3. Anche gli analfabeti hanno diritto alla scuola

Ogni giorno, si può dire, dovevo aprire nuove classi. Dove trovare tanti maestri? Usai questo sistema: mi misi a far scuola a un bel gruppo di ragazzi cittadini. Insegnavo loro gratuita¬≠mente italiano, latino, francese, aritmetica. L'unica condizio¬≠ne che mettevo era: poi verrete a darmi una mano nell'insegna¬≠re catechismo, nel fare la scuola domenicale e serale.

3. Anche gli analfabeti hanno diritto alla scuola

da Don Bosco

del 09 maggio 2011

 

Testo fondamentale: il catechismo

     Già quando iniziavo l'Oratorio a San Francesco di Assisi, capivo la necessità di fare scuola. Alcuni giovani erano avanti negli anni e non conoscevano ancora niente della loro religio­ne. Le lezioni normali di catechismo, fatte a viva voce, per loro erano noiose e inconcludenti. Capitava che, dopo qualche le­zione, non li vedevo più.Pensai già allora di fare un po' di scuola seria, ma non ave­vo locali e non trovavo maestri che mi dessero una mano. L'e­sperimento non riuscì.Al Rifugio e in casa Moretta cominciammo una regolare scuola domenicale, e poi anche la scuola serale.     Per ottenere buoni risultati, svolgevamo un solo argomento per volta. Per esempio: durante due domeniche ripassavamo l'al­fabeto e la formazione delle sillabe. Poi prendevamo il piccolo Catechismo, e leggevamo e rileggevamo le prime due domande e risposte tante di quelle volte, che alla fine riuscivano a legger­le benissimo. Questa era anche la lezione della settimana. La domenica dopo aggiungevamo un'altra domanda e risposta. In questa maniera, nello spazio di otto domeniche, sono riuscito a far sì che alcuni leggessero e studiassero da soli intere pagine di catechismo. Fu un grande guadagno di tempo, specialmente per i più grandi. Con le normali lezioni di catechismo fatte a voce, essi dovevano impiegare anni per avere un'istruzione suf­ficiente ed essere ammessi alla confessione.

 

Leggere, scrivere, istruirsi nella religione

     Per molti, la scuola domenicale dava buoni risultati. Per altri, invece, era insufficiente, perché avevano pochissima memoria: da una domenica all'altra dimenticavano tutto ciò che avevano imparato. Fu questa costatazione che mi fece cominciare le scuole serali giornaliere: le iniziammo al Rifugio, divennero più rego­lari in casa Moretta, si perfezionarono ancora di più a Valdoc­co, nella prima sede finalmente stabile.     Le scuole serali regolari davano due buoni risultati: inco­raggiavano molti ragazzi ad intervenire per imparare a leggere e a scrivere, di cui avevano urgente bisogno; nello stesso tempo davano a tutti la comodità di istruirsi nella religione, ciò che formava lo scopo fondamentale del nostro lavoro.

 

Il tempo dei «maestrini»

     Ogni giorno, si può dire, dovevo aprire nuove classi. Dove trovare tanti maestri? Usai questo sistema: mi misi a far scuola a un bel gruppo di ragazzi cittadini. Insegnavo loro gratuita­mente italiano, latino, francese, aritmetica. L'unica condizio­ne che mettevo era: poi verrete a darmi una mano nell'insegna­re catechismo, nel fare la scuola domenicale e serale. Questi « maestrini » all'inizio erano otto o dieci, ma il loro numero au­mentò progressivamente. Da essi cominciò la categoria degli « studenti » (che nell'Oratorio affiancò dal 1850 la categoria degli « artigiani »).     I primi « maestrini » cominciarono ad aiutarmi fin da quan­do ero al Convitto di San Francesco d'Assisi. Allora erano ra­gazzi, ora occupano posti onorati di lavoro nella città. Ricordo Giovanni Coriasco, ora maestro falegname, Felice Vergnano, negoziante in tendaggi, Paolo Delfino, professore di materie tec­niche.     Al Rifugio ebbi come aiutanti Antonio Melanotte, oggi dro­ghiere, Giovanni Melanotte, fabbricante di dolci, Felice Ferre­ro, mediatore, Pietro Ferrero, compositore, Giovanni Piola, pa­drone di un laboratorio di falegnameria. A essi si unirono Lui­gi Genta, Vittorio Mogna e altri, che però non mantennero la loro promessa di venire ad aiutarmi. Per far loro scuola dove­vo spendere molto tempo e molto denaro, e purtroppo al mo­mento di cominciare a darmi una mano, la maggior parte mi abbandonava.     A costoro si aggiunsero bravi cristiani di Torino. Per molto tempo mi aiutarono Giuseppe Gagliardi e Giuseppe Fino, ven­ditori di chincaglieria, Vittorio Ritner, orefice, e altri. Alcuni preti mi aiutavano specialmente per la celebrazione della Mes­sa, la predicazione e la scuola di catechismo ai più grandi.

