«Sono nato il primo giorno di scuola, cresciuto e invecchiato in soli duecento giorni». Nove mesi già alle spalle ricchi di gioie e dolori, ansie e paure, amori e illusioni, impegno e svogliatezza.
del 08 luglio 2010
                 È suonata la campanella dell’ultimo giorno di scuola, l’ultima ora, l’ultimo minuto! Possiamo sentire il vociare quasi esultante degli studenti, riusciamo ad immaginare i volti raggianti almeno per coloro che sanno già di essere promossi. Comunque anche quest’anno si è concluso per la maggior parte degli studenti delle scuole superiori, alcuni sono in prossimità degli esami di maturità, altri dovranno vedersela con il recupero dei debiti.
 
                Nove mesi, 200 giorni già alle spalle ricchi di gioie e dolori, ansie e paure, amori e illusioni, impegno e svogliatezza. Quasi una vita, direbbero i ragazzi, un’eternità per chi proprio odia i banchi, un po’ di nostalgia per altri al pensiero di lasciare i compagni, “i migliori anni della nostra vita” cantano persino i maturandi! «Sono nato il primo giorno di scuola, cresciuto e invecchiato in soli duecento giorni» si legge nelle ultime pagine di un bellissimo romanzo del Prof. Alessandro D’Avenia dal titolo “Bianca come il latte e rossa come il sangue”; così è per tutti gli studenti anche se non tutti se ne rendono conto, perché spesso una cosa è la vita e un’altra è la scuola, entri in classe e sei costretto a lasciare fuori per cinque ore la tua identità, il tuo essere persona, i problemi e i sogni, il tutto per indossare i panni dello studente modello o monello, intraprendente o invisibile, troppe volte solo un numero sul registro.
                Eppure in 200 giorni accade di tutto e raccontarlo, inventando i nomi ma non i fatti, mi commuove profondamente: Alessandro rimane orfano di padre, Carla parte per uno scambio culturale negli Stati Uniti, Vincenzo ha compiuto 18 anni, Serena è morta in un incidente stradale e io ho pianto dopo tanti anni, Sara e Paolo si sono fidanzati finalmente, Antonello lotta con forza e coraggio contro la leucemia, Cesare fa la sua prima esperienza come attore su un set importante, Martina ha lasciato la scuola e non abbiamo ancora capito perché, Vincenzo, Maria, Filippo hanno dedicato tutto un anno al volontariato, Cinzia ha smesso di fumare, Federico si è innamorato per la prima volta, Marinella ha capito a cosa serve la matematica. E chi può dire allora che la scuola non c’entri nulla con la vita? Chi può negare che ognuno di questi ragazzi e tanti altri non sia almeno cresciuti un po’ se non invecchiati?
                Solo quei docenti (speriamo pochi) legati allo stipendio e basta, tristi e melanconici, vuoti e banali, legalisti e contabili! Solo una società corrotta fatta da tanti “gatti e volpi”, da avidi e meschini, da ignoranti e incompetenti, da mummie e approfittatori! Non si possono rubare i sogni ai ragazzi, non possiamo permettere che questo accada, non deve accadere che la scuola cancelli i loro desideri e le passioni, questo sarebbe il peccato più grave che un educatore potrebbe fare. La vita non è un’altra cosa durante i nove mesi di scuola, anzi nella scuola deve trovare provocazioni e domande giuste, adulti significativi con cui confrontarsi, contenuti ricchi di senso che parlino al cuore dei giovani e li aiutino a spiccare il volo.
                Non possiamo allora permettere di buttare all’aria un solo attimo della vita, un solo minuto di scuola se veramente entrambe si abbracciano per il bene degli studenti, e il loro bene non lo si misura con i voti o con la condotta, bassi o alti che siano, ma da quanto si è stati capaci di suscitare loro un sogno che possa diventare poi un progetto.
Marco Pappalardo
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