Tra il 1871 e il 1872, don Bosco fece un sogno drammatico. Lo narrò prima a Pio IX, pare, poi ad alcuni dei suoi salesiani. Due di essi, don Barberis e don Lemoyne, ne presero nota accuratamente.
“Mi parve trovarmi in una regione selvaggia e totalmente sconosciuta. Era un'immensa pianura incolta, nella quale non si scorgevano né colline né monti. Nelle estremità lontanissime, però, si stagliavano scabrose montagne. Vidi turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di statura straordinaria, aspetto feroce. Avevano capelli ispidi e lunghi, colore abbronzato e nerognolo. Erano vestiti soltanto di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Per armi usavano una lunga lancia e la fionda.
Quelle tribù di uomini sperse, offrivano allo sguardo scene diverse: alcuni correvano dando la caccia alle fiere; altri andavano, portando conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Gli uni combattevano fra di loro; gli altri venivano alle mani con soldati vestiti all'europea, e il terreno era sparso di cadaveri. Io fremevo a quello spettacolo.
Ed ecco spuntare all'estremità della pianura molte persone: dal vestito e dal modo di agire capii che erano missionari di vari Ordini. Si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Li fissai ben bene, ma non conobbi nessuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi: i barbari però appena li videro, con furore si avventarono contro e li uccidevano. Ficcavano i macabri trofei sulla punta delle loro lunghe picche”.
Nuova gente disposta a rischiare.
“Dopo aver visto quelle scene terribili, dissi tra me: " Come fare a convertire questa gente così brutale? “
Intanto vidi in lontananza un drappello di altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovanetti. Io tremavo pensando: " Vengono a farsi uccidere ". E mi avvicinai a loro. Erano chierici e preti. Li fissai con attenzione, e li riconobbi per nostri salesiani. I primi mi erano noti, e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch'essi missionari salesiani, proprio dei nostri.
" Come mai? ", dissi tra me. Non avrei voluto lasciarli andare avanti, ed ero lì per fermarli. Mi aspettavo che da un momento all’altro toccasse loro la stessa sorte dei primi missionari, quando vidi che il loro comparire metteva allegria in tutte quelle tribù dei barbari. Abbassarono le armi, deposero la loro ferocia, e accolsero i nostri con ogni segno di cortesia. Meravigliato dicevo tra me: " Vediamo un po' come va a finire! ". E vidi che i nostri missionari si avanzavano verso quei selvaggi, li istruivano, ed essi ascoltavano volentieri la loro voce. Insegnavano, ed essi imparavano con premura. Ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica i loro ammonimenti.
Stetti ad osservare: i missionari recitavano il Rosario, e i selvaggi rispondevano a quella preghiera. Dopo un po' i salesiani andarono a porsi nel centro di quella folla che li circondò. S'inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei salesiani intonare: Lodate Maria, o lingue fedeli, e quelle turbe, tutte a una voce, continuarono il canto, con tanta forza di voce che io, quasi spaventato, mi svegliai”.
Quel sogno ebbe un notevole peso nella vita di don Bosco. Egli stesso affermò: “Dopo di esso sentii rinascere in cuore l'antica brama dell'apostolato missionario”.
Don Bosco aveva cominciato a pensare alle missioni quando era giovane studente, a Chieri. “Allora in Piemonte - racconta don Lemoyne - giganteggiava l'Opera della Propagazione della Fede. Gli scritti che descrivevano le fatiche e i martiri dei missionari erano letti con avidità. E Giovanni Bosco vagheggiava il desiderio di consacrarsi alle missioni estere”.
Il Concilio Vaticano I (1869-70) contribuì notevolmente allo sviluppo delle missioni. Vescovi delle Americhe, dell'Africa e dell’Asia, approfittando della venuta in Italia (dove il clero era fittissimo rispetto alle loro regioni) cercarono di arruolare preti e suore per i loro territori.
