3. La luce dello Spirito Santo

Gli ampi spazi della Parola di Dio si aprono a chi medita cristianamente solo attraverso lo Spirito di Dio donatogli. E come potrebbe infatti comprendere che cos'è il cuore di Dio, che si apre spontaneamente, se non attraverso lo Spirito di Dio, che gli è comunicato?

3. La luce dello Spirito Santo

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Gli ampi spazi della Parola di Dio si aprono a chi medita cristianamente solo attraverso lo Spirito di Dio donatogli. E come potrebbe infatti comprendere che cos'è il cuore di Dio, che si apre spontaneamente, se non attraverso lo Spirito di Dio, che gli è comunicato (1 Cor 2, 10)?

Ciò diventa subito chiaro di fronte all'istruzione spesso ripetuta che il contemplante deve cercare di inserirsi quanto più concretamente possibile nella scena che desidera contemplare. Immagini di essere presente nella stalla di Betlemme come uno dei pastori; essere al seguito della fuga in Egitto; presentare un'ordinazione a Gesù falegname in Nazareth; partecipare a una guarigione nella sinagoga di Cafarnao ed essere presente tra i cinquemila mirabilmente sfamati, ecc.

Questo sforzo viene ragionevolmente richiesto se ciò che si vuole contemplare deve apparire come realtà concreta e gravida di salvezza e non impallidire in impotente astrazione. Ma tutto questo immedesimarsi resterebbe un dubbio esperimento psicologico se non fosse giustificato da una fede molto più profonda: che lo Spirito Santo ha innalzato l'avvenimento storicamente accaduto - prima di ogni umano sforzo - al di sopra di ogni tempo storico e lo ha reso contemporaneo a ogni epoca, così che mi si presenta già da sempre come presente, prima che io mi sforzi per la sua attualizzazione o «contemporaneità».

Gesù conosce la validità per tutti i tempi della sua singola azione terrena: «Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35). Tuttavia egli lascia allo Spirito il compito di realizzare per tutti i tempi questa attualità delle sue parole, azioni e sofferenze. E non si tratta solo di richiamare alla memoria ciò che avvenne una volta nella storia ed è ormai. trascorso, bensì di una reale ri-presentazione e attualizzazione.

Qui si impone lo stretto parallelismo tra Parola e sacramento. Sarebbe sbagliato agganciare l'attualizzazione operata dallo Spirito solo al sacramento e non anche alla parola del Vangelo (che, come abbiamo visto, abbraccia le azioni, la passione e la risurrezione del Signore, così come le sue affermazioni). Origene ha sottolineato questo in modo fortissimo spiegando il passo dove al profeta Ezechiele e al visionario dell'Apocalisse viene ordinato di mangiare la parola (nella forma del rotolo del libro). Il padre della Chiesa sa che «il vero cibo dello spirito è la Parola» e «che cosa potrebbe essere per l'anima più nutriente della parola?». «Come il pane materiale è assimilato dal corpo nutrito e si trasforma nel suo essere, così anche il ‘pane vivo disceso dal cielo’ - la Parola di Dio appunto - è recepito dallo spirito e dall'anima e comunica a colui che si offre al suo nutrimento la propria forza».

Per questo ai credenti viene raccomandato: «Voi, ai quali è permesso partecipare ai santi misteri, lo sapete: quando vi si affida il corpo del Signore, voi lo custodite con ogni cura e onore, affinché nessuna briciola ne cada per terra. Ma se applicate così grande attenzione per conservare il suo corpo - e lo fate a buon diritto - come potete allora credere che sia una colpa minore trascurare la sua parola più del suo corpo?».

Il Logos di Dio è una totalità: il.suo corpo fisico è inseparabile dalla sua parola espressa essa pure fisicamente (presa sempre in tutte le sue dimensioni), per cui nella liturgia la parola e il sacramento sono indivisibili, ma la medesima unità si impone anche nella meditazione. E questa attualizzazione unitaria resta primariamente l'azione dello Spirito Santo.

Questa attualizzazione non pone però il contemplante semplicemente di fronte a un testo che forse possiede «significato per tutti i tempi», ma di fronte all’evento stesso in esso racchiuso, che nella sua attualizzazione perde tutto ciò che a motivo dei millenni alle sue spalle può farlo sembrare invecchiato e consumato. No davvero, l'evento è ora presente per me, totalmente nuovo e intatto, in una divina giovinezza. Come se fosse destinato a me, originariamente per me. E mi è presentato totalmente dischiuso in tutte le sue ampiezze. L'attualizzazione dello scenario sul lago di Genesaret avrebbe ben poca importanza se contemporaneamente non mi si rivelasse la sopratemporale, anzi eterna significatività di ciò che avviene in esso: cosa significa che l'uomo-Dio dà la vista a un cieco, rialza una donna piegata a terra, ne guarisce un'altra dal suo letto di febbre così che può rialzarsi e può servirlo... Ognuno di questi. quasi innumerevoli eventi ha uno stabile appiglio sulla terra, ma la sua portata si perde nelle infinite altezze della divina vita trinitaria. Lo Spirito non «spiritualizza» il terreno ma indica l'illimitata autorivelazione di Dio soggiacente nell'evento dell’incarnazione. E questo - come abbiamo detto - non nella atemporalità di una generale verità filosofica ma nel suo rivolgere proprio a me la sua attualità storicamente irripetibile, e perciò non superabile, nella misura in cui mi espongo ad esserne colpito.

Tutto questo naturalmente non vuol dire che il contemplante non debba più sforzarsi personalmente, ma che può lasciarsi offrire ciò che lo Spirito gli dischiude, quasi come in un film. Ma tutto ciò significa piuttosto che egli deve restare consapevole che senza lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio», non può certo penetrare in queste profondità. Lo Spirito è il vero esperto per la rivelazione di questi misteri, velati allo sguardo puramente umano, ma già offerti nell'incarnazione sensibile. Ed egli lo è tanto più in quanto è presente contemporaneamente nel mistero oggettivo che stiamo contemplando e nella soggettiva profondità di noi stessi, come il ponte dunque che ci conduce al mistero. Egli lo è inoltre nella misura in cui è «uno che guida» (Rm 8), anzi proprio uno spirito che «sospinge fuori» (Mc 1,12) dal passato, che non permette un soffermarsi su qualcosa di superficiale, ma che ci ispira la coscienza del Dio sempre maggiore. Egli non vuole irrequietezza, ma non sopporta neppure una quiete oziosa, spira al di là del cercare e del trovare, del muoversi e del riposare. Possiamo trovare ristoro in Dio, ma non in noi stessi.

Hans Urs Von Balthasar

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