XII. Invisibile è il mio regno

ma te, mia sposa, voglio innalzare davanti agli occhi degli uomini, visibile al punto che nessuno può evitare di vedere. Ti voglio innalzare come il serpente di bronzo nel deserto, come la roccia contro la quale l'inferno si sfracella, come il monte Tabor sulla cui cima sta la nube splendente, e come la croce che getta la sua ombra sui paesi del mondo...

XII. Invisibile è il mio regno

da L'autore

del 29 gennaio 2009

ma te, mia sposa, voglio innalzare davanti agli occhi degli uomini, visibile al punto che nessuno può evitare di vedere. Ti voglio innalzare come il serpente di bronzo nel deserto, come la roccia contro la quale l’inferno si sfracella, come il monte Tabor sulla cui cima sta la nube splendente, e come la croce che getta la sua ombra sui paesi del mondo, la croce che è lo stemma della mia vittoria nella sconfitta. Voglio innalzarti con fondamenta di ferro, e la tua figura deve essere un segno di riconoscimento che io mi elevo un monumento sulla terra. Tu sarai per me una testimonianza fino ai confini del mondo, testimonianza che io c’ero, e non ti abbandonerò fino alla fine dei tempi. Tu sarai un segno di contraddizione in mezzo ai popoli, e nessuno bisbiglierà il tuo nome, o chiesa, senza rabbrividire. A tuo riguardo gli spiriti si divideranno, perché molti ti ameranno e vorranno dare tutto per te, ma molti assai ti odieranno, e tra di loro congiureranno di non voler darsi pace finché non ti abbiano eliminata dalla faccia della terra. E ti disprezzeranno, come tranne me mai qualcosa è stata disprezzata sulla terra, solleveranno serpi per poterti sputare in viso, ripuliranno sul tuo vestito il fango delle loro scarpe, vorranno dipingere su tutte le pareti la caricatura del tuo mistero, nelle osterie canteranno di te luride canzoni e si torceranno dal ridere. Ti metteranno alla berlina e dopo averti legata e averti tappata la bocca ti copriranno di ogni volgarità di cui poi dovrai ripulirti. Nulla si lascerà intentato per renderti sospetta, e ogni tua mancanza verrà gonfiata all’infinito. Avrai molto filo da torcere e dappertutto dove apparirà una strada passabile ci sarà di lì a poco un precipizio o uno sbarramento, oppure un muro: impossibile! Dovrai vivere sulla terra e tuttavia non trovare nessuna patria, renderti familiare con tutti i costumi e i malcostumi dei popoli e con tutte le miserie e i bisogni degli uomini; ma gli uomini avranno cura perché tu presso di loro non abbia a diventare familiare e fidata. Ti faranno sentire che tu rimani la straniera nella casa, nel migliore dei casi tollerata, mai veramente amata. In qualunque modo tu cercherai e ti presenterai, loro non saranno contenti. Se tu ti rendi simile a loro, ti disprezzeranno; ma se ti ritrarrai, essi diranno: guardate, essa stessa non sa dove sta di casa, lascia che combiniamo tutto per sterminarla una volta per tutte. Per un tratto di tempo potrà sembrare che ti venga riservata della felicità e del successo, si schiereranno intorno al tuo stemma e prenderanno dimora delle grandi cattedrali, la tua parola sarà un alimento per essi, e le tue benedizioni illumineranno la loro vita, poi però sarà come se i bambini crescessero del latte del tuo petto: i più furbi si libereranno dai tuoi legami celesti e attraverso i secoli andrà gonfiandosi la lavina della decadenza, finché irrefrenabili le masse, trascinate dalla irresistibilità di questa piega verso la terra, lasceranno il tuo ovile. Tu che volevi radunare l’umanità, per offrirla a me come un unico frutto nella coppa votiva della tua preghiera, ecco, ora ti trovi senza foglie come un albero in autunno, nessuna messe viene raccolta, e il comando della missione che ti arde nel cuore è ancora più inadempiuto che non nel primo giorno in cui ti sei mossa. Allora tutto era ancora possibile in mezzo alle interminabili tenebre dei pagani: una luce era sorta e tutti i visi si volsero involontariamente verso quella novità. Ma ora il tuo canto sembra diventare un organino da strada, dove tu appari lungo la via si chiudono tutte le finestre, e ciò che le orecchie percepiscono controvoglia suscita soltanto fastidio e noia infinita. Non puoi più coprire la vergogna di esserti definitivamente giocata l’occasione. li bisogno potrà riempire qualche tua chiesa sforacchiata. Ma aspetta pure i giorni della prosperità: sarai più dimenticata di un cadavere morto da mill’anni. Non hai conosciuto i segni dei tempi. li fiume rapinoso dell’amore, scatenato una volta da te sopra il mondo assetato - alzò lo schiavo il suo occhio disperato, le donne scossero i loro veli, tutti gli oppressi sentirono il soffio di una sovrumana misericordia - ora è arginato, avaramente misurano questi funzionari dentro urne e istituzioni ben distribuite l’unguento prezioso della mia grazia. Di sughero è diventata la corteccia dell’albero che prima fioriva selvaggio; così casalinga sei diventata che perfino le torri della decadenza del tempo e le scosse della persecuzione contro le tue porte e finestre appena riescono a svegliarti dal sonno, e uno schiaffo in faccia ti strappa appena un sorriso imbarazzato. La vergogna ti copre e ricopre, in modo tanto più bruciante in quanto tu lo neghi, e fai come se non te ne accorgessi.

