2003 (7) il numero degli obiettori di coscienza in servizio civile raggiunse i circa 50.000 giovani all’anno, dei quali il 90% erano ragazze (8). Infine con la legge n. 226 del 23 agosto 2004, il Parlamento, decidendo di anticipare la sospensione della leva obbligatoria al 1° gennaio 2005 (9), ha fatto sì che il servizio civile diventi esclusivamente volontario per ragazzi e ragazze.

 

 

Dalle intenzioni della legge alla sua attuazione

 

La definizione di servizio civile della legge n. 64/2001 è da considerarsi tra le più innovative e moderne in Europa. Essa definisce il servizio civile come «difesa della patria, in alternativa al servizio militare, con mezzi e attività non militari», crea le condizioni per formare «un esercito di pace», alternativo (non sostitutivo) all’esercito militare; è in sintonia con l’Agenda di Pace dell’Onu, che ha introdotto l’intervento di peacekeeping e peacebuilding di tipo civile, considerati della stessa dignità ed efficacia degli interventi militari.

Nel suo spirito la riforma ha cercato di salvaguardare l’esperienza di servizio civile legato all’obiezione di coscienza nata nel dopoguerra con poche decine di coraggiosi condannati a scontare dure pene detentive e diventa alla fine degli anni Ottanta l’esperienza di migliaia di giovani fino a raggiungere nel 1999 le 120.000 domande.

Salvaguarda anche gli enti offerenti, che da poche decine di associazioni dei primi anni Ottanta sono passati, alla fine degli anni Novanta, a oltre 3.500 Comuni abilitati, decine di Università, oltre 200 Unità Sanitarie Locali e circa 2.000 associazioni locali del Terzo settore. Come ritiene Emanuele Rossi, la legge oltre a privilegiare l’aspetto formativo dei giovani e il valore del servizio nei progetti da realizzare, permette a molti ragazzi di ripensare le proprie scelte professionali e di studio (10). La domanda che rimane aperta nel dibattito pubblico è invece la seguente: nella sua attuazione, sono stati realizzati i fini della legge n. 64/2001? L’Ufficio Nazionale del Servizio Civile e la maggior parte degli enti di servizio civile sembra abbiano ignorato le finalità che caratterizzano il servizio civile. In particolare la critica che viene fatta agli enti è quella di avere utilizzato il servizio civile come occasione di crescita, risparmiando stipendi, grazie all’intero sussidio pagato dallo Stato. Tra gli enti poi ci sono quelli classici e credibili, come, ad esempio, la Caritas; altri invece sono sorti approfittando della riforma e sono «enti service», capaci cioè di presentare progetti, proporre formazione e fornire consulenza a enti più piccoli, senza tenere conto del significato che ha nell’ordinamento il servizio civile. A questo abuso va trovato un rimedio sia legislativo sia di controllo. Inoltre il nuovo servizio civile rischia di essere considerato, sopratutto nelle Regioni meridionali — in cui, solamente in Calabria, Campania, Sicilia e Puglia si concentrano il 70% dei ragazzi che prestano servizio — come un lavoro sottopagato, pari a 433,80 euro al mese.

Da un recente rilevamento emerge che la maggior parte dei giovani che sceglie il servizio civile — attualmente il 70% sono ragazze — non è motivato a vivere «una difesa alternativa» di servizio agli ultimi, ma piuttosto a svolgere un’esperienza di servizio nel campo artistico o della protezione dell’ambiente. In più, essendo il servizio risarcito dallo Stato, è considerato un mezzo per mantenersi e per continuare a studiare all’università. A questo riguardo Cristina De Luca, già sottosegretario con delega al servizio civile, ritiene che «la crescita nella cittadinanza attiva che si propone il servizio civile deve saper comprendere tutti i problemi della società di oggi, privilegiando l’attenzione agli ultimi. Ma per far questo è necessario che gli enti e lo Stato promuovano tale tipo di cultura».

Quanto al rapporto tra enti e le differenze storiche e culturali tra esse si chiede: «Quali sono i rapporti tra questi mondi? […] quali stimoli per gli enti storici di servizio civile arrivano dalle nuove forme di promozione di servizio civile? Quanto gli enti locali hanno capito dell’idea di servizio e quanto usano realmente i ragazzi per far compiere loro un’esperienza di cittadinanza?» (11).

