Sono della generazione che frequentava la scuola superiore quando uscì "L'attimo fuggente", ricordo che lo abbiamo visto tutti insieme in un cinema della città...
Sono della generazione che frequentava la scuola superiore quando uscì "L'attimo fuggente", ricordo che lo abbiamo visto tutti insieme in un cinema della città. Allora non sapevo che cosa avrei fatto da grande, ma è stato inevitabile il confronto con la mia vita di studente e i miei docenti. Fu il film giusto, con l'attore protagonista adatto, nel tempo migliore della mia storia scolastica! Sicuramente avrò pensato che, se un giorno fossi diventato un professore, mi sarei sforzato di essere come il Keating interpretato magistralmente dal compianto Robin Williams. Sarà strano ma quello che mi ha colpito di più del film, allora, non furono le diverse scene ad effetto, le frasi penetranti, l'ambientazione in qualche modo vicina alla mia condizione, bensì la morte per suicidio del giovane Neil! Non mi dava pace l'idea che un ragazzo della mia età potesse togliersi la vita, decidere di fuggire la realtà dura anziché affrontarla con passione e fatica; mi pesava il pensiero che l'unico tra gli studenti che aveva realizzato un suo sogno, seppur per poco, lasciava tutto così estinguendosi del tutto più dei poeti della setta dell'originale titolo del film. Col tempo, crescendo, ho realizzato che - al di là della famosa scena finale con gli studenti in piedi sui banchi - il film racconta di una forte sconfitta educativa, di un fallimento del professor Keating per la morte di Neil.
Qualcuno penserà che stia rovinando tutta la poesia de "L'attimo fuggente" e del momento, eppure basterebbe osservare l'attore Robin Williams nelle scene successive al suicidio per rendersi conto che è davvero così ed il primo a capirlo davvero è il professore. Sconfitta non vuol dire "essere colpevole" ed è chiaramente fuori luogo l'accusa del Rettore e dei genitori del ragazzo, può significare però "sentire la responsabilità", poiché nessuna parola o azione significativa di un insegnante, nel bene o nel male, è neutra nei confronti degli studenti, non è mai priva di peso. Un docente, un genitore, un ecclesiastico, un politico, un attore, un cantante, qualunque personaggio pubblico non può non portare con sé la responsabilità di ciò che dice o non dice, fa o non fa; questa è parte di ciò che si è diventati per gli altri e, se questi altri sono giovani, tutto si moltiplica.
Robin Williams, nei giorni scorsi per motivi che non spetta a noi sapere e dibattere, ha scelto di togliersi la vita (almeno così sappiamo), di smettere di volare come Peter Pan, di far ridere come "Patch Adams", di cercare il Graal come Perry del "Re Pescatore", di giocare come in "Jumanji", di aiutare come in "Genio ribelle", di proporre le prospettive alte alla maniera di Keating. Non ha colto "l'attimo fuggente" o forse ha proprio voluto afferrarlo, ma la questione lasciamola al poeta Orazio (in traduzione) e alla sua poesia da "poeta estinto" la cui voce, grazie anche a Robin Williams che sentiamo sussurrare alle spalle dei suoi studenti, giunge fino a noi: «Non chiedere, o Leuconoe, (non è lecito saperlo) qual fine abbiano a te e a me assegnato gli dèi, e non tentare calcoli babilonesi. Quant’è meglio accettare quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni, oppure ultimo quello che ora affatica il mare Tirreno contro gli scogli, sii saggio, filtra vini, tronca lunghe speranze per la vita breve. Parliamo, e intanto fugge l’astioso tempo. Afferra l’attimo, credi al domani quanto meno puoi».
Marco Pappalardo
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