19 marzo, quel vuoto di paternità

E quello psichiatra raccontava come tanti, fra i suoi pazienti-detenuti, cerchino nel medico proprio una figura paterna. O addirittura lo dicano esplicitamente. Come quel giovane straniero aggressivo e intrattabile, che dopo poche parole di colloquio gli dichiarò, in un italiano malfermo: «Tu, mio papo». E, da quel momento, si tranquillizzò.

 

19 marzo, quel vuoto di paternità

 

Quell’uomo con il giglio in mano, quel padre silenzioso nell’ombra di Gesù. San Giuseppe, oggi, può apparirci una figura antica. Eppure questo santo è l’icona di una paternità che, nel vivere degli uomini, è fondante.

L’altro giorno, visitando un ospedale psichiatrico giudiziario, lo psichiatra che ci accompagnava parlava di quel luogo come approdo ultimo e drammatico di un malessere mentale diffuso; e riferendosi a fenomeni come bullismo, infanticidio e stragi in famiglia ne descriveva una comune radice, certo non la sola, e però profonda.

Questa radice, diceva il professore, è quella eclisse del padre, di cui da tempo si parla; ma, andando oltre, indicava come questa assenza o irrilevanza paterna incidono, nella genesi di vicende che poi leggiamo nelle cronache. Il padre assente c’entra con il bullismo: i figli di padri assenti, irrilevanti o destituiti di ogni autorità, tenderebbero a improvvisarsi malamente padri di sé stessi, ricorrendo alle minacce e alla violenza. Povere maschere di un genitore, che non hanno avuto.

Anche gli esplosivi istanti di aggressività che – e ormai non raramente – scoppiano nelle case e distruggono famiglie che parevano come le altre, avrebbero un legame con la crisi del padre: l’incapacità di tollerare un rifiuto o una situazione avversa viene anche dal non avere maturato una esperienza infantile fondamentale, quella del "no" pacato e fermo di un padre, e quindi la esperienza del limite – che è necessario ai figli, come gli argini a un fiume.

E l’infanticidio, che è un crimine quasi sempre femminile? Che c’entra il padre? C’entra, perché chi poi ricostruisce la tragedia di molte di queste donne le scopre fisicamente o psicologicamente sole con la fatica di crescere un figlio; nella irrilevanza o nella distrazione o nell’abbandono del compagno, donne abbandonate ai fantasmi della depressione post partum, o con l’angoscia di non sapere crescere, sole, quei figli.

E dunque fenomeni diversi che ci allarmano e sembrano allargarsi sarebbero, non solo ma anche, quasi mutazioni patogene che si compiono nella società, quando il padre latita. Un’assenza che, nella generale enfasi sul "femminile" del nostro tempo, meriterebbe di essere maggiormente sottolineata: c’è almeno un ruolo, che spetta all’uomo che genera. E c’è una domanda comune, inconscia, di un padre, che dia dei limiti, e una direzione.

E quello psichiatra raccontava come tanti, fra i suoi pazienti-detenuti, cerchino nel medico proprio una figura paterna. O addirittura lo dicano esplicitamente. Come quel giovane straniero aggressivo e intrattabile, che dopo poche parole di colloquio gli dichiarò, in un italiano malfermo: «Tu, mio papo». E, da quel momento, si tranquillizzò.

 

 

Marina Corradi

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