Il Papa regnante e il Papa emerito celebrano insieme in Vaticano l'anniversario di sacerdozio di Ratzinge...
Una cerimonia sobria, carica di affetto e ricordi, quella che si è svolta oggi nella Sala Clementina dove il Papa regnante, Francesco, e il Papa emerito, Benedetto XVI, hanno celebrato insieme il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Ratzinger avvenuta il 29 giugno 1951 nella cattedrale di Frisinga.
Un “piccolo atto”, come aveva annunciato lo stesso Francesco sull’aereo di ritorno dall’Armenia, perché lui, Benedetto, “preferisce una cosa piccola, molto modesta”. Pochi quindi gli ospiti presenti: solo alcuni cardinali e capi Dicastero e i membri della ‘Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger’; pochi i discorsi: quello di Bergoglio e i due indirizzi di saluto da parte dei cardinali Sodano e Muller, intervallati dai canti eseguiti dal Coro della Cappella Sistina.
Tante, però, le parole di elogio sulla figura e l’opera del Papa che ha deciso tre anni fa di rinunciare al ministero petrino e di continuare a vivere nel cuore del Vaticano, nel nascondimento e nella preghiera. È proprio così, però, che “Lei, Santità – ha affermato Papa Francesco nel suo intervento – continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita”.
“Lo fa da quel piccolo Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno”. “È tutto il contrario e questo permetta che lo dica con forza il Suo Successore che ha scelto di chiamarsi Francesco!”, aggiunge, “perché il cammino spirituale di San Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell’Ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la ‘piccola porzione’, l’angolino presso la Madre della Chiesa”.
Allo stesso modo, afferma ancora il Santo Padre, “la Provvidenza ha voluto che Lei, caro Confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente ‘francescano’ dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me ed a tutta la Chiesa. E anche mi permetto anche da Lei viene un sano e gioioso senso dell’umorismo”.
Voltandosi indietro, e guardando a quella Messa nella Cattedrale di Freising di 65 anni fa, durante la quale fu ordinato prete anche il fratello Georg, Papa Francesco individua una “nota di fondo” che “percorre questa lunga storia” e che “la domina sempre più” fino ad oggi. È l’amore al Signore che si sintetizza nelle parole di Simone a Cristo nell’ora della chiamata definitiva: ”Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”.
Questa nota “domina una vita intera spesa al servizio sacerdotale e della teologia che Lei non a caso ha definito come ‘la ricerca dell’amato’” osserva il Papa; “è questo che Lei ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi: che la cosa decisiva nelle nostre giornate — di sole o di pioggia —, quella solo con la quale viene anche tutto il resto, è che il Signore sia veramente presente, che lo desideriamo, che interiormente siamo vicini a lui, che lo amiamo, che davvero crediamo profondamente in lui e credendo lo amiamo veramente”.
Questo amare “ci riempie il cuore”, questo credere “è quello che ci fa camminare sicuri e tranquilli sulle acque, anche in mezzo alla tempesta, proprio come accadde a Pietro” e che “ci permette di “guardare al futuro non con paura o nostalgia, ma con letizia, anche negli anni ormai avanzati della nostra vita”.
L’augurio di Bergoglio è quindi che il suo predecessore “possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede!”.
Non sono mancati abbracci tra i due Papi, in segno dell’unità che li lega e contro tutte quelle congetture di una ‘diarchia’ in Vaticano che lo stesso Francesco ha smentito sempre sull’aereo Yerevan-Roma. Benedetto XVI, aveva dichiarato in quell’occasione ai giornalisti, “non è il ‘secondo Papa’”, “lui per me è il Papa emerito, è il nonno saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera”.
Un sostegno reciproco avvertito da entrambe le parti, come hanno confermato le belle parole espresse da Ratzinger al termine della cerimonia. A braccio, con la consueta pacatezza e quell’accento tedesco che non risuonava da circa tre anni nei Sacri Palazzi, il Papa emerito ha ringraziato il Papa attuale per “la sua bontà”. “Dal primo momento dell’elezione – ha detto – in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente più che nei Giardini Vaticani, con la bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto”.
“Grazie anche della parola di ringraziamento, per tutto” ha aggiunto, esprimendo la speranza “che Lei potrà andare avanti con noi tutti con questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, a Gesù, a Dio”.
Anche Benedetto si è poi lasciato andare ai ricordi, rammentando in particolare una parola greca che, 65 anni fa, un fratello ordinato con lui aveva deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa: Eucharisthomen, perché “convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento”.
“Eucharisthomen”, ripete il Pontefice emerito, “dice un grazie umano, grazie a tutti” e richiama anche “la parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle Parole: Gratias agens benedixit fregit deditque”. “Eucharisthomen – prosegue – ci manda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in grazia e in benedizione la Croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore”.
Tutti noi – ha detto Ratzinger – “vogliamo inserirci in questo ‘grazie’ del Signore e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare alla transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte”.
La gratitudine del Papa tedesco è andata anche al card. Sodano che, nel suo saluto, ha voluto rendergli “un doveroso omaggio a nome di tutta la Santa Chiesa, che ha goduto per 65 anni del suo ministero pastorale, prima come presbitero e successivamente come vescovo nella sede di München e Freising e poi come Vescovo di Roma, mater et caput omnium ecclesiarum”.
“Grazie a Lei, eminenza, per le Sue parole che hanno veramente toccato il cuore: Cor ad cor loquitur. Lei ha reso presente sia l’ora della mia ordinazione sacerdotale, sia anche la mia visita nel 2006 a Freising, dove ho rivissuto questo”, ha detto Ratzinger. “Posso solo dire che così, con queste parole che ha interpretato l’essenziale della mia visione del sacerdozio, del mio operare. Le sono grato per il legame di amicizia che fino adesso continua da tanto tempo, da tetto a tetto: è quasi presente e tangibile”.
Un grazie anche al card. Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha curato l’antologia di testi del Papa bavarese sul sacerdozio edita da Cantagalli e prefata da Papa Francesco. “Grazie, per il Suo lavoro che fa per la presentazione dei miei testi sul sacerdozio, nei quali cerco di aiutare anche i confratelli a entrare sempre di nuovo nel mistero che il Signore si dà nelle nostre mani”.
Una copia di questa Benedetto ha voluto donarla a Francesco a conclusione della cerimonia. Poi è seguito un terzo abbraccio fraterno, non prima di essersi tolto lo zucchetto bianco dalla testa.
Salvatore Cernuzio
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