Lo Stato, che ha la competenza esclusiva per regolare il «servizio civile nazionale», ha cercato di occuparsi di questa difesa alternativa (chiamata «difesa civile non armata e non-violenta» dalla legge n. 230/1998) istituendo con un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2004 un Comitato consultivo con la disponibilità di 400.000 euro, ma i risultati sono stati scarsi e deludenti. Davanti a questo dato ci chiediamo se non sia il caso di rifondare l’esperienza del servizio civile nazionale.

Inoltre interpretando la riforma con un risvolto utilitarista si sta cambiando radicalmente la natura del servizio civile legato all’obiezione di coscienza. La cultura della difesa popolare e non-violenta, la scelta, presa davanti alla propria coscienza, di non abbracciare le armi per costruire una cultura di pace attraverso il dialogo e la mediazione, non sono più le ragioni di coloro che svolgono il «nuovo» servizio civile. Non a caso la critica più dura alla legge è rivolta da coloro che hanno prestato servizio civile come alternativa al servizio militare. Sono essi a chiedere di finalizzare con maggiore chiarezza il servizio civile al servizio di una cultura contraria alla guerra e impegnata a favore del disarmo, in grado di ridurre gli armamenti e preparata nella mediazione pacifica dei conflitti. La riforma del 2001 ha permesso una trasformazione del servizio civile dal regime di obbligo a quello di libera opzione che, secondo Giancarlo Salvoldi, «può creare equivoci essendo il volontariato una prestazione libera, gratuita ed esente da ogni sorta di benefici e di vantaggi. Il giovane che vorrà svolgere il servizio civile, invece, lo farà sì volontariamente, ma sarà soggetto a una sorta di contratto di lavoro con obblighi e benefici, oltre alla relativa retribuzione […], per affermare che la libera scelta dovrà contribuire a elevare la qualità del servizio» (12).

Antonino Drago, docente di Strategie di difesa popolare non-violenta all’Università di Pisa, si chiede se per lo Stato debba essere annullata l’esperienza di crescita democratica degli 800.000 obiettori, alcuni dei quali negli anni Settanta hanno affrontato la prigione e poi costruito un servizio civile nazionale come prova di politiche di pace e di servizio concreto agli ultimi fondato sull’alternativa alla difesa armata (13). Ci chiediamo inoltre se la privatizzazione dell’esperienza del servizio civile da parte della maggioranza degli enti non stia svuotando le finalità pubbliche che giustificano i rimborsi statali.

 

 

Riscoprire le ragioni del servizio civile

 

Il 28 marzo scorso Benedetto XVI, ricevendo circa 7.000 giovani del servizio civile nazionale, insieme al sottosegretario con delega al servizio civile Carlo Giovanardi, ha ribadito il senso autentico del servizio civile. Si tratta di uno dei discorsi più significativi pronunciati da un Papa sul tema della non-violenza, non tanto per le dichiarazioni di principio, quanto per i risvolti concreti nella pratica sociale. Ai giovani in servizio civile ha chiesto di essere «sempre e dappertutto strumenti di pace, rigettando con decisione l’egoismo e l’ingiustizia, l’indifferenza e l’odio» per costruire «la giustizia, l’uguaglianza la libertà, la riconciliazione, l’accoglienza, il perdono in ogni comunità». Si tratta di una scelta possibile attraverso la conversione dei cuori, vivendo lo stile dell’accoglienza e del perdono.

«Questa è la via indicata da Gesù […] che non è venuto a portare la pace nel mondo con un esercito, ma attraverso il rifiuto della violenza.

Lo disse esplicitamente a Pietro, nell’orto degli Ulivi: “Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno” (Mt 26,52); e poi a Ponzio Pilato: “Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”». Poi ha precisato:

«È la via che hanno seguito e seguono non solo i discepoli di Cristo, ma tanti uomini e donne di buona volontà, testimoni coraggiosi della forza della non-violenza». Ricorda che nella Gaudium et spes, il Concilio ha affermato: «Noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità» (n. 78).