Anche a Valdocco giunsero domande concrete. Mons. Barbero chiese a don Bosco delle suore per Hyderabad, in India. Mons. Alemany, vescovo di S. Francisco in California, gli chiese di aprire laggiù una scuola professionale. Don Bosco lasciò cadere le offerte. Non pensava ancora “concretamente” alle missioni.
Un anno dopo, don Bosco fa il sogno “della immensa pianura e degli uomini di aspetto feroce”, e sente rinascere “l'antica brama”. Da questo momento cerca quale sia la regione missionaria destinata dalla Provvidenza ai suoi salesiani. Le domande di fondazioni oltremare continuano ad arrivare sul suo tavolo, ed egli le esamina con un'attenzione ben diversa.
Ricercava un particolare: due fiumi e un deserto
Racconta: “Gli uomini nerastri del sogno, dapprima credevo fossero africani dell'Etiopia. Ma dopo aver interrogato persone che conoscevano quei posti, e letti libri di geografia, lasciai questo pensiero. Poi mi fermai su Hong-Kong, isola della Cina. Mi informai quindi dell'Australia. Da mons. Quinn mi informai dello stato di quegli indigeni, ma la sua descrizione non andava d'accordo con quanto aveva visto. Poi rivolsi la mia mente a Mangalore, nel Malabar.
Finalmente nel 1874 il console argentino a Savona, Gazzolo, fece parola dei salesiani all'arcivescovo di Buenos Aires. Questi espresse il desiderio che un gruppo di salesiani andasse a trapiantarsi in Argentina. Mi procurai allora libri geografici sull'America del Sud, e li lessi attentamente. Cosa stupenda: da questi e da altre stampe delle quali erano forniti, vidi perfettamente descritti i selvaggi e la regione vista in sogno: la Patagonia, regione immensa al mezzodì dell'Argentina”.
C'era un particolare che don Bosco ricercava testardamente sulle carte geografiche, per scoprire il “luogo segnato da Dio”. Lo ricorda don Amadei, uno dei biografi più attenti del Santo: “Nel campo d'apostolato visto in sogno, aveva notato due fiumi all'entrata d'un vastissimo deserto, che non riusciva a rintracciare nelle carte geografiche che andava pazientemente esaminando. Venne a conoscere che erano il Rio Colorado e il Rio Negro nella Patagonia solamente quand'ebbe in Torino il primo colloquio con il commendator Gazzolo, console dell'Argentina a Savona. Ricordo di aver visto io stesso uno dei vecchi atlanti esaminati da don Bosco, nel quale si leggevano, nell'ultimo tratto dell'America Meridionale, le parole: Regione dei Patagoni, dove gli abitanti sono giganti”.
Riflettendo su questi avvenimenti, Pietro Stella commenta: “Risulta chiaro l'orientamento di don Bosco, alla ricerca di una via per l'espansione della sua opera fuori d'Europa. Egli pensa e sogna le missioni nel senso più stretto, in partibus infidelium (nei paesi degli infedeli), e nel senso più romantico di allora: tra popoli crudeli e selvaggi. In Argentina egli aveva i selvaggi, anzi: i " suoi " selvaggi. Selvaggi era parola magica, che suscitava l'interesse e la curiosità. Clima di leggenda circondava i selvaggi della Patagonia, descritti dai più antichi esploratori come giganti; riprodotti ancora nel secolo decimottavo dalla fantasia dei disegnatori di libri di viaggi, come colossi ai quali gli europei coi loro tricorni arrivavano appena al di sopra della cintola, quasi all'altezza dei neonati indigeni. Selvaggi che ancora nel 1864 erano presentati nel Dizionario di cognizioni utili edito a Torino, come dalle " larghe spalle, testa enorme, capelli neri e ruvidi, poca barba, fisionomia senza espressione, e d'una altezza di corpo di circa sei piedi (due metri circa), cosicché sono forse i più alti del globo ". La loro ferocia era adeguatamente ambientata in un terreno incolto, privo di alberi, inospitale, dove spiravano fortissimi venti, dove si aggiravano a cavallo rapidissimi, armati di " lazo ", di bolo e di lance che brandivano con destrezza”.
