Il fil rouge e la preoccupazione costante dei discorsi del Papa in Inghilterra mi pare di poterli individuare nella dimensione pubblica e totalizzante per la vita dell'avvenimento della fede.
del 20 settembre 2010
 
          Il viaggio del Papa in Gran Bretagna è stato la dimostrazione di quanta ragione avesse Tertulliano quando diceva che il cristianesimo chiede solo una cosa, di non essere rifiutato senza essere conosciuto. Benedetto XVI non ha avanzato questa pretesa in modo preventivo, ma con il suo fare umile e nello stesso tempo fermo, ha costretto molti dei suoi detrattori d’Oltremanica, presenti in realtà più nei media che nelle piazze, a ricredersi.
          E, con un’onestà intellettuale rara dalle nostre parti, se si sconta qualche inevitabile eccezione, i giornali inglesi si sono ricreduti. L’hanno fatto di fronte ai centomila che hanno affollato, in modo inaspettato Hyde Park per la veglia di preghiera per la beatificazione di John Henry Newman (l’aspettativa era di non più di cinquantamila persone); l’hanno fatto soprattutto di fronte alle parole di Joseph Ratzinger, che ha smesso di essere il “Papa Rotweiler”, qualcuno anzi, di fronte al suo argomentare razionale, si è chiesto: possiamo dire che non abbia ragione?
          Il fil rouge e la preoccupazione costante dei discorsi del Papa in Inghilterra mi pare di poterli individuare nella dimensione pubblica e totalizzante per la vita dell’avvenimento della fede. Una fede che per quanto riguarda l’iniziativa di Dio (l’ha ben spiegato parlando di Newman) è grazia e illuminazione, per quanto riguarda la libertà dell’uomo è questione di “conoscenza”.
          Il verbo conoscere, declinato in vari modi, è stato quello più ripetuto nei due discorsi dedicati al nuovo beato della Chiesa inglese, la cui opera (“specifico servizio”) è stata così riassunta da Benedetto XVI: “Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale”.
          Una lotta quindi contro il relativismo intellettuale e morale nel quale si esplica oggi il potere del mondo. Una passione per la verità - e si può dire che qui il Pontefice parli per esperienza personale - che comporta “un grande prezzo da pagare”.
          A questo punto qui il Papa ha attualizzato il concetto di persecuzione: “Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia”. Qui, onde evitare ogni vittimismo autocommiserativo, ha subito rilanciato la palla in campo cristiano e richiamato la responsabilità soprattutto del “laicato”, indicandone nello stesso tempo l’errore: “Non vi può essere separazione tra ciò che crediamo e il modo in cui viviamo la nostra esistenza”. È il superamento di questa separazione tra fede e vita la responsabilità dei cristiani oggi. Uno iato per superare il quale non basta il richiamo alla tradizione.
          Chissà se finalmente si capirà che questo Papa, che ama la Tradizione, non è tradizionalista. Risentiamo che cosa ha detto ad Hyde Park: “Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società”.
          Il Papa della ragione, il Papa che difende la dignità dell’uomo ribadendo che la coscienza è indisponibile per il potere, il Papa che spiega il rapporto tra religione rivelata e politica ricordando il reciproco ruolo purificatore che intercorre tra fede e ragione… questo Papa può fondare tutta l’impalcatura del suo argomentare su un fatto presente.
          E l’ha ricordato durante l’omelia della Messa di beatificazione di Newman, prima di parlare della santità del grande teologo: “In primo luogo domenica è il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo risuscitò dai morti e cambiò per sempre il corso della storia umana offrendo vita e speranza nuove a quanti vivevano nelle tenebre e nell’ombra della morte. Questa è la ragione per cui…”.
          Conoscere questo fatto che attraversa la storia rende inaccettabile ogni sua riduzione intellettuale, morale o dottrinaria.
          Dice il segretario di C.S. Lewis, Walter Hooper, raccontando la sua conversione: “Una domenica di Pasqua mi recai in cattedrale, e un vescovo anglicano iniziò l’omelia dicendo: ‘Cari fratelli, stamattina parlavo con il mio gatto, e gli domandavo: ma tu, o gatto, sei davvero sicuro che Gesù sia risorto?’. Me ne andai via disgustato; a casa accesi il televisore e vidi a Roma un uomo vestito di bianco esclamare a gran voce ‘Cristo è davvero risorto!’. Dove mai sarei potuto andare?”.
Ubaldo Casotto
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