Ai Governi poi ha ribadito che «la corsa agli armamenti alla quale si rivolgono molte nazioni non è la via sicura per conservare saldamente la pace». Anzi, «la corsa al riarmo è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri». Verso una nuova riforma

 

 

Una nuova riforma del servizio civile è prevista entro il 2010.

 

Il tavolo tecnico istituito dal Governo il 29 novembre 2008 ha prodotto una bozza di riforma, ora al vaglio degli uffici giuridici della Presidenza del Consiglio, poi della Consulta del servizio civile e della Conferenza Stato-Regioni. Il percorso della nuova riforma è quello della legge delega prevista entro il mese di giugno di quest’anno come emendamento sul welfare, e da una serie di decreti delegati del Governo che dovrebbero essere emanati entro la fine del 2010. Le ragioni dell’urgenza di una nuova riforma sono legate ai seguenti motivi: i tagli di spesa previsti dalla finanziaria; la ridefinizione del rapporto tra Stato e Regioni e la loro compartecipazione ai finanziamenti nel gestire il servizio; la conferma del principio della cittadinanza attiva; la definizione del contingente annuo dei volontari; la fissazione di un nuovo accreditamento per la selezione degli enti.

I fondi previsti diminuiranno sensibilmente: dai 211 milioni di euro del 2009 passeranno a 171 milioni per il 2010 e a 121 milioni per il 2011. Le 38.000 unità in servizio sono dovute diventare 25.000 quest’anno, mentre i progetti previsti e approvati prevederebbero circa 100.000 unità in servizio (14). Tra i nodi maggiori della riforma rimane il difficile rapporto fra Stato e Regioni, che nella pratica hanno spesso organizzato un servizio civile parallelo a quello dello Stato. Sia per la ripartizione dei fondi che venivano divisi per il 60% allo Stato e per il 40% alle Regioni, sia per un maggiore coordinamento, è necessario prevedere una unitarietà del servizio evitando duplicazioni e frammentazioni di esperienze sul territorio.

L’esperienza di questi ultimi anni dimostra come il servizio civile sia una risorsa rilevante per lo sviluppo delle politiche sociali, soprattutto in ambito assistenziale e un’opportunità sia per le politiche ambientali sia per quelle di cooperazione internazionale.

In un’indagine dell’istituto di ricerca Doxa presentata a Firenze il 18 maggio 2007, risulta che l’82% degli italiani è favorevole al servizio civile volontario, mentre il 45% degli italiani lo istituirebbe obbligatorio per tutti i giovani per la durata di sei mesi. Se si ritiene il servizio civile un’esperienza di formazione personale e un valore aggiunto per la società, allora il criterio della riduzione dei costi non deve essere l’unico che animi la riforma.

Ma c’è di più. Il progetto di legge modificherebbe anche le leggi precedenti, in modo da cambiare le finalità dichiarate finora. Se sarà finalizzato al solo «coinvolgimento dei giovani nell’adempimento del dovere di difesa della patria», si tratterebbe di un cambiamento semantico importante. Il solo «coinvolgimento», che non è «adempimento», assocerebbe il servizio civile a un volontariato retribuito, a cui sono favorevoli quegli enti che hanno privatizzato l’esperienza; inoltre si escluderebbe ogni progetto teso a formare una forza di difesa della patria, in alternativa ai militari, annullando quei valori che il Papa ha ricordato nella sua udienza.

Più in dettaglio l’analisi della proposta del Governo riguarda la riduzione dell’orario minimo settimanale (tra le 20 e le 36 ore per almeno quattro giorni consecutivi), con una conseguente e proporzionale decurtazione dell’assegno mensile; la riduzione della durata minima dei progetti compresi tra i sei e i nove mesi; la richiesta di co-finanziamento da parte di Regioni ed enti che realizzano i progetti; l’introduzione di meccanismi che favoriscano la mobilità interregionale dei giovani; la fissazione di un minimo di 40.000 giovani da avviare annualmente al servizio. Tali ipotesi, secondo Fabrizio Cavalletti, responsabile del Servizio civile della Caritas, «evidenziano un approccio limitato […]; il valore dell’esperienza, anche sul piano educativo, non è infatti indipendente dalla sua consistenza e durata. Una peculiarità propria del servizio civile, che giustifica l’incentivo economico, è la richiesta di un impegno che vada oltre il tempo libero, altrimenti si invade il campo del volontariato. Quanto all’introduzione del criterio di proporzionalità tra assegno mensile e orario settimanale, essa avvicina il servizio civile alle forme di collaborazione lavorativa, e ciò ne accredita una rappresentazione distorta: l’assegno mensile non è una remunerazione del lavoro svolto, ma un modo per garantire al giovane una certa autonomia e permettere a tutti, senza distinzioni di censo, di svolgere l’esperienza. Infine il co-finanziamento, da parte degli enti, dell’assegno mensile rischia di accentuare l’uso improprio dei giovani in servizio come sostituti di personale» (15).

