a medico, da uomo di scienza, ero convinto che avrei preferito spegnermi dolcemente piuttosto che lottare fino allo stremo con la certezza di non guarire. Oggi è tutto diverso, sono stato ad un passo dalla morte eppure sono vivo e sto benissimo». Umberto Scapagnini, medico, docente, uomo politico, racconta i suoi mesi di coma e ancora si sorprende.
del 30 marzo 2011
          «Prima del coma tante cose erano diverse, avrei certamente firmato le dichiarazioni anticipate di trattamento. Da medico, da uomo di scienza, ero convinto che avrei preferito spegnermi dolcemente piuttosto che lottare fino allo stremo con la certezza di non guarire.  Oggi è tutto diverso, sono stato ad un passo dalla morte eppure  sono vivo e sto benissimo». Umberto Scapagnini, medico, docente, uomo politico, racconta i suoi mesi di coma e ancora si sorprende.
          «Tutto inizia nel 2007 con un banale lipoma, sotto la tempia, vicino all’occhio sinistro dove vent’anni prima avevo tolto un neo. Una macchia nascondeva qualcosa da esaminare, una pallina, come la chiamavo io, ma bisognava andare a fondo». La diagnosi che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco l’ex sindaco di Catania era terribile: neoplasia della famiglia dei melanomi. «Una diagnosi che avrebbe scosso chiunque ma io ero un medico e non solo conoscevo bene la malattia ma anche le reali speranze di guarigione». Una consapevolezza che Scapagnini  ha visto anche negli occhi del figlio Giovanni, anch’egli medico, che con le lacrime agli occhi gli comunicava il risultato dell’esame istologico. «Fu per far forza a lui che dissi: siamo due medici, lavoriamo, lottiamo e cerchiamo una via d’uscita».          Da quel momento inizia un calvario da un ospedale all’altro, su e giù per la penisola, consultando gli specialisti migliori  fino a quando la reazione ad una cura lo porta al coma. Irreversibile, dissero i medici che lo visitarono.  50 di pressione, 20 di frequenza, 6.8 di ph. Dati che a un non addetto ai lavori dicono poco o nulla, ma che un medico riconduce immediatamente ad un quadro clinico di “incompatibilità con la vita”.  Attorno a Scapagnini i familiari più stretti cominciano a temere il peggio e dalla disperazione passano ad uno stato di quasi rassegnazione. «Ovviamente non ricordo nulla – racconta – seppi solo al mio risveglio che i miei familiari avevano chiesto per me per ben due volte il sacramento dell’estrema unzione».  
 
          Ma se apparentemente Umberto Scapagnini sembrava morto, lui non si era mai sentito così fortemente attaccato alla vita. «Quello che è accaduto è qualcosa di straordinario. Negli 80 giorni in cui clinicamente ero in coma irreversibile ho vissuto una sorta di vita parallela.  Mi trovavo all’interno di un tunnel buio ma in fondo vedevo una luce, una luce verso la quale mi sentivo irresistibilmente attratto. Camminavo verso quella luce e ogni passo che facevo sentivo pace e tranquillità così procedevo lentamente ma in maniera decisa. Ad un certo punto ho sentito che qualcuno mi afferrava la mano sinistra con dolcezza: con grandissimo stupore ho visto mia madre, morta un anno prima, accanto a me nel tunnel. La mano destra invece mi viene fermata in maniera più brusca: e la mia meraviglia era enorme poiché a fianco a me c’era Padre Pio che in dialetto mi diceva “Ragazzo, ma dove stai andando? Tu devi fare la volontà del Signore”. Lo so che può sembrare assurdo o anche solo incredibile, ma io ho un ricordo nettissimo di quanto mi è successo. Non è un sogno, io l’ho visto e l’ho vissuto. Il coma ti mette in grado di vedere e sentire cose straordinarie, è tutto fuorché morte».          Parlando con lui al telefono, tono cordiale, progetti e un libro in uscita (Il cielo può ancora attendere, Mondadori), Scapagnini non sembra un uomo che è stato così vicino all’aldilà,  eppure sarebbe bastato pochissimo. «Mi sono chiesto diverse volte la ragione per cui non solo realmente morto. E la risposta che mi sono dato è che forse dovevo tornare per raccontare, per testimoniare che la nostra capacità di resistenza fisica e spirituale va oltre l’immaginabile, e che è solo il Signore che ci ha dato la vita colui che ce la può togliere. Forse il suo desiderio è che la mia storia di uomo di scienza incontrasse un’esperienza così forte nella fede tale da rendere la mia testimonianza ancora più significativa».          Una storia che Scapagnini spera possa essere di speranza per tutti gli ammalati che, presi dallo sconforto, si lasciano andare. Tuttavia, ne siamo certi, farà riflettere anche il mondo della politica alle prese con la delicata legge sul fine vita. «Oggi dico che è estremamente difficile codificare la vita e la morte, estremamente difficile trovare un punto di equilibrio tra scienza e fede. Tuttavia – rimarca – la mia storia è una storia innanzitutto umana,  la vicenda di una persona ammalata che sta per morire e invece oggi vive, la vicenda di un credente blando che oggi può affermare con certezza che il Signore guida ogni nostro passo, fino all’ultimo».  
Raffaella Frullone
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