Con la risurrezione, a partire da un'anima che la visione beatifica di Dio fa ricadere sul corpo, è l'intera carne che possiede la penetrabilità fisica dell'altro sesso e l'impenetrabilità spirituale dello sguardo...
del 08 novembre 2010
“Che bello! E’ il teletrasporto!”. Così esclamò mio figlio, dodicenne, appassionato di tecnologie, fantascienza, computer, effetti speciali (va matto per il 3D).
Ma espresse quella sua meraviglia dopo avermi sentito parlare non di tecnologia, bensì di San Tommaso d’Aquino che stavo leggendo per un mio libro su Giovanni Paolo II.
Precisamente stavo chiacchierando con amici delle pagine in cui Tommaso illustra come saremo dopo la resurrezione dei corpi. Dicevo che avranno “sottilità e agilità”, cioè, pur essendo effettivamente di carne, non saranno più sottoposti ai limiti di tempo e di spazio come oggi, ma saranno sotto il perfetto dominio dallo spirito, dell’anima, della mente (e per questo saranno immortali).
Quindi – fra l’altro –potremo spostarci semplicemente col pensiero, superando qualsiasi barriera fisica o distanza (come riferiscono i vangeli di Gesù dopo la sua resurrezione).
Che la nostra futura “agilità” sia la realizzazione dell’odierno sogno (scientifico e fantascientifico) del teletrasporto – come dice mio figlio – non ci avevo pensato, ma è divertente da considerare.
In fondo i fenomeni di bilocazione che sono testimoniati nella vita di alcuni santi, come padre Pio, sono albori del giorno della gloria.
 
 
Rivelazione
 
La questione dei “corpi gloriosi” è in effetti assai poco conosciuta e anche assai poco spiegata dalla Chiesa. Sembra quasi “un tema teologico congelato” come ha scritto il filosofo Giorgio Agamben.
Invece è straordinariamente affascinante e opportunamente il numero appena uscito di “Civiltà Cattolica” gli dedica un saggio di padre Mario Imperatori, il quale critica l’unilaterale predicazione della sola salvezza dell’anima, da parte dei cristiani, sottolineando la necessità di annunciare (più giustamente e completamente) la resurrezione dei corpi.
La mentalità dei credenti è ancora molto gravata e inquinata dall’antico dualismo platonico che contrappone anima e corpo. Ma questo è l’opposto del cristianesimo, ha spiegato il grande Tommaso d’Aquino, che “in senso espressamente antispiritualista” fonda la teologia sulla Scrittura anziché su Platone. Il cristianesimo infatti non annuncia che esiste Dio, ma che Dio si è fatto carne, che è per noi morto e risorto nella sua stessa carne. 
Ecco perché in queste pagine di Tommaso, riproposte dalla rivista dei gesuiti, non c’è nulla della paura del corpo e della sessualità che a volte ha connotato certi ambienti religiosi, più platonici che cristiani. C’è invece in Tommaso la straordinaria esaltazione del corpo e della sessualità umana.
 