Così tu sei qui, mia sposa, come un segno sopra i popoli, a cui si addita: molto noto ma poco amato. li tuo venir meno ricade su di me, poiché per causa tua anche il mio nome viene bestemmiato in mezzo ai popoli. Qualcuno che mi ha cercato con cuore sincero si fermò spaventato sulla strada quando improvvisamente ti vide e si girò. E qualcun altro che vide come vivono stancamente i tuoi fedeli, quanto poco essi abbiano l’aspetto di salvati, come miseramente la fiamma dei loro cuori soffoca sotto la cenere, come severamente giudicano nel mondo mentre essi stessi sono segretamente pieni di mondo, si è voltato deciso verso l’innocenza pagana. Non il tuo amore che vince il mondo è diventato lo scandalo per loro - questo è lo scandalo che dovresti suscitare per essi - ma la tua tiepidezza e la tua inguaribile mancanza di amore. Dovresti essere per gli uomini il simbolo dell’unità fra me e il Padre, e per questo io ti ho mandato il nostro Spirito Santo, il vincolo dell’amore che unisce e ti ho fondata sull’unità onnicomprensiva del battesimo, della dottrina e dell’ininterrotta successione da Pietro a Pio XII[1]. La tua natura stessa è l’unità, e ognuno dei contrassegni ai quali ti si riconosce e in forza dei quali tu puoi distinguerti, è pur sempre l’unità. E poiché io stesso metto in te quest’unità e questo inestinguibile marchio ti ho impresso, poiché sono entrato in te con il mio Spirito e ti muovo da dentro come il tuo stesso cuore verso l’unità, perciò non ti riuscirà di cadere da quest’unità. Ma continuamente tu sei in ribellione contro te stessa, nessun popolo è più lacerato e così dal profondo attraversato da discordie del tuo; ognuno in te, che riveste un ufficio, cura una missione, amministra un incarico è di continuo incline a concepire la parte che egli è come il tutto, a considerare la piccola ruota che lui muove come la forza che muove il tutto, l’inutile servizio che lui fa come indispensabile. Membri siete voi tutti e come membri dovreste integrarvi servendovi a vicenda, riconoscenti del fatto che quanto voi non avete ce l’hanno i vostri fratelli. Nell’amore che non cerca il proprio possesso possedereste allora il tutto. Giacché il tutto sono io, io che sono il capo del corpo e la sua anima che unifica. Ma litigando attraverso tutti i secoli per i posti migliori, voi lacerate e stracciate di continuo il mio corpo, e se non vi riesce di strappare un membro intero, un intero paese dalla comunione della mia chiesa, se nella vostra cieca superbia non riuscite a porre accanto alla mia vera casa una nuova setta, oltre a più di decine di migliaia di altre, voi cercate pur sempre, da scavatori insaziabili, di rodere le mura come topi dall’interno e di ribaltarne come talpe il fondamento.

In proverbio è passata l’invidia dei vostri preti e in divertimenti le controversie tra i vostri ordini, le rivalità delle vostre associazioni. Ognuno ritiene che il suo limitato programma è il migliore, è l’unico vero, e così i membri si disarticolano e il mio sangue santificante non scorre più attraverso di essi. Assai prima che una parte nuova della casa precipiti, anzi prima che un nuovo scisma venga sigillato, si sono indurite all’interno le linfe dell’amore, ed eresie nascoste e peccati divoratori hanno reso inevitabili cose terribili.

