Don Giovanni Cagliero, nei piani di don Bosco, doveva rimanere in America tre mesi, rafforzare la prima missione e poi tornare. Rimase invece due anni.
Nel 1877, don Bosco aveva mandato oltre oceano due nuovi gruppi di salesiani, con a capo due uomini che potevano prendere in mano la situazione: don Luigi Lasagna e don Giacomo Costa- magna.
Allora don Cagliero tornò. Nel 1877 si teneva a Lanzo il primo Capitolo Generale della Congregazione, ed era conveniente ci fosse anche lui, Direttore spirituale della Società e unico esperto dei problemi missionari.
Negli anni seguenti, don Bosco gli affidò due compiti delicati: iniziare l'opera salesiana in Spagna e dirigere la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice che muoveva i primi passi.
“Chi potrebbe prendere il mio posto?”
Nel 1879 don Bosco aveva soltanto 64 anni, eppure si sentiva già sfinito e in rapido declino. Voleva scegliersi, tra i primissimi che l'avevano seguito, uno che poco per volta prendesse in mano tutti gli affari della Congregazione, e in qualunque momento potesse sostituirlo. Un “vicario”, insomma. I nomi possibili erano due: Rua e Cagliero. Entrambi fidatissimi e di grandi capacità. A entrambi don Bosco voleva un bene dell'anima, ed era ricambiato nella stessa misura. Ma la scelta di uno, non avrebbe potuto adombrare l'altro?
Ed ecco la maniera delicata con cui don Bosco procedette. Un mattino dell'autunno 1879, dovendo recarsi a Foglizzo, chiese a don Cagliero di accompagnarlo. Lungo il viaggio gli domandò all'improvviso: -Se io morissi, chi credi potrebbe prendere il mio posto?
Don Cagliero non fece le corna, ma strabuzzò gli occhi:
- Caro don Bosco, non le pare un po' presto per parlare di queste cose?
- Ammettiamo che sia così. Ma facciamo l'ipotesi: quali nomi indicheresti tu?
- Di nomi ne farei uno solo. Ce n'è uno solo in grado di prendere il suo posto.
- Io invece ne farei due, o anche tre.
- In seguito ce ne saranno forse due o tre. Adesso non credo. Ma mi dica, chi sono i suoi tre?
- Prima dimmi il tuo candidato.
- Don Rua, non c'è che don Rua.
- Hai ragione. È sempre stato il mio braccio destro.
- Il braccio, la testa e il cuore, caro don Bosco. Egli è l'unico capace di prendere il suo posto, quando Dio vorrà proprio chiamarla in Paradiso.
Don Bosco era stato delicatissimo, e Cagliero con uguale delicatezza si era tirato in disparte. Nemmeno un'ombra avrebbe turbato la scelta del “secondo don Bosco”.
Non glielo disse mai, ma don Bosco fu molto riconoscente a don Cagliero per quelle parole dette con franca umiltà su un calesse che andava verso Foglizzo.
L'abbraccio vigoroso del primo vescovo
Il 16 e il 20 novembre 1883, la Santa Sede emanò due importanti documenti. La Patagonia settentrionale e centrale (territorio di Rio Negro, Chubut e Santa Cruz) veniva dichiarato “Vicariato Apostolico”, alle dipendenze di don Giovanni Cagliero nominato Provicario Apostolico. La Terra del Fuoco (estremo territorio meridionale della Patagonia) veniva dichiarata Prefettura Apostolica, e don Fagnano nominato Prefetto Apostolico.
Don Cagliero avrebbe dovuto ripartire per l'America come Provicario, non come vescovo: solo più tardi sarebbe stato elevato alla dignità vescovile. Ma don Bosco non era d'accordo. Parlò con il card. Alimonda, scrisse al protettore dei Salesiani card. Nina, pregò vivamente il Papa. C'era il cardinale Ferrieri che non ne voleva sapere, ma questa volta Leone XIII accettò la preghiera di don Bosco.