 
Il senso del sesso
 
Visto il gran parlare (ossessivo e malato) che si fa di sesso e di corpi, su giornali e tv, vista la tracimazione della questione sessuale nel dibattito pubblico e anche nelle vite private, è veramente interessante leggere queste pagine per sondare fino in fondo che senso abbia il misterioso intrico dei nostri corpi, questa oscura sete di infinito che rende febbrile la carne, questo spasmodico desiderio del piacere che è al tempo stesso un modo per esorcizzare l’invecchiamento e la morte e una ricerca inconsapevole dell’estasi.
Come lo è la droga, che fornisce un’illusione di estasi “liberando” dai limiti e i dolori del corpo.
Noi infatti come sentiamo il corpo? Oscilliamo tra due estremi: da un lato è percepito come una fonte di piacere che diventa perfino ossessiva, totalizzante.
Dall’altra come un limite doloroso, una prigione da cui sfuggire e – in fondo – la fuga rappresentata dalle droghe o dall’alcol, pur diversissima, persegue lo stesso obiettivo cercato dalle religioni orientali.
Invece san Tommaso indica nella rivelazione cristiana la via (l’unica via) della felicità del corpo e dell’anima. Contemporaneamente. Quella felicità piena che sembrerebbe impossibile, quel piacere – anche dei sensi – che non finirà mai.
Ma andiamo con ordine, seguendo le interessanti pagine della rivista dei gesuiti.
Tommaso d’Aquino anzitutto mostra che nello stato originario, la sessualità di Adamo ed Eva – diversamente dalla nostra – era sottoposta alla ragione “il cui ruolo non era affatto quello di reprimere il piacere dei sensi che, al contrario, ne sarebbe risultato addirittura maggiorato”.
Si può fare un paragone per capirci: una persona in condizioni normali, di sobrietà, può gustare e godere di un ottimo vino molto più di un ubriaco che neanche si accorge più della qualità di ciò che beve.
Nel primo caso il piacere è maggiorato, nel secondo caso il consumo è compulsivo, malato e fa star male. E’ questa la conseguenza del peccato originale che ha sottratto il corpo al dominio dell’anima (e l’ha esposto fra l’altro alla malattia e alla morte).
Tommaso afferma peraltro che nell’uomo “l’anima è l’unica forma del corpo” e ciò significa che niente di quel che l’uomo fa è puramente animale, puramente biologico.
Né il mangiare e bere, né l’accoppiamento sessuale. Diversamente dall’animale, che semplicemente esaudisce un bisogno fisico, l’uomo ha dentro una domanda, una mancanza esistenziale, un desiderio di infinito che spiega perché è sempre insoddisfatto e perché nessun “consumo”, nessun possesso, lo appaghi.
La sua è una “fame” assai superiore al bisogno biologico. Infatti nasce dalla testa.
Tommaso trae un’ulteriore conseguenza dalla sua affermazione: la separazione di corpo e anima è “contro natura”. E la loro riunione, con la resurrezione finale, farà sì che godremo molto di più il piacere del Paradiso o soffriremo molto di più le pene dell’inferno, perché percepiremo il piacere o la sofferenza con tutti i nostri cinque sensi.
 
 
Il Sommo Piacere
 
Per questo – come scrive san Paolo – il nostro stesso corpo geme nell’attesa della piena redenzione, o del “sommo piacere”, come dice Dante. Infatti parteciperemo con il corpo stesso alla vita di Dio. E’ quello che la teologia ortodossa chiama “divinizzazione”. I padri della Chiesa ripetono: “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventasse Dio”. Un destino dunque che – per grazia – è superiore addirittura a quello degli angeli.
I risorti saranno sempre fisicamente maschi e femmine, infatti Tommaso nega la presunta supremazia del maschio e – diversamente da quanto crede Aristotele – afferma che la donna non è affatto un uomo mancato, ma è opera di Dio pari all’uomo e la diversità dei loro corpi appartiene al disegno della creazione.
Anzi è un riflesso di quell’unità nella distinzione che connota le persone divine della Trinità.
Quindi la bellezza femminile, come pure la bellezza maschile, saranno parte della beatitudine eterna. Nei beati ci sarà un vero e proprio “splendore corporale”. Una bellezza tanto maggiore quanto più luminosa è l’anima.
Essi potranno vedere la divinità, cioè godere del “Sommo bene”, nei suoi effetti corporali “soprattutto nel corpo di Cristo, poi nel corpo dei beati e finalmente in tutti gli altri corpi”.
Questa “profonda associazione del corpo umano all’eterna beatitudine” è la sua inimmaginabile esaltazione. I risorti, maschi o femmine – dice Tommaso – “si serviranno dei sensi per godere di quelle cose che non ripugnano allo stato di in corruzione”.
 
 
Inimmaginabile beatitudine
 
Se qualcuno si poneva la domanda sul Paradiso e sul piacere sessuale, come lo conosciamo quaggiù sulla terra, avrà già trovato la risposta.
Ma – per chiarire meglio – la rivista gesuita riporta una fulminante pagina del filosofo ebreo-francese (e convertito) Hadjadj: “Tramite il sesso vogliamo essere sconvolti dall’anima. I genitali erano soltanto il mezzo difettoso di questa penetrazione dell’altro fino all’impenetrabile.
Con la risurrezione, a partire da un’anima che la visione beatifica di Dio fa ricadere sul corpo, è l’intera carne che possiede la penetrabilità fisica dell’altro sesso e l’impenetrabilità spirituale dello sguardo (…).
Inutile quindi unire le parti basse. L’intensità dell’amplesso e l’altezza della parola si sposeranno con questi corpi profondi all’infinito.
Le carni potranno unirsi senza riserve in un bacio di pace, che sarà altresì un inno lacerante al Salvatore”.
É il Paradiso.
 
Da “Libero” 7 novembre 2010
Antonio Socci
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