Con te, mio corpo, io combatto la grande, l’apocalittica battaglia in continuazione. Ciò che rimane lontano da me e dal mio cuore è carne sorda perduta in se stessa; non mi è difficile salvare simili cose; non si difendono, si lasciano trarre a suo tempo dentro il gregge. Ciò che invece sta più vicino, ciò che appartiene al mistero d’iniziazione del mio corpo, tutto ciò ha ricevuto il mio spirito, è sveglio e

può decidersi in libertà. Sa veramente cos’è quello che si chiama peccato. Così io stesso mi trovo in pericolo dentro il mio corpo, dentro di me sta in agguato il nemico mortale, mi sono nutrito una serpe nel seno, un verme che non muore. Anche qui sono diventato simile a voi, così che, a quel modo che la tentazione sale dalla vostra propria carne, così mi assale dalla mia carne la più profonda minaccia. Lo spirito è vigile e forte, ma la carne è debole, e là dove lo spirito confina con la carne è vulnerabile, collude con la debolezza.

Là esso ha da sempre corroso se stesso e si è buttato via; giacché se non ci fosse della carne in lui, come potrebbe fare con la carne un unico essere? Dunque là dove io, il forte Dio, ho corroso me stesso per te, mio corpo, mia chiesa, sono diventato debole, là, soltanto là potevo essere colpito mortalmente. Là io cedevo, soccombevo alla tentazione di amare nel mio corpo un corpo (perché chi odia la propria carne?), di consegnarmi all’incontrollabile caos di un corpo. Di sprofondare sotto lo specchio d’acqua della carne. Di trasferirmi in questo mondo contrario alla luce del Padre, in questa oscurità ribollente. In quest’avventura dei sensi. In questa sconosciuta selva selvaggia del genere umano. Come voi passate via lascivi coi polsi che battono il limite della tentazione, così ho anch’io varcato col cuore battente, consapevole del pericolo, il confine della carne. Ho osato penetrare nel corpo della mia chiesa, nel corpo mortale che voi siete. Giacché lo spirito è mortale solamente nel suo corpo. Così noi siamo da allora in due, ma tutt’e due una carne, che si ama e che si combatte lottando fino alla morte. Per amar tuo divenni debole, perché solo nella debolezza potevo aver esperienza del tuo essere. Che ci fu poi di strano se poi tu avvertisti il tuo vantaggio e assalisti la mia nudità? Ma ti ho vinto mediante la debolezza e il mio spirito ha dominato la mia carne che sfrenatamente si difendeva (mai una donna si è difesa in un modo più disperato). Per sigillare la mia vittoria, per sfruttare fino al limite estremo il mio trionfo, ho impresso in te, mia carne, un marchio. Alla tua carnea debolezza il marchio della mia carnea debolezza. Al tuo peccato il marchio del mio amore. Mai più la tua lotta peccaminosa contro di me sarà altro che il lungo certame dell’amore. Questo è il significato che io gli do, d’ora in avanti un altro significato non ce l’ha più. Proprio perché tu, infelice, sapendo pecchi riguardo all’amore, proprio per questo il tuo peccato è racchiuso dentro il mio amore. E poiché io, spirito e amore a un tempo, sono lo stesso campo di battaglia tra Dio e il mondo, la battaglia è anche vinta per me dall’eternità e per l’eternità, e il nostro patto che sempre vien meno, il nostro sposalizio di sangue, le rosse nozze dell’Agnello, sono già ora e già qui il bianco talamo dell’amore divino.

Fa’pure quello che vuoi, tu resti prigioniera nell’amore. Te, o selvaggia, io ho innalzata affinché tu ti riprendessi dibattendoti nel tuo sangue, ti ho lavata nel bagno del mio sangue, nel bagno d’acqua del mio battesimo e nella parola della vita, e mi sono creata una chiesa meravigliosa, senza macchia né ruga, santa e immacolata. Tu ti puoi pur sempre atteggiare come una civetta e tradirmi ogni giorno con un altro, tu non sei quella per cui ti dai e ti credi, in eterno tu sei il mio corpo puro e la mia casta sposa. Con una tale santità io voglio vestire la tua vergogna che il profumo dei tuoi vestiti riempirà tutta la terra, e nessuno potrà negare di averlo realmente e fisicamente percepito. Un tale amore perché tu lo distribuisca io lo voglio porre nelle tue mani così che il tuo nome verrà nominato in mezzo ai popoli: la degna di amore e la vedetta dell’amore. E una tale amorosa cura per il mondo e per le mie pecore smarrite io voglio porti nel cuore cosicché lo stolido gregge avvertirà il Pastore ed accorreranno a te quasi controvoglia. L’ingominia che tu mi procuri non sarà così grande come l’infamia che farò giungere su di te dal tesoro della mia croce; lo scorno con cui ti ricoprono non sarà per niente paragonabile alla vergogna (Schande) che io ti trasmetto come mio prezioso legame e mio inestimabile dono nuziale, ricavandolo dalle provviste dei miei divini dolori. La debolezza infame con cui tu stai davanti al mondo in questa epoca di decadenza, incapace di trasmutarla, questa debolezza è inclusa nel mistero della mia propria infamante debolezza, giacché quando fui io stesso forte abbastanza per rinnovare il volto di questo mondo esterno? Così io voglio transvalutarti in una che tu non sei, e crearti dalla forza tuttunificante del mio cuore, come Eva dalla costa di Adamo.

