Il libro di Tobia è la parabola della vita quando è vissuta come ricerca e scoperta del progetto di Dio su di noi, viaggio con le sue luci e le sue ombre, attraverso i vari stati d'animo che attraversano ogni persona chiamata, tra alti e bassi, fino a sfociare nella benedizione rivolta a Dio per la grazia della vocazione ricevuta, qualunque essa sia.
Riprendiamo il libro di Tobia, che ci racconta la storia vocazionale non solo di Tobia, ma di altri personaggi che ruotano attorno a lui, a cominciare dal padre Tobi per finire alla moglie Sara. Ma con un altro personaggio che sembra entrare per caso nella vicenda, e invece alla fine emerge come soggetto determinante e decisivo: il “fratello Azaria”, che è poi l’angelo Raffaele.
Ma vediamo con ordine.
Dall’angoscia alla benedizione
Il libro di Tobia è dominato da due sentimenti molto contrastanti tra loro: all’inizio una grande angoscia pervade ogni sua pagina (il contesto dell’esilio, le lacrime di Tobi, l’angustia di Sara…), poi, progressivamente, la ripresa, la speranza di Tobi, credente ostinato, il viaggio di Tobia con Azaria-Raffaele, le guarigioni di Sara e Tobia, il matrimonio e il ritorno di Tobia… L’angoscia si trasforma in benedizione e – come in un crescendo – si moltiplicano inni di lode e rendimento di grazie all’Eterno da parte di tutti. Lo benedice il vecchio Tobi, anche quando è nella prova ma soprattutto quando rivede e riabbraccia il figlio; lo benedice Tobia, nella prima notte assieme a Sara e prima di morire; lo benedice e invita a benedirlo l’angelo. Ben 17 volte Dio è bene-detto nei 14 capitoli del libro!
È la parabola della vita quando è vissuta come vocazione: nonostante fatica e tensione, di fronte al progetto del Creatore che si compie nella storia del chiamato e fa trionfare il bene sul male, la vita sulla morte, la luce sulle tenebre, la creatura non può non bene-dire l’Autore del bene, della vita, della luce nella sua vita.
Lo smarrimento della preghiera di benedizione è segnale preoccupante dell’incapacità odierna di leggere la vita come storia di una vocazione (e forse anche una delle cause).
L’angelo accompagnatore
È la figura decisiva, dicevamo, quella che dà una svolta alla vicenda di Tobi e Tobia. Non sarebbe infatti possibile il lungo viaggio di Tobia senza Raffaele, così come il suo matrimonio e la guarigione di Tobi.
Come non vedere in questa figura l’immagine ideale del direttore spirituale vocazionale, del fratello maggiore che si pone accanto al fratello minore per un certo tratto di vita, con la funzione di condurlo alla scoperta e poi alla realizzazione del progetto vocazionale?
Raffaele, infatti, presenta molte caratteristiche nel suo modo di essere e agire nelle quali possiamo agevolmente riconoscere questa figura così centrale nella pastorale vocazionale.
Anzitutto è lì, mandato da Dio, si fa trovare subito da Tobi, e con una totale disponibilità ad accompagnarlo lungo questo incerto cammino. Un bravo padre spirituale non si fa pregare, sente l’accompagnamento dell’altro come espressione del tutto naturale, non straordinaria, del suo essere credente che vuole vivere con responsabilità per gli altri la propria scelta vocazionale. La crisi vocazionale, non ci stancheremo di ripeterlo, è crisi di padri e madri spirituali prima di tutto. Tobi vuol sapere se Azaria conosce la strada: “Certo, parecchie volte sono stato là e conosco bene tutte le strade” (5,6). È la condizione fondamentale di un buon padre spirituale: aver fatto prima lui l’esperienza di essere diretto, e non solo, ma conoscere bene per esperienza personale la via faticosa che conduce alla conoscenza di sé, dei propri dèmoni…; ma anche alla conoscenza di Dio, della sua voce sottile come brezza di vento leggera, voce che chiama ogni giorno. Come potrebbe accompagnare un altro ad ascoltare questa voce se lui stesso non ha prima imparato a riconoscerla? Raffaele segue Tobi passo passo, anzi, condivide con lui il cammino, lo rincuora e incoraggia, ma al tempo stesso lo guida, dandogli indicazioni precise su come utilizzare, ad esempio, certe parti del pesce e come affrontare Raguele. Così il vero padre dello spirito: fa un tratto di strada assieme al giovane in ricerca, lo sostiene e sprona, non è il consulente occasionale, ma nemmeno il semplice amico che si pone al suo stesso livello. È vero e proprio padre nello spirito, con tutta la responsabilità e autorità che ne deriva di dare indicazioni chiare, di progettare le tappe del percorso, per arrivare a scoprire e accogliere la voce di colui che chiama. Raffaele in ebraico significa “Dio guarisce”; e proprio questo fa Raffaele, liberando Sara dal demone omicida e Tobia dalla cecità tenebrosa. Anche il direttore spirituale deve in qualche modo portare a una liberazione-guarigione dei sensi esterni e interni del giovane, da tutto ciò che lo rende sordo e muto e cieco, incapace di contatto con Dio, insensibile alla sua chiamata, pauroso del suo progetto. In realtà Raffaele rimane sempre defilato, manda avanti Tobia a compiere le stesse guarigioni, solo alla fine si svela, quando sparisce. E ci insegna che un coerente padre spirituale non si sostituisce mai all’altro, non sceglie al suo posto, rispetta con rigore la sua libertà e semmai la provoca ad agire e scegliere senza avvitarsi in discernimenti infiniti. L’obiettivo del “padre” è quello di rendersi progressivamente inutile, di tirarsi in disparte per lasciare che il “figlio” scelga da credente, divenendo così adulto nella fede, capace un domani di generare nuovi figli.
Vocazione nuziale
Punto culminante del libro è il matrimonio di Tobia e Sara: un matrimonio che sembrava impossibile e che giunge al termine di vicende tortuose, ma benedetto da Dio.
È un’altra immagine vocazionale, della vocazione oggi maggiormente in crisi: la chiamata al matrimonio. Tobia e Sara che pregano prima di unirsi nella loro prima notte, sono l’esempio della coppia che vive il matrimonio come chiamata, come benedizione, come compimento del piano delle origini, come somiglianza con Dio. Mistero grande!
Amedeo Cencini
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