Il 9 ottobre 1884 partì da Roma una lettera per Valdocco: “Il Santo Padre, nell'udienza di domenica scorsa, esaudì la preghiera di don Bosco, e consentì di dare il carattere vescovile a don Cagliero, nuovo Provicario Apostolico in Patagonia”.
Don Bosco ebbe una giornata felice. L'antico sogno della colomba e del ramo d'ulivo si avveravano. Le parole dette a un ragazzo moribondo: “E il breviario hai da farlo portare a tanti altri. E andrai lontano lontano”, non erano state l'illusione di un momento: si stavano facendo realtà.
La consacrazione ebbe luogo nel santuario di Maria Ausiliatrice il 7 dicembre 1884. Per Valdocco fu un avvenimento memorabile. Uno dei primi ragazzetti di don Bosco, entrato all'oratorio a 13 anni orfano di padre, a 46 anni veniva consacrato vescovo di una sterminata regione missionaria.
Due particolari. Al termine dell'imponente funzione, il giovane vescovo si staccò dal corteo e si diresse verso sua madre. La vecchietta (80 anni) gli venne incontro sorretta da un figlio e da un nipote. Mons. Cagliero strinse sul petto la testa bianca, e tra la commozione dei presenti la riaccompagnò con delicatezza perché si sedesse. Verso la sacrestia, mescolato tra la folla, l'aspettava don Bosco con la berretta in mano. Il vescovo corse e lo strinse in un abbraccio vigoroso. Aveva tenuto nascosta la mano con l'anello vescovile tra le pieghe dell'abito. Il primo bacio toccava di diritto al “suo” don Bosco.
Don Rua vicario di don Bosco.
Solo dopo la nomina di don Cagliero a vescovo della Patagonia, don Bosco annunciò la scelta di un suo “vicario”. Al Capitolo superiore della Congregazione, il 24 ottobre 1884, disse: “Ho bisogno che vi sia uno al quale possa affidare la Congregazione e porla sopra le sue spalle, lasciandone a lui tutta la responsabilità. Il Papa sarebbe contento che don Bosco si ritirasse pienamente. La mia povera testa non regge più”.
Scrisse al Papa proponendo il nome di don Michele Rua. La risposta affermativa arrivò all'inizio di dicembre.
Don Bosco lo prese per mano.
Mons. Cagliero doveva partire da Torino per l'America del sud il 1° febbraio 1885. Portava con sé l'8 salesiani e 6 Figlie di Maria Ausiliatrice. Ma la sera del 1° febbraio, accompagnati i missionari al treno, si sentì stanco, e tornò a passare la notte a Valdocco. Salì alla stanza di don Bosco, gli si sedette accanto e stettero in silenzio. Dopo una lunga pausa, don Bosco domandò:
- Sono partiti i tuoi compagni?
- Sì.
- E tu quando partirai?
- Devo essere a Sampierdarena domani.
- Se puoi, parti sul tardi, riposati bene.
- Lasci fare a me. E adesso mi dia la sua benedizione.
- Perché stasera? Vieni domani mattina, parleremo ancora con tranquillità. - No, don Bosco, domani devo partire molto presto.
- Ma sei stanco. Tuttavia fai come meglio credi.
- Allora benedica me e benedica i miei compagni.
Il Vescovo s'inginocchiò. Don Bosco lo prese per mano:
- Fa' buon viaggio. Se non ci rivedremo più su questa terra, ci rivedremo in Paradiso.
- Non parli di questo, ci rivedremo ancora.
- Sarà come vuole il Signore. È lui il padrone. Nell'Argentina e nella Patagonia avrete molto da fare; lavorerete molto, e la Madonna vi aiuterà.
Cominciò la formula della benedizione. La voce gli veniva lenta, a tratti non ricordava le parole. Mons. Cagliero gliele suggeriva adagio, e don Bosco le ripeteva docile, stringendogli sempre la mano. Al termine il vescovo si alzò:
- Allora buona notte, mio caro don Bosco. Ora riposi.