Ciò di cui tu vivi, o chiesa, è un impegno e una promessa. Non vivere da te stessa, vivi unicamente in me e da me, conosci te stessa non come quella che eri, non conoscere più il tuo cuore, ma fa in modo che ti basti il mio cuore tuttunificante (che io ti ho innestato al centro del corpo), così tu devi essere per me sposa e corpo, e io voglio in te, esclusivamente in te, salvare il mondo intero. Sii la mia serva, rinuncia alla tua volontà e buttati come Ruth ai miei piedi, diventa obbediente fino alla morte, sii per il mondo la mia obbedienza incarnata, rappresentata in modo sensibile-visibile attraverso tutti i tempi, obbediente al punto che chi dice chiesa dice obbedienza; giacché nell’obbedienza è la salvezza, e chi mi esprime deve annunciare la mia obbedienza fino alla morte di croce: così io voglio innalzarti a regina del mondo, e tutti i popoli, tutti i tempi devono piegarsi davanti a te. Tu però, obbedendo tu stessa, devi esigere obbedienza nel mio nome, perché da nessuna parte tranne che in te io voglio governare il mondo e da nessuna parte tranne che nel tuo corpo batte il mio cuore. Questo è l’impegno e la promessa. Incatènati in modo così irrevocabile a me che io possa con te discendere nell’inferno, allora io ti incateno in modo così irrevocabile a me che tu puoi salire in paradiso. Svuotati dunque in me in modo che io ti possa riempire di me. Nulla di estremo, né di supremo ti voglio risparmiare, né di infimo, perché non voglio avere nessun mistero davanti a te. Dove sono io devi essere anche tu. Ciò che io faccio devi farlo anche tu. Così voglio insegnarti la mia obbedienza, dentro ciecamente all’abbandono di ogni idea propria, di ogni amar proprio, di ogni propria fede, e da questa obbedienza si deve riconoscere chi è del mio spirito ed appartiene al mio corpo. Ma questa obbedienza sarà soltanto il pegno del mio amore per te e del tuo amore per me, e frammezzo a un servizio ancillare sperimenterai, come il raggio di una luce dall’alto, la libertà dei figli di Dio, e quanto il servizio segue la costrizione dell’amore. In tutto ciò accadrà a te come a me quando io come servo del Padre mio venivo legato sempre più stretto nel suo amore, e ogni distanza creaturale si rivelava come mezzo e mediazione e come un’astuzia sempre più profonda dell’unificazione. Lo stesso gioco, che il Padre ha giocato con me, ora lo ripeto con te. Ti lascio e abbandono nel mondo, ti lascio dietro a me come una vedova sulla terra, per unire me a te a partire dal cielo in un modo sempre più intimo, spirituale, divino. Ti lascio come disanimata nella fossa del mondo, il tuo spirito vagante smarrito tra le ombre degli inferi, per poi repentinamente liberarti dalla morte e per dimostrare di nuovo al mondo che tu vivi e che io vivo in te. Giacché un continuo miracolo è la tua esistenza nel mondo, e a nessuno può rimanere nascosto che ti abbeveri a una sorgente estranea, che un’altra tavola ti alimenta che non la loro. Sarai così nonostante tutto il mio segno fra le nazioni. Inverosimile resterai per essi, a tal punto che ti profetizzeranno ogni giorno la morte. Dovrai anche come morire, ma ecco noi viviamo, tu ed io, perché io sono una volta morto, e chi mangia della mia morte vivrà nell’eternità ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno: ed ogni giorno è l’ultimo. Per una volta io sono morto e pure per una volta passa il mio corpo, la mia chiesa, dalla morte alla vita. È l’unica trasformazione. Ognuno dei tuoi membri la compie nel suo luogo, nel suo tempo, ma nell’unità di un’unica trasformazione, nella transustanziazione di questo mondo nell’altro (lo stesso). È una unica svolta, in cui la terra diventa cielo, e il punto di questa svolta è la chiesa. Qui si apre il mondo che è chiuso ed aspetta la grazia promessa. Qui l’uomo confessa la sua colpa e riconosce la sua verità; mentre si denuda viene purificato e riceve, invece che la sua, la verità di Dio. Qui il vecchio uomo viene sostituito dal nuovo. Qui muore il mondo e ne sorge un altro. Qui tutti e due gli eoni si incrociano. Qui ogni fine diventa principio, ogni realtà perduta diventa pegno di una speranza. Qui zampilla dalla roccia più dura l’acqua della vita eterna. Qui viene sciolto e decifrato l’enigma del mondo mediante il mistero di Dio. Qui si chiude la frattura tra il cielo e la terra, poiché i tuoi fedeli vivono al tempo stesso in ambedue questi regni. La beatitudine non è più una vaga promessa, ma questa è la vita eterna che nell’amore riconoscano te, Padre, e me che hai mandato. E nessuna umana trepidazione per la salvezza sarà un fondamento così traballante che la roccia della fede non sia più rassicurata. «Perché le mie pecore ascoltano la mia voce, ed io le conosco, e do loro la vita eterna, e per tutta l’eternità non andranno perdute e nessuno le strapperà dalla mia mano. li Padre che me le ha date è più grande di tutti, e nessuno le può togliere dalla mano del Padre. lo e il Padre siamo una cosa sola». Perciò sono io stesso la risurrezione e la vita, e chi crede in me, chi beve dalla sorgente che sgorga dal mio costato ferito, sgorgherà da lui una nuova sorgente che non si può più sigillare, perché sgorga dalla vita eterna nella vita eterna. E non nell’ultimo giorno, Marta, non soltanto allora io lo voglio risuscitare, perché chi crede in me è già passato oltre dalla morte alla vita, la sua tomba è spezzata e lui è risorto alla vita eterna. Questa è la vita eterna che essi credendo, amando, sperando riconoscano te, o Padre, e me che hai mandato.