Una circolare per arruolare volontari.
La domanda concreta giunge dall'Arcivescovo di Buenos Aires alla fine del 1874. “Le prime lettere - dichiara don Bosco - le lessi al Capitolo della Congregazione la sera del 22 dicembre”.
La proposta era duplice: assumere in Buenos Aires una parrocchia popolata da immigrati italiani, dedicata alla Madre della Misericordia; far funzionare in San Nicolas un collegio per ragazzi, da poco terminato. San Nicolas era un centro molto importante nell'archidiocesi di Buenos Aires.
Don Bosco rispose in Argentina tracciando in tre punti il suo programma:
- avrebbe inviato alcuni sacerdoti a Buenos Aires per costruirvi il punto-base dei salesiani in America. Essi si sarebbero impegnati “specialmente per la gioventù povera e abbandonata, catechismi, scuole, predicazioni, oratori festivi”;
- in un secondo tempo, i salesiani avrebbero assunto anche l'opera di San Nicolas;
- da queste prime due basi i salesiani avrebbero potuto in seguito “essere inviati altrove”.
In questo terzo punto, don Bosco racchiudeva e quasi velava il suo disegno di “raggiungere al più presto i popoli selvaggi”.
Era così delineato in termini pratici e concreti un metodo particolare di evangelizzazione missionaria: i religiosi di don Bosco non si sarebbero subito lanciati tra le tribù lontane da ogni civiltà, ma avrebbero creato delle basi in territorio sicuro, lavorando tra gli emigrati italiani numerosissimi in Argentina e veramente bisognosi di assistenza religiosa e morale. Di lì sarebbero partiti per intraprendere i loro tentativi apostolici “di prima linea”.
Il 27 gennaio 1875, don Bosco ricevette dal console comunicazione ufficiale che le sue condizioni erano state accettate.
“Allora il Santo, senza lasciar trapelare nulla in casa, preparò un bel colpo di scena - racconta don Ceria -. La sera del 29 gennaio, festa di san Francesco di Sales, fece radunare artigiani, studenti e confratelli nella sala di studio, dov'era eretto un palco. Vi ascese don Bosco, il console Gazzolo in una pittoresca uniforme, i membri del Capitolo Superiore e i direttori delle case salesiane”.
All'assemblea attentissima, don Bosco annunciò che, con l'approvazione del Papa, i primi salesiani sarebbero presto partiti per le missioni dell'Argentina meridionale. Quelle parole non suscitarono timore per i rischi e per un'impresa che pareva temeraria, ma entusiasmo incontenibile nei giovani e nei salesiani.
“Era stato gettato un fermento nuovo fra allievi e giovani salesiani. Si videro moltiplicarsi le vocazioni allo stato ecclesiastico. Crebbero sensibilmente le domande di ascriversi alla Congregazione. L'ardore missionario si impadronì di tutti”. Eugenio Ceria, che scrive queste parole negli Annali della Congregazione, commenta: “Per giudicare l'impressione prodotta, noi dobbiamo riportarci a quei tempi, quando la Congregazione aveva ancora l'aria di una famiglia strettamente accentrata attorno al suo Capo. Lo slancio dato in quel giorno alla fantasia portò all'improvviso a immaginare orizzonti sconfinati, e ingigantì in un istante il già grande concetto che si aveva di don Bosco e della sua opera. Cominciava veramente per l'oratorio e per la Società Salesiana una nuova storia”.
Il 5 febbraio don Bosco dava l'annuncio della prima spedizione missionaria a tutti i salesiani che risiedevano fuori Valdocco. La sua circolare pregava i volontari di presentare domanda scritta. La data era fissata, in linea di massima, per il mese di ottobre.
