Negli anni 70 si andò concretizzando il progetto dei Cooperatori salesiani. Come tutte le idee di don Bosco, non nacque all'improvviso: aveva radici lontane.
“Appena cominciò l'opera degli oratori nel 1841 - scrisse don Bosco - alcuni pii e zelanti sacerdoti e laici vennero in aiuto a coltivare la messe, che fin d'allora si presentava copiosa nella classe de' giovanetti pericolanti. Questi collaboratori, o cooperatori, furono in ogni tempo il sostegno delle opere che la divina Provvidenza ci poneva in mano”.
Addio a don Borel.
Don Bosco ricorda i sacerdoti, per primi. Li abbiamo incontrati anche noi sul filo della sua vicenda. Prima nell'oratorio migrante, poi a Valdocco. Ci furono contrasti per le sue idee “pazze”, poi per il suo atteggiamento “politico”. Ma l'amore concreto alla gioventù fece superare ostacoli e steccati. Pietro Merla, Luigi Nasi, Leonardo Murialdo, Ignazio e Giuseppe Vola, Giacinto Carpano, e specialmente don Cafasso e il “padre piccolo” don Borel saranno legati per sempre all'opera salesiana, come cooperatori fedeli e sacrificati di don Bosco.
Il “padre piccolo” chiuse gli occhi a questa vita il 9 settembre 1873. Don Bosco pianse accanto a lui che si spegneva. Disse: “Sembrava un pretino da nulla, e invece dieci buoni preti non avrebbero fatto tutto il bene che fece questo grande operaio di Dio”.
Morendo, non lasciò nemmeno il necessario per la sua sepoltura. Ma don Bosco sapeva quante volte aveva vuotato il borsellino nelle sue mani, senza preoccuparsi se vi fossero degli spiccioli o dei marenghi d'oro. I direttori salesiani, chiamati da don Bosco per i funerali, portarono a spalle la sua bara. I chierici, i giovani, la banda dell’oratorio lo accompagnarono al camposanto. Erano i preti, i chierici, i giovani, di cui don Bosco gli parlava nel 1844: “Eppure ci sono, perché io li vedo”.
Uomini e donne di buona volontà
Accanto ai sacerdoti, i laici. Alcuni appartenevano a famiglie aristocratiche: il conte Cays (che diventerà salesiano e sacerdote in età avanzata), il marchese Fassati di Montemagno, il conte Callori di Vignale, il conte Scarampi di Pruney. Altri erano semplici lavoratori e commercianti. Don Bosco ricordava con tanta riconoscenza un chincagliere, Giuseppe Gagliardi, che consacrava ai giovani dell’oratorio il suo tempo libero e i suoi risparmi.
La cooperazione di questi laici era svariata. Don Bosco sollecitava specialmente la loro disponibilità a “fare il catechismo”, alla domenica e nei giorni feriali della quaresima. Alcuni lo aiutavano anche nelle scuole serali, nell'assistenza dei giovani. Altri cercavano un buon lavoro per i suoi ragazzi, specialmente per gli ex carcerati.
Non si trattava solo di uomini. Abbiamo già accennato alle “mamme” che lavoravano all'oratorio: mamma Margherita, la mamma di don Rua, quella di Michele Magone, la sorella di mamma Margherita, la mamma del canonico Gastaldi.
Quest'ultima aveva preso per sé l'incarico di far lavare la biancheria dei ragazzi e di distribuirla ogni sabato. “Ce n'era proprio bisogno - ricordava don Bosco -. Tra quei poveri ragazzi ce n'erano di quelli che non potevano mai cambiarsi quello straccio di camicia che avevano indosso, ed erano così sporchi che nessun padrone voleva accoglierli nel suo laboratorio”.
La domenica, “madama” Gastaldi riuniva i ragazzi, e “come un generale d'armata” ispezionava minuziosamente gli abiti e la pulizia di ognuno, compresi i letti, che spesso risultavano piccole e odorose tane.
Molti cooperavano non con l'azione ma con denaro. Un prete dava per i ragazzi più poveri tutto il denaro che riceveva dai genitori benestanti. Un banchiere versava una pensione regolare, come se fosse un “ricoverato” di don Bosco. Un artigiano portava regolarmente i suoi risparmi.
Salesiani esterni: bocciati.
Don Bosco si andò man mano persuadendo che sarebbe stato opportuno radunare questi collaboratori in un'associazione.
Il primo tentativo lo fece nel 1850, radunando sette uomini di fiducia “tutti cattolici e laici”. Fu un insuccesso.
Nel 1864, secondo tentativo. Presentando le Regole della sua Società a Roma, aveva innestato un “capitolo” che fece arricciare il naso a molti monsignori. Parlava di “salesiani esterni”. Qualunque persona, anche vivendo nella sua famiglia, avrebbe potuto diventare salesiano. Non avrebbe fatto i voti, ma avrebbe collaborato al lavoro dei salesiani per i ragazzi poveri. All'articolo 5 prevedeva addirittura che ogni salesiano uscito dalla Congregazione “per ragionevole motivo”, sarebbe diventato “membro esterno” di essa.