A te, o mia chiesa, ho affidato questa sorgente. Da te, che sei il mio corpo, dal tuo fianco aperto, essa esce zampillando a purificazione dei popoli. Come tu stessa quale nuova Eva sei emersa dal mio sonno, così io, la vita eterna, emergo da te. Le tue mani mi distribuiscono come il pane del mondo. Perché la donna deriva senz’altro dall’uomo, ma attraverso la donna l’uomo viene partorito. Tutto però deriva da Dio. Poiché io come Dio sono la sorgente e prima di ogni essere, l’uomo (Mann) è la gloria di Dio e la sorgente della donna, e il Dio fatto si uomo è l’uomo (Mann), ma la chiesa è una donna, perché la donna è la gloria dell’uomo (Mann). Ma poiché io divenni il Figlio dell’uomo, sono nato da esseri umani, e sono tuo figlio, o chiesa, perché ognuno che fa la volontà del Padre mio è per me non soltanto fratello e sorella, bensì anche madre. Tu sei uscita dal mio cuore, e io ho riposato sotto il tuo cuore. Colei che io ho partorito sulla croce nel dolore mi partorirà, come la donna con le doglie, fino alla fine del mondo nel dolore. Misteriosamente si confonde la tua immagine con l’immagine della mia madre verginale. Ella è la donna singolare, ma in te ella diventa la madre cosmica. Giacché in te anche il mio particolare cuore si dilata a cuore del mondo. Tu stessa sei il santo cuore dei popoli, santa in forza di me, ma unificando il mondo per me, facendo circolare il mio sangue attraverso il corpo della storia. In te matura la mia redenzione, cresco io stesso fino alla mia forma piena, fino a che io, bi-uno con te, nel patto della carne bi-una, tu mia sposa e mio corpo, il regno che noi siamo, lo pongo ai piedi del Padre. Il patto del nostro amore è il senso del mondo. Tutto si adempie in esso. Poiché il senso del mondo è l’amore.

[1] Ovviamente Balthasar direbbe oggi da Pietro a Benedetto XVI. (ndr)

Hans Urs Von Balthasar

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