- Mi saluterai i tuoi compagni di viaggio, i confratelli che lavorano in America, i cooperatori. Avrei ancora tante cose da dirti. Che Dio ti benedica.
“La casa del vescovo era una capanna di tronchi”.
Don Bosco seguì con commozione affettuosa in quegli ultimi anni le vicende missionarie di quel suo ragazzone vigoroso ed entusiasta. Leggeva le sue lettere e le passava immediatamente al Bollettino Salesiano per la pubblicazione.
Nel luglio del 1886 mons. Cagliero comunicò che la parte della Patagonia settentrionale più importante e popolata, era ormai interamente conosciuta, visitata e catechizzata dai missionari salesiani.
In quello stesso luglio, alla residenza di Patagònes, si presentò il figlio del cacico Sayuhueque, che chiese al vescovo di salire nella valle di Chichinal a evangelizzare gli adulti delle tribù. “Nell'immensa valle del Chichinal - raccontò mons. Cagliero - battezzammo 1.700 indigeni. Facevamo tutti i giorni tre ore di catechismo al mattino e tre nel pomeriggio. La casa del vescovo era una capanna di tronchi e fango, dal tetto di rami che mi riparava dal sole, e dalla pioggia... quando non pioveva. Nessuna traccia di letti. Dormivamo sulle pelli che con grande affetto ci avevano dato quei buoni indigeni, di indole buona e capaci di entusiasmo”.
Nel 1887, mons. Cagliero intraprese una nuova lunga missione insieme a don Milanesio e a due altri salesiani. Il viaggio di evangelizzazione doveva spingersi per 1.500 chilometri: valle del Rio Negro, valli delle Ande, valico delle Cordigliere e discesa a Concepción in Cile.
Per 1.300 chilometri percorsi a cavallo tutto andò bene. Il vescovo potè amministrare 997 battesimi, quasi tutti a indi adulti, benedire 101 matrimoni, distribuire un migliaio di Comunioni e amministrare 1.513 Cresime. Incalcolabili le ore passate a far catechismo ai piccoli e a evangelizzare i grandi.
La mattina del 3 marzo, mentre avevano appena lasciato Malbarco sulla riva del Neuquén, avvenne un gravissimo incidente. Lo raccontò il vescovo stesso in una lettera:
“Attraversata la Cordigliera a 2,000 metri di altezza, dovevamo salirne ben altri mille. Il sentiero si snodava sul fianco di aspre pareti di granito, e piombava a picco nell'abisso. Il mio cavallo a un tratto s'impennò e cominciò a saltare all'impazzata. Invocai Maria Ausiliatrice e mi gettai giù dalla sella. Una punta rocciosa mi penetrò nella carne spezzando due costole e forando il polmone. Rimasi come morto, respiravo a fatica e non riuscivo a parlare. I miei compagni si avvicinarono, e io, come riuscii a balbettare qualche parola, per rianimarli cercavo di prendere la cosa in burla, e dicevo che siccome abbiamo 24 costole, se ne poteva ben sacrificare qualcuna. Dovemmo tornare indietro e attraversare due fiumi e due cordigliere per trovare un posto dove fermarmi e curarmi. Ma quale cura! C'era appena un praticone che curava le malattie con sistemi primitivi. Gli chiesi se faceva anche il fabbro ferraio per riparare le mie due costole. Stetti là un mese, e come Dio volle, guarii. Ancora convalescente mi rimisi a cavallo, e con un viaggio di quattro giorni con i miei missionari passai di nuovo le Cordigliere a più di 3.000 metri, e scesi alla dolce pianura cilena sulle sponde del Pacifico. Lì stabilii le basi per le nuove Case salesiane di Concepción, Talea, Santiago e Valparaiso. Così quell'anno, sempre a cavallo, con tre miei compagni, dormendo in fondo ai fossi e sotto gli alberi, avevo attraversato l'America da un Oceano all'altro”.