Nel valutare globalmente la nuova riforma riteniamo che sia necessaria una seria analisi delle qualità del sistema e dei bisogni del Paese, partendo dai pronunciamenti della Corte Costituzionale, dall’investimento nella formazione umana dei giovani 16, oltre che dagli aspetti più tecnici su cui ci siamo già espressi. In proposito condividiamo le proposte della Caritas che, grazie alla sua esperienza nel campo del servizio civile, chiarifica i punti su cui dovrebbe strutturarsi la nuova riforma:

a) riconoscere il servizio civile come scelta libera e responsabile della persona e come contributo alla costruzione della cittadinanza;

b) ribadire che la difesa della patria in modo non-violento e alternativo alla difesa armata si coniuga con lo svolgimento di servizi;

c) riaffermare la competenza dello Stato affinché il servizio civile riguardi le libertà civili, la cittadinanza e la difesa della patria;

d) prevedere una competenza regionale nella programmazione, nel monitoraggio e nella verifica;

e) definire l’ente no profit o ad esso equiparato (diocesi, parrocchie, enti religiosi e laici) come soggetto che gestisce i progetti di servizio civile. Permettere inoltre che il Comune intervenga nella gestione in collaborazione con enti del privato sociale soltanto quando mancano progetti di servizio civile per i giovani del proprio territorio in base al principio di sussidiarietà. Affidare ai Comuni il compito del coordinamento, dell’informazione e della promozione del servizio civile sul territorio;

f) prevedere un fondo nazionale di solidarietà per il servizio civile, riconosciuto per il versamento dell’otto per mille dello Stato e per ogni altra forma di versamento legale;

g) stabilire che possano svolgere il servizio civile tutte le persone residenti da almeno due anni sul territorio nazionale o presenti per ragioni di studio e di salute;

h) prevedere che le ore minime settimanali non siano inferiori a 25, da svolgere in 5 giorni alla settimana per la durata di un anno;

i) ritenere che il servizio civile nazionale sia considerato come una scelta riconosciuta dallo Stato, riscattabile senza costi in termini previdenziali.

La riforma non dev’essere condizionata esclusivamente da vincoli di bilancio, ma deve tener conto dell’investimento umano e del capitale sociale che potrebbe promuovere. Il progressivo incremento numerico è una spia positiva nella crescita civica del nostro Paese: dall’impiego di 180 donne e 1 uomo, impegnati in 4 enti di Terzo settore e un Comune nel 2001, si è passati, nel 2002, a 7.865 volontari avviati in servizio presso 811 progetti. Nel 2003 i progetti salirono a 2.023 con 22.743 giovani in servizio. Nel 2004 il servizio è stato svolto da 32.211 volontari impiegati in 2.970 progetti. Nel 2005 il numero di volontari è cresciuto a 45.175 unità per 3.451 progetti; attualmente invece sono in servizio 27.000 giovani, la cui età media è di 23 anni. Sono essi a dichiarare che il servizio svolto è determinante per ripensare i propri studi e le proprie scelte di vita. Una grande percentuale di essi continua a svolgere volontariato negli enti del loro servizio, altri cercano lavoro nell’area in cui hanno svolto il servizio. Tra tutti i servizi possibili, rivolti alla promozione culturale e svolti dal 51% dei ragazzi in servizio, alla tutela del patrimonio artistico (9,4%) e all’ambiente (11,4%), ci sembra importante che la riforma privilegi il servizio agli ultimi (anziani, disabili, tossicodipendenti, minori, carcerati ecc.), scelto da 26 ragazzi su 100, per favorire la più alta e nobile forma di crescita umana e spirituale sia per coloro che lo offrono sia per coloro che lo ricevono. Riaffermare il corretto spirito ispiratore del servizio civile nazionale ricordato da Benedetto XVI sarà pertanto l’opportunità concreta per continuare a dare senso allo slogan scelto dalla Caritas: «Il servizio civile: cambia la vita tua e quella degli altri».

