2064: Chi semina datteri non mangia datteri

La scuola sarà motore di futuro quando smetterà di essere per la politica ammortizzatore sociale e serbatoio di voti, nel migliore dei casi, oggetto di puro disinteresse nel peggiore.

2064: Chi semina datteri non mangia datteri

 

Per cambiare un Paese attraverso il suo sistema educativo occorrono due generazioni. La storia lo insegna: basti ricordare il cambiamento del Giappone a metà dell’800 quando l’Imperatore decise di mandare i suoi a studiare in occidente, o della Corea del Sud a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Immaginiamoci allora il futuro, alla luce degli incoraggianti discorsi della politica incentrati, nelle ultime ore, sulla scuola: Renzi ha una moglie insegnante e non tutti i conflitti di interesse vengono per nuocere, la neo-ministra accennava alla necessità di porre gli strumenti per l’autonomia delle scuole nell’assumere con conseguente valutazione delle stesse. Sono parole nuove, non per quello che promettono (è ritornello da canzone sentita), ma perché mettono a fuoco in modo diverso il rapporto tra l’istruzione e il futuro del nostro Paese. L’unica moneta che pensiamo possa garantire il nostro futuro è quella economica e per questo le soluzioni sono state in questi ultimi mesi di carattere tecnico, ci terrorizzava più lo spread della mancanza di investimenti nella scuola, percepita spesso dalla politica come fastidio necessario. La politica, schiacciata sull’immediato economico ed elettorale non ragiona di bene comune, che ha tempi lunghi e poco remunerativi sul breve periodo. “Non mangia datteri chi semina datteri”, così dice un mio amico arabo, che conosce bene il deserto. E i datteri della sua terra sono indimenticabili, anche se nessuno pensa a quel poveraccio che ha piantato le palme nel deserto e che non ha fatto in tempo a mangiarne i frutti. Eppure egli sapeva che il suo tempo era quello dei suoi figli e dei suoi nipoti. Due generazioni: il Paese del 2064 è la scuola che si deciderà di fare nel 2014. Le riforme urgenti sono tanto conti, sprechi e burocrazia quanto la scuola e l’educazione. Se i primi ci daranno il fiato per i 100 metri, l’istruzione ci darà il respiro per la maratona del futuro.

 

La scuola sarà motore di futuro quando smetterà di essere per la politica ammortizzatore sociale e serbatoio di voti, nel migliore dei casi, oggetto di puro disinteresse nel peggiore. Occorre, urgente, un segno di discontinuità. Una scuola che, pur avendo un curriculum tra i migliori del mondo, è ferma ad un modello educativo e didattico obsoleto e autoreferenziale. Una scuola in cui il coinvolgimento delle famiglie è effimero, pur essendo la scuola “relazione a tre”, l’unico triangolo amoroso che potrebbe funzionare se ciascuno degli attori (insegnanti-studenti-genitori) desse agli altri ciò di cui l’altro ha bisogno, nell’ottica di un bene comune da realizzare, svincolandosi da quella dialettica binaria che vede tutti contro tutti.

 

Per questo occorre guardare a quei sistemi scolastici segnalati tra i migliori da recentissime ricerche in ambito educativo e dai risultati dei test PISA, le cui prime posizioni sono occupate dai paesi orientali. Uno studente cinese in matematica precede di due anni e mezzo un coetaneo europeo. Il modello occidentale d’oltre Atlantico ha invece da insegnarci una certa concretezza nel rendere le conoscenze spendibili come competenze, ma i sistemi americani sono eccellenti per un’élite. Il nostro Paese, che ha contenuti da fare invidia a tutti, dovrebbe provare a prendere il meglio del modello orientale (altissimo prestigio sociale dell’insegnante e conseguente stipendio, coinvolgimento frequente della famiglia nell’attività scolastica senza badare al censo, didattica impegnativa ed efficace) e di quello americano (metodo induttivo, lezioni partecipative, coinvolgimento della sfera corporea, possibilità di scelta di percorsi adeguati ai talenti personali). Mediare nell’alveo del nostro ricco umanesimo e di una cultura scientifica (a volte zoppicante), tra il modello omogeneizzante e militaresco degli Orientali e quello individualistico degli Americani.

 

Nel 2064 il Paese che avremo avrà il volto della scuola che si farà oggi, menomata soprattutto nella fascia delle medie e nella istruzione tecnica e professionale alle superiori. Sul retro di un iphone si legge “Designed in California. Assembled in China”. Una scritta che è la sintesi di una storia scolastica: creatività e innovazione nella Silicon Valley, lavoro e manodopera in Cina. Che ruolo potrà giocare l’Italia dipenderà dalla discontinuità coraggiosa che è chiesta adesso alla e per la scuola. Ma i politici, a caccia di rapide soluzioni vincenti per le prossime elezioni e schiacciati dall’urgenza economica, avranno il coraggio di seminare i datteri per il 2064? Quelli che loro non mangeranno, ma di cui potrebbero godere i loro figli e i loro nipoti.

 

 

Alessandro D'Avenia

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