L'entusiasmo si moltiplicò dovunque. Quasi tutti si offrirono candidati per le missioni. “Cominciava una nuova storia” non sembrano parole esagerate.
Capo-spedizione: il ragazzo dei giganti.
Le spedizioni missionarie che don Bosco organizzerà nella sua vita saranno undici. Ma nessuna supererà l'entusiasmo e la febbre della prima.
Venne preparata nei minimi particolari. Perché i suoi figli fossero accolti “come amici fra amici”, don Bosco si mise in contatto con personalità di Buenos Aires. Per fornire loro tutto il necessario, si rivolse ai cooperatori: egli stesso fu sorpreso della loro generosità.
I missionari partenti dovevano esprimere il meglio della giovane e piccola Congregazione. Tra quelli che avevano risposto al suo invito (erano una massa) don Bosco scelse sei sacerdoti e quattro coadiutori. Qualcuno andò poi a finire male: non sempre don Bosco l'imbroccava, né sempre aveva lumi dall'alto.
Capo della spedizione sarebbe stato Giovanni Cagliero, il ragazzo su cui aveva visto un giorno lontano curvarsi due indi giganteschi color rame. A 37 anni, diventato un sacerdote robusto, gioviale, intelligente e di un'attività esuberante, don Cagliero si preparava a diventare in America l'uomo della situazione. Era difficile immaginare l'oratorio senza di lui: laureato in teologia, era il professore dei chierici, era l'insuperabile maestro e compositore di musica, aveva in mano faccende molto delicate, e dirigeva spiritualmente parecchi Istituti religiosi della città. Sarebbe stata una perdita molto grave la sua partenza.
È curioso il “metodo” con cui don Bosco l'arruolò per la spedizione. Racconta don Ceria:
“Dopo essere rimasto soprappensiero e silenzioso, un giorno di marzo don Bosco disse a don Cagliero che gli stava al fianco:
- Vorrei mandare qualcuno dei nostri preti più antichi ad accompagnare i missionari in America, che si fermasse là un tre mesi con loro, finché non siano ben collocati. Abbandonarli subito soli senza un appoggio, un consigliere con il quale abbiano confidenza, mi sembra una cosa un po' dura.
Don Cagliero rispose:
- Se don Bosco non trovasse nessun altro, e pensasse a me per questo ufficio, io sono pronto.
- Va bene - concluse don Bosco.
I mesi passavano senza che si facesse più cenno a quella faccenda. Avvicinandosi però la data della partenza, un giorno all'improvviso don Bosco gli disse:
- Quanto all'andare in America, sei sempre dello stesso pensiero? L'hai detto forse per burla?
- Lei sa bene che con don Bosco non burlo mai. - Va bene. Allora preparati, è tempo.
Don Cagliero corse via a iniziare i preparativi. In pochi giorni, lavorando febbrilmente, li condusse a termine”.
Così, con la solita bonaria semplicità, cominciò la sua missione il primo e più grande missionario salesiano. I tre mesi preventivati durarono complessivamente trent'anni.
Un altro sacerdote di valore che partiva era don Fagnano, animo di pioniere, ex soldato di Garibaldi. Gli altri quattro sacerdoti erano Cassinis, Tomatis, Baccino e Allavena. I quattro coadiutori erano Scalvini, maestro falegname, Gioia, cuoco e maestro calzolaio, Molinari, maestro di musica, e Belmonte, amministratore.
20 ricordi scritti a matita.
L'estate fu dedicato dai partenti allo studio della lingua spagnola.
In ottobre don Cagliero li guidò a Roma, a ricevere la benedizione del Papa. Pio IX “appena entrato nella sala disse: "Ecco un povero vecchio. Dove sono i miei piccoli missionari? Voi dunque siete i figli di don Bosco, e andate a predicare il Vangelo in Argentina. Avrete un vasto campo per fare del bene. Spandete in mezzo a quei popoli le vostre virtù. Desidero che vi moltiplichiate, perché grande è il bisogno, e copiosissima la messe tra le tribù selvagge ".