 

 

 

 

1 La legge prevedeva che il Ministero della Difesa avesse il potere di respingere la domanda di obiezione, sentito il parere di una Commissione chiamata a stabilire la sincerità delle motivazioni addotte dall’obiettore; la legge non precisava i tempi per l’espletamento delle formalità burocratiche da parte dell’Amministrazione della Difesa; la durata del servizio civile era di otto mesi più lunga del servizio militare; la gestione del servizio civile era affidata al Ministero della Difesa; addirittura erano previste per lo stesso reato pene più severe per gli obiettori rispetto ai militari.

2 Cfr Sentenza n. 164/1985 (in www.cortecostituzionale.it/) . In questa sentenza si stabilisce che l’obiettore in servizio civile alternativo non viene meno al «sacro dovere» di difesa della Patria (Cost., art. 52, comma 1); infatti non è il servizio militare armato a costituire «un dovere di solidarietà politica inderogabile per tutti i cittadini», bensì «la difesa della Patria, cui il servizio militare obbligatorio si ricollega». Il servizio civile sostitutivo, secondo la Corte Costituzionale, «non si traduce assolutamente in una deroga al dovere di difesa della Patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato». Nella sentenza si precisa anche che deve essere lo Stato a disciplinare il servizio civile nazionale e non le Regioni, che invece la ritenevano materia di propria competenza. Emanuele Rossi sottolinea come la linea di confine individuata dai giudici sia la seguente: «Mentre il servizio civile nazionale è finalizzato (prioritariamente) alla difesa della Patria, quello invece regionale può essere istituito e promosso per il perseguimento dell’ampia finalità di realizzazione del principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione» (E. ROSSI, «Servizio civile e difesa della Patria. Una prospettiva di solidarietà e di pace», in Aggiornamenti Sociali, 2007, n. 4, 271).

3 In particolare la Corte ha affermato che «il dovere di difendere la Patria deve essere affermato alla luce del principio di solidarietà». In altre parole il dovere di difendere il Paese può essere adempiuto non solamente pensando alla difesa militare ma anche a un servizio di pace fondato sui princìpi fondamentali del nostro ordinamento.

4 Il 16 gennaio 1992 il Senato approvò a larga maggioranza il testo definitivo della riforma della legge n. 772/1972 già approvata dalla Camera, ma il 1° febbraio il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, rinviò la legge alle Camere. Il giorno dopo, sciolse il Parlamento e per l’approvazione di una nuova legge ci vollero altri sei anni.

5 La nuova legge (n. 64/2001) riconosce l’obiezione di coscienza come diritto soggettivo; elimina il potere di controllo da parte dello Stato sulla fondatezza delle motivazioni di coscienza; sottrae la gestione del servizio civile al Ministero della Difesa e costituisce un ufficio ad hoc presso la Presidenza del Consiglio togliendo tutte le competenze al Ministero della Difesa; riduce i tempi di attesa; permette di prestare servizio all’estero; introduce per gli enti l’obbligo della formazione; istituisce una consulta nazionale rappresentativa di enti e obiettori; prevede campagne informative da parte dello Stato; introduce la possibilità di sperimentare forme di difesa popolare non-violenta.

6 Dopo l’approvazione dei progetti, gli enti provvedono alla selezione dei giovani interessati: quanto al tipo di rapporto giuridico, il decreto prevede la stipulazione di un «contratto», che non è un contratto di lavoro, da sottoscrivere da parte del giovane e dell’Ufficio nazionale, nel quale viene indicato il trattamento economico e giuridico, le norme di comportamento alle quali deve attenersi il volontario e le relative sanzioni. Ma c’è di più. Il servizio civile prestato arricchisce il curriculum di coloro che lo svolgono, che «è valutato nei pubblici concorsi con le stesse modalità e lo stesso valore del servizio prestato presso enti pubblici», e viene riconosciuto anche con crediti formativi.