Il capitolo fu bocciato. Don Bosco, con la testardaggine dei piemontesi, lo ripresentò, prima modificato, poi in appendice. Non ci fu verso. Per avere l'approvazione delle Regole (l'avrà nel 1874) dovette rassegnarsi a toglierlo. Oggi verrebbe forse considerato “un'intuizione geniale”.
Bocciato il disegno dei “salesiani esterni”, don Bosco si mise subito a lavorare a qualcosa di simile. Nel 1874 tracciò le grandi linee di una Unione di san Francesco di Sales. I direttori, da lui consultati, dimostrarono poco entusiasmo. Sembrava una delle tante confraternite. Don Bosco scosse la testa:
- Voi non mi capite. Ma vedrete che questa Unione sarà il sostegno della nostra Società. Pensateci.
Gli scopi principali che don Bosco assegnava all'Unione erano tre:
- fare del bene a se stesso con l'esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i fanciulli poveri e abbandonati;
- partecipare alle opere di pietà e di religione che compiono i Salesiani;
- raccogliere fanciulli poveri, istruirli nella propria casa, difenderli dai pericoli.
I Cooperatori salesiani.
Nel 1876 raggiunse la forma definitiva. Chiamò la pia Unione dei suoi collaboratori “Cooperatori salesiani”. Scrisse e stampò rapidamente il loro regolamento e lo inviò al Papa per l'approvazione. Arrivò con un “breve” di Pio IX il 9 maggio 1876.
Gli scopi erano identici a quelli elencati due anni prima: fare del bene a se stessi con una vita cristiana impegnata, aiutare i salesiani nelle loro imprese, “rimuovere” i mali che minacciano la gioventù.
I mezzi suggeriti sono simili a quelli usati dai salesiani: catechismi, esercizi spirituali, sostegno delle vocazioni sacerdotali, diffusione della buona stampa, preghiera e elemosina.
Quest'ultima parola causò molti equivoci. Parecchi salesiani ridussero di fatto l'attività dei cooperatori all'aiuto in denaro per le loro opere. Don Bosco intervenne energicamente contro questo svilimento del Cooperatore:
“Bisogna comprendere bene lo scopo della pia Unione - disse a Tolone nel 1882 -. I Cooperatori salesiani non devono solamente raccogliere elemosine per le nostre opere, ma anche adoperarsi con ogni mezzo possibile per cooperare alla salvezza dei loro fratelli, in particolar modo della gioventù”.
Nei viaggi in Italia e all'estero, don Bosco si diede molto da fare per accrescere l'esercito dei suoi Cooperatori. “Genova e la Liguria gli fornirono grossi contingenti - scrive Morand Wirth -. In Francia, Nizza diventò un centro importante, per il carattere cosmopolita della città. A Marsiglia, i Cooperatori erano così ferventi che con loro don Bosco aveva l'impressione di trovarsi in famiglia”.
In Spagna visse una delle figure più caratteristiche dei Cooperatori: donna Dorotea de Chopitea. Divenne la “madre delle opere salesiane”, e se ne è iniziata la causa di beatificazione.
Il “Bollettino Salesiano” arriva anche a Sotto il Monte.
Ai Cooperatori, don Bosco volle dare uno strumento che servisse a tenerli uniti tra loro e con il centro delle opere salesiane. Fu il Bollettino Salesiano, periodico mensile. Il primo numero uscì nell’agosto del 1877.
Al Bollettino don Bosco teneva tanto che ne preparò personalmente i primi numeri. Quando non lo potè più seguire, privò i suoi collegi di un valido direttore per metterlo nelle mani di don Giovanni Bonetti (che fece parte del Capitolo Superiore). Quando gli chiedevano “a chi mandarlo”, don Bosco rispondeva: “A chi lo vuole e a chi non lo vuole”.
Sul Bollettino furono pubblicate le prime lettere dei missionari salesiani, lette golosamente da giovani e adulti. Fu pubblicata a puntate la prima “Storia dell'oratorio di don Bosco”, anch'essa attesa con vivissima curiosità. Apparivano regolarmente le notizie delle opere salesiane sparse nel mondo, le grazie più insigni di Maria Ausiliatrice.
Quel modesto fascicolo mensile penetrò dappertutto, guadagnando moltissimi amici a don Bosco e alle sue opere. Papa Giovanni ricordava: “I miei primi anni furono allietati e protetti dalla cara immagine dell'Ausiliatrice. Oh, una riproduzione molto semplice: il ritaglio del Bollettino Salesiano che il prozio Zaverio riceveva e leggeva a tutti noi con grande trasporto. La pia immagine stava a capo del letto. Quante preghiere e quante confidenze davanti a quell'umile effigie! E Maria Ausiliatrice mi ha sempre aiutato”.
Nel 1884, parlando con don Lemoyne, don Bosco manifestò un pensiero che si era via via sempre più chiarito in lui: “Lo scopo diretto dei Cooperatori non è quello di coadiuvare i salesiani, ma di prestare aiuto alla Chiesa, ai vescovi, ai parroci, sotto l'alta direzione dei salesiani”.
“Alla morte di don Bosco nel 1888 - scrive il Wirth - una cosa era evidente: la forza apostolica della modesta Congregazione salesiana era stata decuplicata grazie all'aiuto fraterno dei suoi cooperatori. Molti di essi meritano di essere considerati di fatto, se non giuridicamente, veri salesiani nel mondo”.
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