Anni fa, aveva letto dei libri interessanti sulla figura del padre. Mi servivano per parlare ai miei «barabitt» nel mese in cui trattavo temi riguardanti la famiglia. Non erano argomenti facili: davano loro fastidio, avendo alle spalle un vissuto sofferto nei rapporti con il padre.
del 11 gennaio 2008
Anni fa, aveva letto dei libri interessanti sulla figura del padre. Mi servivano per parlare ai miei «barabitt» nel mese in cui trattavo temi riguardanti la famiglia. Non erano argomenti facili: davano loro fastidio, avendo alle spalle un vissuto sofferto nei rapporti con il padre.
Mi aveva colpito il libro di Edgarda Ferri sui padri dei brigatisti rossi, Dov’era il padre?, una serie di interviste fatte ai padri di giovani che erano entrati nella lotta armata. La giornalista li interrogava in maniera severa: dov’eravate in quei giorni?
Della stessa giornalista a distanza di pochi anni avevo letto: Contro il padre, dove invece narrava di storie di ragazze che dal padre avevano subito violenza. Con gli educatori avevo discusso il film di Bellocchio Nel nome del padre, una forte contestazione del padre, di cui la scena iniziale presenta il padre che prende a schiaffi il figlio dodicenne, per rivendicare la propria autorità.
Da allora in libreria sono usciti decine, forse centinaia di libri e di film dedicati al padre: alcuni mettevano in discussione il ruolo del padre, altri ne affermavano la validità. L’esperienza mia personale con i ragazzi e giovani in difficoltà di Arese mi fa dire che la presenza o l’assenza del padre crea nei ragazzi e nelle ragazze sicurezza o incertezza.
 Abdicando al loro ruolo di educatori, privano i figli di punti di riferimento per l’elaborazione della loro identità personale e la formazione della coscienza, venendo a mancare una guida, che maturi il senso morale e li aiuti ad essere responsabili di se stessi e degli altri: «La vita senza padre è un continuo affanno – scriveva Paolo (anni 17) –. La vita è monotona e triste. Non c’è un vero sostegno in famiglia». Aggiungeva Lino (anni 15): «Molte volte mi accade di vedere dei padri che conducono i propri figli per mano e ogni volta mi scende nel cuore una profonda amarezza, pensando alla sicurezza che dà il sapere che in ogni momento della vita, quella stessa mano è pronta a difenderti da ogni pericolo».
«Quando ho sbagliato, avevo 13 anni – racconta Cosimo (anni 15) –. Da allora, mio papà mi ha tolto il suo affetto, proprio quando avevo maggiormente bisogno. Se fossi stato al suo posto non avrei abbandonato mio figlio nel momento del bisogno. Avrei preferito che morisse prima dei miei 13 anni, ne avrei serbato un buon ricordo, invece adesso...». «Senza un padre ci si sente soli, tristi, abbandonati, e molte volte si impazzisce nel vedere gli altri felici e contenti» (Angelo, anni 16).
Il cardinal Martini nel suo volume sul Padre nostro parla del padre come «colui che educa alla vita ed educa magari in maniera forte. La Scrittura non ha paura di parlare che il padre è anche colui che castiga», che corregge ed è un educatore energico. Il padre, continua il cardinale, è anche «colui che nutre, che deve procurare il sostentamento al figlio... colui che protegge, nelle cui braccia ci si ripara». Per Gian Carlo (anni 15), è «colui che mi fa pensare al buon Dio, padre che perdona ogni volta il suo figliolo e poi pigliandolo per mano se ne vanno insieme felici»; «Vicino a lui – scriveva Maria Grazia del papà, il servo di Dio Attilio Giordani –, si respirava un senso di pace profonda. Io sono vissuta nella certezza che accanto a lui non potesse accadermi nulla di male, perché noi saremmo stati più forti del male e della paura... Io mi sono sempre sentita da lui profondamente amata», «alla maniera di Dio Padre, che è buono anche con il “cattivo”», come affermava Franco (anni 17).
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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