2. Re Carlo Alberto salva l'Oratorio

Nell'Oratorio c'erano ordine, disciplina, tranquillità. Tut¬≠tavia il Marchese Cavour, Vicario di città, voleva mettere fine alle nostre riunioni, che egli riteneva pericolose. Era stato informato che io ero sempre andato avanti con l'ap¬≠poggio dell'Arcivescovo. Ora, poiché l'Arcivescovo non pote¬≠va recarsi da lui essendo ammalato, egli convocò la Ragioneria nel palazzo arcivescovile.

2. Re Carlo Alberto salva l'Oratorio

da Don Bosco

del 09 maggio 2011

 

« Mi sembrò l'inizio del giudizio universale »

     Nell'Oratorio c'erano ordine, disciplina, tranquillità. Tut­tavia il Marchese Cavour, Vicario di città, voleva mettere fine alle nostre riunioni, che egli riteneva pericolose. Era stato informato che io ero sempre andato avanti con l'ap­poggio dell'Arcivescovo. Ora, poiché l'Arcivescovo non pote­va recarsi da lui essendo ammalato, egli convocò la Ragioneria nel palazzo arcivescovile. La Ragioneria era l'insieme dei più autorevoli consiglieri mu­nicipali. Nelle mani di questi consiglieri si concentravano tutti i poteri cittadini. Il capo della Ragioneria (che in quel momen­to era il Marchese Cavour) aveva un potere superiore a quello del Sindaco, e veniva chiamato Vicario di città, Maestro di Ra­gione o anche Primo Decurione.Mi disse poi l'Arcivescovo: - Quando vidi tutti quegli uomini potenti nella mia sala, mi sembrò l'inizio del giudizio universale.Si discusse molto sul bene e sul male dell'Oratorio. Alla fi­ne si decise che quelle riunioni dovevano essere assolutamente vietate e disperse, poiché compromettevano la tranquillità pub­blica. 

L'intervento del Re

     Faceva però parte della Ragioneria il conte Giuseppe Pro­vana di Collegno, insigne benefattore dell'Oratorio. In quel tem­po il re Carlo Alberto gli aveva affidato la carica di «Ministro al Controllo generale», cioè di Ministro delle Finanze. Più vol­te il Conte mi aveva portato aiuti in denaro a nome del Re e a nome suo personale. Carlo Alberto ascoltava con piacere no­tizie dell'Oratorio. Quando celebravamo qualche festa, legge­va volentieri la relazione scritta che gli mandavo, o il racconto che gli faceva il Conte Provana. Mi fece più volte dire che egli aveva grande stima del nostro ministero tra i giovani del popo­lo, perché assomigliava a quello dei missionari in terra stranie­ra. Egli sperava che opere come la nostra si diffondessero in tutte le città e paesi del suo Stato. Ad ogni capodanno ci man­dava gli auguri accompagnandoli con 300 lire destinate «ai mo­nelli di don Bosco».     Quando venne a sapere che la Ragioneria stava per discute­re la chiusura del nostro Oratorio, chiamò il conte Provana e gli ordinò di comunicare la sua volontà con queste parole:- Il Re vuole che queste riunioni festive siano aiutate e pro­tette. Se c'è pericolo di qualche disordine, si cerchi il modo di prevenirlo e di impedirlo.Il conte Provana assistette in silenzio a tutta la vivace di­scussione. Quando vide che si era arrivati alla decisione di chiu­dere l'Oratorio e di sciogliere le sue riunioni, chiese la parola. Si alzò e comunicò la volontà del Re. Carlo Alberto prendeva sotto la sua protezione la nostra opera microscopica. Davanti alla volontà del Re, il Vicario e la Ragioneria an­nullarono ogni decisione.  Le guardie all'Oratorio      Con urgenza, il Vicario di città mi mandò nuovamente a chia­mare. Usò ancora il tono minaccioso, mi chiamò ostinato. Ma alla fine passò a parole meno pesanti:- Io non voglio il male di nessuno. Lei lavora con buona intenzione, ma ciò che fa è pieno di pericoli. L'obbligo di pro­teggere la pubblica tranquillità è tutto sulle mie spalle, quindi manderò le guardie a sorvegliare lei e le sue adunanze. Alla mi­nima irregolarità, farà disperdere i suoi monelli, e lei me ne ren­derà conto.     Sarà stata l'agitazione di quei giorni, sarà stata qualche ma­lattia che già lo tormentava, fatto sta che quella fu l'ultima volta che il Marchese Cavour si recò a Palazzo municipale. Assalito dalla podagra, soffrì molto, e nello spazio di pochi mesi morí. Nei sei mesi che visse ancora, ogni domenica mandava al­cune guardie civiche a passare con noi tutta la giornata. Vigila­vano su tutto ciò che dicevamo e facevamo in chiesa e fuori chie­sa. Un giorno domandò a una di queste guardie:- In conclusione, che cosa avete visto e udito tra quella mar­maglia?- Signor Marchese, abbiamo visto un esercito di ragazzi di­vertirsi in cento maniere diverse. E in chiesa abbiamo sentito delle prediche che mettono paura. Don Bosco racconta tante cose sull'inferno e sul diavolo, che ha fatto voglia anche a me di andarmi a confessare.- E di politica?- Di politica non si parla mai. Quei ragazzi non ne capi­rebbero niente. Si parlasse di pagnotte, allora si che ognuno po­trebbe dire la sua.Da quando mori il Marchese Cavour, il Municipio non ci creò più ostacoli, anzi, fino al 1877 ci aiutò sempre.

 

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