Intervista con don Bosco.
Nell'aprile del 1884 don Bosco aveva dovuto andare a Roma. Alcuni benefattori avevano promesso ingenti somme per la chiesa del Sacro Cuore, ma non si erano più fatti vivi. “Bisogna andare a suonare le campane”, disse don Bosco con un mesto sorriso.
In quell'occasione, per la prima volta nella sua vita, don Bosco si sottopose a un'intervista (quella tecnica giornalistica era stata inventata nel 1859 dall'americano Horace Greely). Crediamo sia più che una curiosità leggere come don Bosco rispose alle “domande dirette” di un reporter del Journal de Rome. L'intervista fu pubblicata sul giornale il 25 aprile 1884.
Domanda. Per quale miracolo lei ha potuto fondare tante case in Paesi del mondo così diversi?
Risposta. Ho potuto fare più di quello che speravo, ma il come non lo so neppure io. La Santa Vergine, che conosce i bisogni dei nostri tempi, ci aiuta.
D. Ma in che modo vi aiuta?
R. Veda. Una volta, per la nostra chiesa che si costruisce in Roma, mi scrissero a Torino che occorrevano entro otto giorni 20.000 lire. In quel momento ero senza denari. Posi la lettera presso l'acquasantiera, innalzai una fervida preghiera alla Madonna e mi coricai, rimettendo l'affare nelle sue mani. La mattina dopo ricevo una lettera da uno sconosciuto, che in sostanza mi diceva: " Avevo fatto voto alla Madonna che, se mi concedeva una certa grazia, avrei dato 20.000 lire per un'opera di carità. Ho ricevuto la grazia e metto a sua disposizione questa somma ". Un'altra volta, trovandomi in Francia, ricevo la brutta notizia che una mia casa deve disporre subito di 70.000 lire per non correre un brutto rischio. Non vedendo lì per lì come rimediare, ricorro nuovamente alla preghiera. Verso le dieci stavo per andare a letto, quando sento picchiare alla porta della mia camera. Vado ad aprire. Entra un mio amico con un grosso incartamento nelle mani e mi dice: " Caro don Bosco, nel mio testamento avevo disposto una somma per le sue opere. Ma oggi mi è venuto in mente che per fare il bene è meglio non aspettare la morte. Le ho portato subito quella somma. Eccola: 70.000 lire ".
D. Questi sono miracoli. Permetta un'indiscrezione: di miracoli ne ha fatti altri?
R. Io non ho mai pensato che a fare il mio dovere. Ho pregato e ho confidato nella Madonna.
D. Vorrebbe dirci qual è il suo sistema educativo?
R. Semplicissimo: lasciare ai giovani piena libertà di fare le cose che loro sono maggiormente simpatiche. Il punto sta nello scoprire quali sono i germi delle loro buone qualità, e poi procurare di svilupparli. Ognuno fa con piacere solo ciò che sa di poter fare. Io mi regolo con questo principio, e i miei allievi lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. In 46 anni non ho mai inflitto neppure un castigo. E oso affermare che i miei alunni mi vogliono molto bene.
D. Come ha fatto a estendere le sue opere fino alla Patagonia e alla Terra del Fuoco?
R. Un po' alla volta.
D. Che cosa pensa delle condizioni attuali della Chiesa in Europa, in Italia, e del suo avvenire?
R. Io non sono un profeta. Lo siete invece un po' tutti voi giornalisti. Quindi è a voi che bisognerebbe domandare che cosa accadrà. Nessuno, eccetto Dio, conosce l'avvenire. Tuttavia, umanamente parlando, c'è da credere che l'avvenire sarà grave. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa, e la Madonna, che visibilmente protegge il mondo contemporaneo, saprà far sorgere dei redentori.
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