Tornarono a Torino. Eugenio Ceria ricorda: “Una spedizione di missionari in fondo all'America, in quel 1875, aveva qualcosa di epico agli occhi di coloro che vivevano in quel remoto angolo di Torino chiamato Valdocco. Si guardava ai partenti come a generosi campioni, che movessero arditi incontro al mistero. Vedendoli aggirarsi per casa nel loro abito esotico, ognuno cercava di avvicinarli e di scambiare con essi una parola”.
L'11 novembre, nel santuario di Maria Ausiliatrice, don Bosco diede loro l'addio. Alle 16 la chiesa era piena da traboccare. Al termine dei vespri, don Bosco salì sul pulpito, e tracciò ai partenti il programma della loro azione. In primo luogo si sarebbero occupati degli italiani emigrati in Argentina:
“Vi raccomando con insistenza particolare la posizione dolorosa di molte famiglie italiane. Voi troverete un grandissimo numero di fanciulli e anche di adulti che vivono nella più deplorevole ignoranza del leggere, dello scrivere e di ogni principio religioso. Andate, cercate questi nostri fratelli, che la miseria e la sventura portò in terra straniera”.
Poi avrebbero iniziato l'evangelizzazione della Patagonia:
“In questo modo noi diamo inizio a una grande opera, non perché si creda di convertire l'universo intero in pochi giorni, no. Ma chi sa che non sia questa partenza e questo poco come un seme da cui abbia a sorgere una grande pianta? Chi sa che non sia come un granellino di miglio o di senapa, che a poco a poco vada estendendosi e non abbia da produrre un gran bene?”.
Al termine, don Bosco diede ai partenti il suo abbraccio paterno. La commozione fu grande quando i dieci missionari attraversarono la chiesa, passando in mezzo ai giovani e agli amici. Si stringevano attorno a loro. Don Bosco arrivò ultimo sulla soglia della porta. Uno spettacolo grandioso: piazza gremita di folla, lunga fila di carrozze che aspettavano i missionari, chiarore di lanterne che illuminavano la notte. Don Lemoyne era vicino a don Bosco e gli disse:
- Don Bosco, comincia dunque ad avverarsi l'Inde exibit gloria mea (Di qui uscirà la mia gloria)?
- È vero - rispose don Bosco profondamente commosso. Sono i momenti in cui si può perdere il senso del limite. Ma don Bosco aveva i piedi saldamente per terra. Solo pochi mesi prima aveva detto: “Che cos'è nel mondo il nostro oratorio di Valdocco? Un atomo. Eppure ci dà tanto da fare, e da questo cantuccio si pensa a mandare gente di qua e di là. Oh bontà di Dio”.
Ognuno dei partenti aveva con sé un foglietto con “20 ricordi speciali” scritti da don Bosco. Li aveva tracciati a matita nel suo taccuino durante un recente viaggio in treno, e li aveva fatti ricopiare per tutti. Sono un vero “distillato” di come don Bosco voleva i missionari salesiani. Trascriviamo i 5 più significativi:
1. Cercate anime, ma non denari, né onori, né dignità.
5. Prendete speciale cura degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini.
12. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.
13. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi né invidia né rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle.
20. Nelle fatiche e nei patimenti, non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in cielo. Amen.
Lo stesso 11 novembre, don Bosco accompagnò i missionari fino a Genova, dove s'imbarcarono il giorno 14 sul piroscafo francese Savoie. Un testimone ricorda che don Bosco era tutto rosso per lo sforzo di contenere la commozione.
L'avvenire non si profilava facile. Ma don Cagliero portava con sé un biglietto su cui don Bosco gli aveva scritto: “Fate quello che potete: Dio farà quello che non possiamo far noi. Confidate ogni cosa in Gesù Sacramentato e in Maria Ausiliatrice, e vedrete che cosa sono i miracoli”.
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