 

Perché e come don Bosco scrisse la Storia Sacra

     Una grande difficoltà la trovavo nei libri. Terminato il pic­colo catechismo, non avevo più nessun libro di testo per la scuola di religione e di lettura. Esaminai tutte le «Storie Sacre» che si usavano nelle scuole, e non ne trovai una adatta ai nostri alun­ni. I difetti più comuni erano: linguaggio non popolare, rac­conto di fatti non adatti ai giovani, questioni che non interes­savano i ragazzi e che invece erano tirate in lungo. Molti fatti erano narrati in maniera che potevano offendere la sensibilità morale dei giovani. Inoltre quasi nessuno badava a mettere in luce i punti fondamentali della fede. Venivano trascurati i fatti che insegnano il culto esterno che dobbiamo rendere a Dio, l'e­sistenza del purgatorio, l'istituzione da parte di Gesù della con­fessione e dell'Eucaristia.     I tempi in cui dovevamo vivere, esigevano assolutamente ché non trascurassimo questa parte dell'educazione cristiana. Per­ciò mi sono messo a scrivere una « Storia Sacra » che avesse sti­le popolare, lingua facile, ed evitasse i difetti che ho sopra elen­cato. Nacque così la Storia Sacra ad uso delle scuole. Non pre­tendevo di scrivere un libro elegante, ma impegnai nel lavoro tutta la mia buona volontà per far del bene ai giovani.     Dopo mesi di scuola abbiamo dato alcuni saggi pubblici sul nostro insegnamento festivo. Alla presenza di personaggi cele­bri come l'abate Aporti, il conte Boncompagni, il vicesindaco Pietro Baricco, il professore universitario Giuseppe Rayneri, gli allievi furono interrogati sulla storia sacra e la geografia della Palestina. Le loro risposte strapparono applausi.

 

Dalle strade ai libri

     Incoraggiato dalla buona riuscita delle scuole serali, alla let­tura e alla scrittura aggiunsi l'aritmetica e il disegno. Era la pri­ma volta che nelle nostre zone si realizzavano scuole serali così popolari. Molti ne parlavano come di una grande novità. Pro­fessori e persone distinte venivano ad osservare i nostri metodi. Lo stesso Municipio di Torino mandò una commissione presie­duta dal commendatore Giuseppe Dupré per osservare se i ri­sultati erano così positivi come si diceva. I commissari interro­garono gli alunni sulla pronuncia italiana, sulle operazioni arit­metiche, fecero declamare alcuni brani. Alla fine erano mera­vigliati nel costatare che giovani rimasti analfabeti anche fino a 18, 20 anni, avevano fatto in pochi mesi rapidi progressi nel­l'educazione e nell'istruzione. Ciò che entusiasmava quei signori era vedere alla sera un grande numero di giovani raccolti sui libri, mentre tanti altri girovagavano per le strade.     La loro relazione, letta al Municipio, ci meritò un premio di 300 lire, che ci venne assegnato fino al 1878. Da quell'anno fu sospeso e assegnato a un altro istituto. Non ne ho mai sapu­to il perché.     In quel tempo era direttore dell'Opera La Mendicità Istrui­ta (fondata nel 1783 per l'istruzione popolare) il cavaliere Go­nella, conosciutissimo in Torino per la sua fede e la sua carità. Anche lui venne più volte a vedere la nostra scuola, e l'anno seguente introdusse le stesse classi e lo stesso metodo nell'Ope­ra da lui diretta. Avendo parlato agli amministratori della Men­dicità Istruita del nostro Oratorio e delle strettezze finanziarie in cui navigavamo, ci assegnarono un premio di lire mille.Anche il Municipio imitò il nostro metodo. In pochi anni le scuole serali si propagarono in tutte le principali città del Pie­monte.  Un libro di preghiera e uno di matematica      Intanto vedevo crescere di giorno in giorno una nuova ne­cessità: un libro di preghiere e di riflessioni adatto ai giovani del nostro tempo. Ce n'erano moltissimi che passavano da ma­no a mano. Avevano anche autori illustri. Ma in genere gli au­tori non avevano tenuto presenti i lettori giovani, e, col massi­mo rispetto, avevano cercato di poter servire cattolici, ebrei e protestanti.Io stavo vedendo un'altra cosa: che i protestanti cercavano di infiltrarsi insidiosamente tra la nostra gente. Tenuto conto di questo pericolo, ho compilato un libro appoggiato alla Bib­bia, adatto ai giovani, che desse nutrimento alla loro fede. do­veva esporre le verità fondamentali della religione cattolica con la massima brevità e chiarezza. Lo intitolai II giovane provve­duto.     La stessa necessità si manifestava per l'insegnamento del­l'aritmetica e del sistema metrico decimale. L'uso ufficiale di questo sistema doveva cominciare all'inizio dell'anno 1850, ma già nel 18461e scuole dovevano insegnarlo, e mancavano i libri di testo. Scrissi allora il libretto II sistema metrico decimale ri­dotto a semplicità.

 

 

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