Almeno 900 persone, da tre settimane, vivono sotto ripari di fortuna in quello che è rimasto del campo di Lipa, località tra i boschi sulle alture della Bosnia Erzegovina a pochi chilometri dal confine con la Croazia.
tratto da caritasambrosiana.it
Almeno 900 persone, da tre settimane, vivono sotto ripari di fortuna in quello che è rimasto del campo di Lipa, località tra i boschi sulle alture della Bosnia Erzegovina a pochi chilometri dal confine con la Croazia.Dopo che la tendopoli temporanea che li ospitava è andata a fuoco, l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre, le loro condizioni già molte precarie sono precipitate. Senza acqua, né elettricità, né servizi igienici gli sfollati (tutti uomini, richiedenti asilo, provenienti per lo più da Pakistan e Afghanistan) sono costretti a scaldarsi accendendo piccoli falò. «Non è ancora arrivato il gelo, ma fa già molto freddo, la neve che era caduta nei giorni scorsi si è sciolta creando un pantano che rende la quotidianità ancora più complicata», spiega Silvia Maraone, operatrice umanitaria che lavora da anni nella regione in progetti promossi dall’Istituto Pace Sviluppo e Innovazione (IPSIA) della Acli, Caritas Italiana e Caritas Ambrosiana.
Abbandonati a loro stessi, i profughi non hanno vestiti adeguati e scarpe per affrontare l’inverno. Possono contare solo un pasto al giorno che fornisce loro la Croce Rossa, l’unica organizzazione insieme alla Caritas ed IPSIA autorizzata ad operare. Un lieve miglioramento della situazione è atteso nei prossimi giorni. I militari dell’esercito bosniaco stanno allestendo delle nuove tende che dovrebbero garantire una sistemazione meno precaria. Tuttavia non sono al momento previsti né allacciamenti idrici o alla rete elettrica che sarebbero fondamentali per affrontare i prossimi mesi invernali e assicurare standard igienico sanitari minimi tanto più in mezzo ad una pandemia che ha colpito duramente il Paese.
Il destino dei profughi resta, dunque, molto incerto.
Nata come soluzione transitoria, Lipa avrebbe dovuto trasformarsi in un campo ufficiale. Ma il Cantone e la Municipalità si erano opposte alla decisione del Consiglio dei ministri di Sarajevo e non avevano dato corso ai lavori di adattamento necessari per assicurare una sistemazione dignitosa a 1.500 ospiti. Una presa di posizione che aveva spinto l'International Organization for Migration (IOM) a ritirarsi dalla gestione.
Tramontata l’ipotesi di adeguare l’accampamento di Lipa, nemmeno un possibile trasferimento a Bihac pare al momento un’opzione praticabile sempre per l’opposizione del sindaco della cittadina e delle autorità del Cantone di Una Sana, che a fine settembre avevano chiuso il campo di Bira, allestito in una ex fabbrica e si erano opposti strenuamente ad ogni tentativo di riapertura.
Una posizione intransigente sostenuta, per altro, da larga parte della cittadinanza.
Lo scorso 22 dicembre, la popolazione aveva bloccato e rimandato indietro i minibus di migranti in arrivo da Lipa organizzati dal governo. Nei giorni scorsi, lo stesso presidio ha impedito l’accesso al campo anche agli operatori umanitari di IPSIA e Caritas.
Questa crisi civile, politica e istituzionale è all’origine della “catastrofe umanitaria” che IOM denuncia nella regione. Secondo l’organizzazione sarebbero almeno 3.000 le persone totalmente allo sbando, senza un posto dove stare, nel bel mezzo dell’inverno. Una situazione, tra l’altro, aggravata dai violenti respingimenti alla frontiera della polizia croata denunciati anche al Parlamento Europeo che impediscono ai migranti di proseguire il loro viaggio in Europa.
In queste gravissime condizioni umanitarie, Caritas Ambrosiana, Caritas Italiana, IPSIA, hanno deciso un intervento di urgenza per aiutare i profughi, imprigionati nei boschi della Bosnia dai veti incrociati delle autorità.
Nei giorni scorsi sono arrivati i primi sei camion carichi di legna da ardere. La fornitura continuerà nelle prossime settimane per tutto il tempo che sarà necessario a superare l’inverno.
Per sostenere questo sforzo è partita in questi giorni una raccolta fondi.
«Non è la soluzione al problema, ma è la sola cosa che in questo momento è possibile fare per permettere a queste persone almeno di sopravvivere», sottolinea Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
Dalla “crisi dei rifugiati” del 2015 ad oggi Caritas Ambrosiana, ha sempre tenuto accesa l’attenzione sulla Rotta Balcanica: durante il webinar “La rotta balcanica: dentro o fuori l’Europa?”, organizzato in collaborazione con l’Ufficio del Parlamento europeo a Milano, già denunciava le difficili condizioni di vita dei migranti lungo la rotta, ai confini dell’Europa.
Caritas Ambrosiana, in collaborazione con Caritas Italiana, Ipsia e il network delle Caritas locali, si è attivata in questa emergenza migratoria fin dall'inizio della crisi, sia con programmi di emergenza (distribuzione di aiuti umanitari ai migranti in transito o in sosta) sia con interventi pensati per il medio periodo (allestimento di strutture per accoglienza diffusa, creazione di una mensa per preparare pasti caldi per l’inverno) e soprattutto avviando attività psico-sociali con personale qualificato e invio di decine di volontari durante l’estate.
Durante il lockdown, nonostante le difficoltà e le necessarie misure di sicurezza, il lavoro degli operatori non si è mai fermato: non è mancata una tazza di the al “Caj Corner” per le migliaia di migranti confinati nella ex fabbrica “Bira”; in occasione della Pasqua, abbiamo distribuito alle famiglie, ai bambini e ai minori non accompagnati, ospitati al campo “Sedra” kit per affrontare le rigide temperature invernali.
Anche durante le festività natalizie, l’equipe locale ha distribuito giocattoli, vestiti, scarpe e materiale scolastico sia ai bambini ospitati nei centri di accoglienza sia alle famiglie bosniache in difficoltà a causa della pandemia.
Per sostenere i progetti di emergenza di Caritas Ambrosiana in favore di profughi in Bosnia
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Causale: Emergenza profughi nei Balcani
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