Cosa succederebbe se non nascessero più figli sulla terra? Il mondo non avrebbe più futuro, esisterebbe soltanto il passato e la storia diventerebbe residua, tendendo iseorabilmente all'esaurimento. Questo è il tema centrale di Children of men (trad. I figli degli uomini) splendido film del regista e filosofo messicano Alfonso Cuaròn...
del 13 marzo 2009
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Cosa succederebbe se non nascessero più figli sulla terra? Il mondo non avrebbe più futuro, esisterebbe soltanto il passato e la storia diventerebbe residua, tendendo iseorabilmente all’esaurimento.
Questo è il tema centrale di Children of men (trad. I figli degli uomini) splendido film del regista e filosofo messicano Alfonso Cuaròn tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice britannica Phyllis Dorothy James. Cuaròn ci mostra un mondo grigio, oppressivo, incolore, fra il pre-industriale e il post-atomico. In questo ambiente senza profondità si muovono i personaggi, seguiti in tutte le situazioni dalla macchina da presa, quasi sempre a mano e con lunghi piani sequenza come fossero inviati di guerra, in una visione quasi documentaristica del futuro per acuire il senso di chiuso, di claustrofobia, e di mancanza di certezze. La speranza nella vita è l’unica apertura del film all’ottimismo, in un percorso al buio, in cui il caso regna sulle esistenze di tutti.Tutto questo ci porta di fronte ad un bivio: il futuro messo in relazione al concetto di nascita, e quindi alla speranza, ed il futuro inteso come distopia.
Il tema dell’infertilità e della speranza, pone, quindi, alla ribalta il tema della nascita. La nascita è il primo momento dell’esistenza, laddove tutto ha un inizio ed assume un valore soltanto se messo in relazione ad una prospettiva futura. Annullando il concetto di nascita, quindi, si annulla automaticamente il futuro in quanto tale. La nascita è qualcosa che muove il mondo e muove la vita degli uomini, che ne sono coinvolti direttamente o indirettamente. Come scriveva William Blake “Tutto ciò che vive, non vive solo, né per se stesso“. Si crea, così, la relazione genitore-figlio, in cui il primo cerca di condurre il secondo verso un certo tipo di educazione o impostazione che si crede corretta per garantirgli un futuro, quanto più migliore possibile. Questo processo rischia però la degenerazione, laddove vi è una riflessione delle proprie aspettative sul proprio figlio che genera la preparazione a tavolino di un futuro “forzato”. Il concetto di nascita è quindi strettamente legato alla speranza verso il futuro.
Ma il concetto di futuro deve essere messo in relazione al presente, un presente esasperato su temi di attualità: infertilità, immigrazione, terrorismo, ambiente, deriva totalitaria del primo mondo occidentale. E’ la fantacoscienza del presente che ci parla del reale, del mondo e della civiltà che stiamo distruggendo ogni giorno nei valori, nell’ambiente, nella vita collettiva. Gli incubi del domani sterile e cattivo assomigliano agli orrori di un presente cinico e aggressivo. Il protagonista di Children of men, Theo, è ormai un uomo passivo, disilluso dal presente-futuro, ma diventa una sorta di Mosè alla ricerca della Terra Promessa quando accetta l’investitura di salvare la donna, l’unica, rimasta incinta, e di sottrarre alle forze militari e illegali quella bimba, che spera sia la rappresentante di una nuova umanità, un nuovo Gesù impotente e del tutto indifeso che nasce in una casa-capanna nel corso di un guerriglia in atto.
Il futuro orwelliano di 1984 fu immaginato dal grande scrittore inglese trentasei anni prima, ovvero nel 1948. Quel futuro sembrava ai suoi contemporanei realmente fantascientifico. Non potremmo dire lo stesso del mondo architettato da Cuaròn, un mondo che dista solo vent’anni dal nostro, ma che appare verosimile in maniera inquietante. Londra è una dittatura post-fascista che interna immigrati e alza fili spinati per difendersi dall’aggressioni terroristiche. Londra, capitale e crocevia di razze e culture viene percepita come la punta più avanzata della regressione nel cuore isolato dell’Europa impaurita. Intorno alle fortificazioni e blocchi di frontiere (gli attualissimi check-point) si muovono masse di popoli, fomentati da cellule terroristiche e comuni anarchiche che vogliono salvare il mondo con i mitra in mano. Molti sono i riferimenti alla cronaca del nostro tempo, come la segregazione degli immigrati che ricorda l’inferno di Guantanamo, o le manifestazioni armate che rimandano ai cortei integralisti. Una visione realistica del presente e delle sue guerre, dell’Iraq, della Palestina e ieri della Bosnia, che sfocia però un finale mistico ed a tratti cristologico, pregno di speranza nel futuro e nella vita.
Non a caso Londra assume il ruolo di set politico per eccellenza di derive totalitarie e apocalittiche. Se citiamo gli esempi più importanti della letteratura distopica, dallo già nominato George Orwell ad Aldous Huxley, da Ray Bradbury ad Anthony Burgess, da Hebert George Wells a James Graham Ballard possiamo notare come, a parte Bradbury (statunitense) tutti siano inglesi, come sono inglesi John Stuart Mill e Jeremy Bentham, coniatori nell’Ottocento dei termini distopia o cacotopia, e Thomas More, primo ad usare nel Cinquecento il termine e il concetto opposto di utopia. L’Inghilterra risulta essere, inoltre, il paese in cui per primo esplode la seconda rivoluzione industriale, essendo la nazione europea più industrializzata a cavallo tra XIV e XX secolo, in cui nasce il capitalismo industriale e la conseguente società di massa. Tutto questo influenzerà, senza dubbio, le visioni apocalittiche e distopiche di un mondo che sta cambiando da parte dei grandi scrittori inglesi sopra citati.
La maggior parte dei testi distopici appaiono come opere di avvertimento, o satire, che mostrano le tendenze attuali estrapolate sino a conclusioni apocalittiche. A differenza dell’utopia, quindi, la distopia si basa su una società attuale, spostando però l’interesse su un’epoca e un luogo distanti o successivi ad una discontinuità storica. Alcune caratteristiche sono comuni nella maggior parte dei romanzi distopici del Novecento. E’ presente, ad esempio, una società gerarchica, in cui le divisioni tra le classi sociali sono esasperatamente rigide e insormontabili. La propaganda del regime e i sistemi educativi costringono la popolazione all’adorazione dello Stato, convincendola che il proprio stile di vita è l’unico (o il migliore) possibile, e appiattisce ogni tentativo di individualismo inglobando l’uomo verso una società di massa portata alle sue estreme conseguenze, proprio come fanno i sistemi totalitari. La vita del cittadino è quindi controllata in tutto e per tutto da entità onniscienti (The Big Brother) o nello specifico da agenzie governative o polizie segrete impegnate nella sorveglianza continua dei cittadini, e nella repressione delle devianze attraverso un sistema penale che comprende spesso la tortura fisica o psicologica. Il legame dell’uomo con il mondo naturale non appartiene più, quindi, alla vita quotidiana, e lascia spazio all’industrializzazione imperversante che verte verso il dominio della tecnologia e delle macchine sull’umanità. Anche gli stessi meccanismi spazio-temporali sono individualmente annullati, in una condizione di inglobamento permanente.
Citando la celeberrima frase di George Orwell in 1984: “Whoever controls the past controls the future, whoever controls the present controls the past“.
 
 
Damiano Garofalo
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