7 Nel 2003 nasce dal mondo ecclesiale italiano il «Tavolo ecclesiale sul servizio civile» (Tesc) con il fine di collegare e coordinare l’educazione dei giovani al servizio civile, alla non-violenza, alla cittadinanza e alla salvaguardia del creato. Esso è stato voluto dalla Caritas Italiana, dall’Ufficio Nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, dall’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria fra le Chiese, dal Servizio Nazionale per la pastorale giovanile, dalla Fondazione Migrantes e dall’Azione Cattolica Italiana. Dal luglio 2006 hanno aderito al progetto altre associazioni come, ad esempio: Acli, Agesci, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Centro Sportivo Italiano, Focsiv, Servizio Civile Salesiani, Compagnia delle Opere. Il Tesc promuove due iniziative: celebra la Giornata nazionale di san Massimiliano di Tebessa (patrono degli obiettori di coscienza) il 12 marzo di ogni anno. L’altra è la gestione di un sito sul servizio civile (www.esseciblog.it), come strumento di informazione e condivisione sui temi legati al servizio civile.

8 I dati della Caritas nazionale indicano che nel 2001 su 396 posti messi a bando sono stati avviati 179 volontari per 19 progetti; nel 2002 su 13.485 posti messi a bando sono stati avviati 5.191 volontari per 1.488 progetti; nel 2003 su 27.085 posti messi a bando sono stati avviati 17.930 volontari per 2.085 progetti.

9 Nel dicembre 2004 gli ultimi obiettori di coscienza iniziarono il loro servizio civile di dieci mesi.

10 Cfr E. ROSSI, «Servizio civile e difesa della Patria. Una prospettiva di solidarietà

e di pace», cit., 272 s.

11 C. DE LUCA, «Il servizio civile tra Stato e Regioni: bilancio e prospettive», in Il servizio civile tra Stato e Regioni. Bilancio e prospettive a cinque anni dalla legge n. 64/2001, Pisa, Plus, 2007, 11.

12 G. SALVOLDI, Per non imboscare le coscienze. Il nuovo servizio civile, Brescia, Queriniana, 2002, 19 s.

13 Cfr A. DRAGO, Difesa popolare nonviolenta, Torino, Egea, 2006. ID., «Per un’etica del servizio civile. La difesa popolare non-violenta e l’economia di pace», in Rivista di Teologia morale, 2006, n. 149, 59-73.

14 Cfr Presidenza del Consiglio dei ministri, Ufficio nazionale per il servizio civile (www.serviziocivile.it/).

15 F. CAVALLETTI, «Servizio da riformare, non si pensi solo ai costi», in Italia Caritas,

marzo 2009, 19.

16 Nel 2002, alla luce della nuova legge n. 64/2001, i vescovi italiani si pronunciarono sul servizio civile, offrendo precise indicazioni. Il Consiglio Episcopale Permanente nella riunione del 16-19 settembre 2002, con una Nota, invitava a valorizzare il servizio civile, non più come alternativa agli obblighi di leva, ma come proposta a cui possono aderire liberamente i ragazzi e le ragazze connessa alla riforma del modello di difesa del nostro Paese. Inoltre è stato confermato alla Caritas il mandato a coordinare il servizio civile con queste parole: «In questi anni, attraverso la scelta dell’obiezione di coscienza e il Servizio Civile, è stata intessuta una trama di relazioni tra Chiesa, giovani e territorio che ha consentito di realizzare, sin dal 1974, cammini di crescita umana e cristiana e di produrre significative esperienze di solidarietà. I vescovi intendono valorizzare tale preziosa eredità e hanno invitato la Caritas italiana a ridefinire il quadro entro cui costruire il nuovo Servizio Civile ribadendone alcune coordinate: la formazione della persona; la scelta preferenziale per le situazioni di povertà e di emarginazione; la diversificazione delle proposte secondo gli interessi e le prospettive dei giovani; il rilancio dello stesso Servizio Civile come contributo al bene comune; l’attenzione alle situazioni locali e a quelle dei Paesi più poveri o in guerra».

 

© La Civiltà Cattolica 2009 II 498-508

Francesco Occhetta S.I.

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