22. « Volevano farmi la festa »

Nel bel mezzo di quella colata di parole diaboliche, si spensero i lumi. Mentre il fracas¬≠so continuava, una pioggia di bastonate si abbattè nella mia di¬≠rezione. Capii al volo il tranello: volevano farmi la festa. Non avevo il tempo né di pensare né di riflettere. Afferrai una se¬≠dia, me la misi in testa per parare le bastonate e mi precipitai verso la porta. I colpi di bastone grandinavano sulla sedia.

22. « Volevano farmi la festa »

da Don Bosco

del 09 maggio 2011

 

160 lire per uccidere don Bosco     Sembrano favole gli attentati che racconto, ma purtroppo sono tristi verità, ed ebbero moltissimi testimoni. Eccone un altro più strano ancora.     Una sera di agosto, alle sei pomeridiane, ero presso il can­cello dell'Oratorio circondato dai miei giovani, quando si alza un grido:- Un assassino! Un assassino!Un tale che io conosco benissimo, e al quale ho fatto del bene, corre verso di me furioso, in maniche di camicia, bran­dendo un lungo coltello. Grida:- Voglio don Bosco! Voglio don Bosco!     Tutti si misero a fuggire. Nel parapiglia, quel tale mi confu­se con un chierico che portava la veste nera come me, e si mise ad inseguirlo. Quando si accorse dello sbaglio, si girò infuriato a cercarmi. In quell'attimo avevo avuto il tempo di rifugiarmi su per le scale di casa Pinardi. Avevo appena fatto scattare la serratura del piccolo cancello che faceva da porta, quando giunse quel tale. Si mise a battere, a gridare, a mordere le sbarre come un pazzo. Ma era tutto inutile: io ero in salvo. I miei giovani volevano gettarsi insieme contro quel miserabile e farlo a pez­zi, ma io gridai che lo lasciassero stare, e mi obbedirono. Man­dai alcuni ad avvertire la pubblica sicurezza, la questura, i ca­rabinieri. Non arrivò nessuno. Solo alle 21,30, finalmente, ar­rivarono due poliziotti che catturarono quel farabutto e lo por­tarono in questura.     Il giorno dopo, il questore mandò un poliziotto a doman­darmi se perdonavo quello sciagurato. Risposi che perdonavo come sempre, ma che, in nome della legge, chiedevo alle auto­rità di tutelare meglio le persone e le abitazioni dei cittadini. Sembra incredibile, eppure il giorno dopo, alla stessa ora, quel delinquente mi aspettava di nuovo, a poca distanza dalla mia casa.     Un mio amico, vedendo che le autorità non volevano difen­dermi, cercò di parlare a quel disgraziato. Rispose:- Io sono pagato. Datemi ciò che mi danno quelli che mi mandano, e lascerò in pace don Bosco.Gli furono pagate 80 lire di fitto scaduto e altre 80 di fitto anticipato, e quella triste commedia finì. Ma ne cominciò subi­to un'altra, che sto per raccontare. Nel buio una grandine di bastonate     Circa un mese dopo, una domenica sera, fui chiamato urgentemente in casa Sardi, vicino al Rifugio. C’era da confessare una malata in fin di vita. Messo in allarme dai fatti precedenti, invitai ad accompagnarmi parecchi giovani tra i più grandi.Chi era venuto a chiamarmi diceva:     -          Non occorre, l’accompagneremo noi. Lasci che i giovani vadano a giocare.Ma queste parole mi fecero sospettare di più. Lasciai alcuni giovani ai piedi della scala. Giuseppe Buzzetti e Giacinto Arnaud, invece, mi accompagnarono al primo piano, sul pianerottolo della scala, a poca distanza dall’uscio dell’ammalata.Entrai, e vidi una donna ansante, come se stesse per mandare l’ultimo respiro. Invitai le quattro persone presenti ad allontanarsi per iniziare la confessione.-          Prima di confessarmi – strillò la vecchia – voglio che quel bestione mi domandi scusa delle calunnie che ha detto su di me.-          No! – rispose uno dei presenti.-          Silenzio! – gridò un altro alzandosi in piedi. Anche gli altri si alzarono, e cominciò una litigata furibonda.-          Sì, no, ti strozzo, ti scanno – e mescolate a quelle parole orrende imprecazioni e bestemmie. Nel bel mezzo di quella colata di parole diaboliche, si spensero i lumi. Mentre il fracas­so continuava, una pioggia di bastonate si abbattè nella mia di­rezione. Capii al volo il tranello: volevano farmi la festa. Non avevo il tempo né di pensare né di riflettere. Afferrai una se­dia, me la misi in testa per parare le bastonate e mi precipitai verso la porta. I colpi di bastone grandinavano sulla sedia.     Uscito da quella casa del diavolo, mi lanciai tra le braccia di miei giovani, che avvertiti dal rumore e dagli schiamazzi sta­vano tentando di forzare la porta. Non riportai gravi ferite. Solo una bastonata mi colpì il pollice della mano sinistra che strin­geva lo schienale della sedia, e mi portò via l'unghia con mezza falange. Conservo ancora la cicatrice. Il male peggiore fu lo spa­vento.     Non ho mai potuto sapere il vero motivo di quegli attentati. Ma penso che l'intenzione era di farmi smettere - come essi dicevano - di calunniare i protestanti.Circa un mese dopo, una domenica sera, fui chiamato ur­gentemente in casa Sardi, vicino al Rifugio. C'era da confessa­re una malata in fin di vita. Messo in allarme dai fatti prece­denti, invitai ad accompagnarmi parecchi giovani tra i più grandi. Chi era venuto a chiamarmi diceva:     - Non occorre, l'accompagneremo noi. Lasci che i giovani vadano a giocare.Ma queste parole mi fecero sospettare ancora di più. Lasciai alcuni giovani ai piedi della scala. Giuseppe Buzzetti e Giacinto Arnaud, invece, mi accompagnarono al primo piano, sul pia­nerottolo della scala, a poca distanza dall'uscio dell'ammalata. Entrai, e vidi una donna ansante, come se stesse per man­dare l'ultimo respiro. Invitai le quattro persone presenti ad al­lontanarsi per iniziare la confessione.- Prima di confessarmi - strillò la vecchia - voglio che quel bestione mi domandi scusa delle calunnie che ha detto su di me.- No! - rispose uno dei presenti.- Silenzio! - gridò un altro alzandosi in piedi. Anche gli altri si alzarono, e cominciò una litigata furibonda.      -    Sì, no, ti strozzo, ti scanno - e mescolate a quelle paro­le orrende imprecazioni e bestemmie. Nel bel mezzo di quella colata di parole diaboliche, si spensero i lumi. Mentre il fracasso continuava, una pioggia di bastonate si abbattè nella mia direzione. Capii al volo il tranello: volevano farmi la festa. Non avevo il tempo né di pensare né di riflettere. Afferrai una sedia, me la misi in testa per parare le bastonate e mi precipitai verso la porta. I colpi di bastone grandinavano sulla sedia.     Uscito da quella casa del diavolo, mi lanciai tra le braccia di miei giovani, che avvertiti dal rumore e dagli schiamazzi stavano tentando di forzare la porta. Non riportai gravi ferite. Solo una bastonata mi colpì il pollice della mano sinistra che stringeva della scheda, e mi portò via l’unghia con mezza falange. Conservo ancora la cicatrice. Il male peggiore fu lo spavento. Non ho mai potuto sapere il vero motivo di quegli attentati. Ma penso che l’intenzione era di farmi smettere – come essi dicevano – di calunniare i protestanti.  

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