Le forme della sessualità e il pensiero cattolico. Come dunque la vocazione all'amore si declina rispetto alla differenza sessuale fondamentale che il corpo maschile e femminile testimoniano? Come valutare la rivendicazione di poter vivere la vocazione all'amore?
Le forme che la sessualità ha assunto nel vissuto sociale contemporaneo sfidano il pensiero cattolico ben oltre il livello del giudizio etico. La Chiesa cattolica manifesta la consapevolezza dell’importanza decisiva che questa dimensione dell’esperienza rappresenta nella vita delle persone e nel contesto del bene comune della società.
Il volume "Amare nella differenza. Le forme della sessualità e il pensiero cattolico: studio interdisciplinare" a cura di Livio Melina e Sergio Belardinelli, raccoglie gli studi interdisciplinari di esperti qualificati a livello internazionale che pur nella diversità delle prospettive condividono l’attenzione per la luce che l’antropologia cristiana offre all’interpretazione dell’umano e quindi a una visione completa della persona.
Con la loro rivendicazione di piena legittimazione pubblica, esse mettono in discussione radicalmente non solo le norme di comportamento di una tradizione plurisecolare, ma anche la stessa concezione antropologica cristiana. Implicano infatti una visione alternativa del corpo e dei rapporti tra uomini e donne, nella quale la differenza non è più un elemento qualificante per determinare le modalità della vocazione all’amore, anelito profondo su cui si gioca la riuscita della vita umana. L’attenzione privilegiata e costante che la Chiesa cattolica ha riservato alle tematiche relative alla sessualità viene riduttivamente interpretata come il sintomo di un’ossessione puritana e di una disistima del corpo: al contrario, essa manifesta la consapevolezza dell’importanza decisiva che questa dimensione dell’esperienza rappresenta nella vita delle persone e nel contesto del bene comune della società. Di più: tale sollecitudine testimonia una visione unitaria della persona umana e del significato del corpo (anima et corpore unus, secondo le parole di Gaudium et spes, n. 14), che Giovanni Paolo II, nelle sue memorabili catechesi del mercoledì, definì “sacramento della persona” [1] segno visibile della sua realtà invisibile. La riuscita di una vita dipende dalla pienezza dell’amore che la persona sperimenta e dalla capacità di amare che sviluppa.
Come dunque la vocazione all’amore si declina rispetto alla differenza sessuale fondamentale che il corpo maschile e femminile testimoniano? Come valutare la rivendicazione di poter vivere la vocazione all’amore, assecondando l’attrazione per lo stesso sesso e prescindendo dalla differenza sessuale iscritta nel corpo?
Per rispondere a queste domande, occorre riconsiderare la “questione” relativa alle forme della sessualità, a causa dell’emergere di alcune caratteristiche che hanno modificato i termini del dibattito. Non si tratta tanto di esprimere una valutazione morale sugli atti omosessuali, oppure di definire i termini di un riconoscimento o di una tolleranza sociale dinanzi al fenomeno dell’omosessualità; pare utile, piuttosto, occuparsi del risultato di una rivoluzione ideologica che presenta questo fenomeno come una nuova realtà nell’ambito sociale. L’omosessualità, infatti, non appare più come un problema, ma come un paradigma di comportamento sessuale alla stregua degli altri, con effetti quali la messa in discussione del ruolo della sessualità e della concezione stessa dell’uomo.
Per poter articolare una risposta globale e adeguata, in cui sia considerata la dimensione personale, occorre riconsiderare la sfida culturale nell’ambito della quale si presenta la questione dell’omosessualità, al cui fondo si colloca la rivoluzione sessuale degli anni venti del secolo scorso. Rivoluzione apparsa in stretto legame con il femminismo radicale che, in parte, ha disarmato la società dinanzi alla pressione di determinati messaggi ideologici. Una simile impostazione premette di comprendere che, per affrontare il confronto, non basta rispondere alla teoria del gender (una delle tante espressioni di tale rivoluzione). Occorre piuttosto prenderne in considerazione tutte le chiavi interpretative, benché, di per se stessa, la teoria del gender abbia influenzato le politiche e le legislazioni degli Stati occidentali. Non adottare questo approccio porta a fornire risposte frammentarie che verranno incontro a domande certamente importanti, tuttavia incapaci di raggiungere le radici profonde del problema che qui si va affrontando. La maggiore difficoltà che si osserva al momento è l’ignoranza che vede i cristiani perplessi e facilmente impressionabili di fronte a dati manipolati secondo una strategia ben definita.
La conoscenza della questione omosessuale, nella totalità dei suoi aspetti, è molto superficiale e ciò ha una conseguenza: la posizione e le argomentazioni dei cattolici finiscono per essere semplicistiche e meramente negative. Per contrastare questa prospettiva e proporre una riflessione feconda e completa i nodi da affrontare possono essere i seguenti:
a) Riconoscere la radicalità del problema. L’ideologia omosessuale mette in gioco la verità dell’uomo in quanto essere sessuato. La sessualità infatti non può essere considerata un aspetto puramente privato, da risolversi con una prudente tolleranza. Per questo si chiede di comprendere la distinzione tra la persona con inclinazione omosessuale e l’omosessualità come problema. Attribuire natura culturale (e considerarla “normale”) comporterebbe un impoverimento gravissimo per l’intera società, con effetti sulla vita di tutti.
b) Distinguere fra l’omosessualità, o meglio, l’omoerotismo e l’ideologia omosessuale propugnata dai movimenti gay (gruppi di pressione sociale, con i quali molte persone omosessuali non si identificano affatto).
c) Riconoscere che l’omosessualità è un insieme di realtà molto diverse tra loro, piuttosto che come un fatto unitario a se stante. Parlare operando le opportune distinzioni consente, infatti, di chiarire i termini e di non vedersi coinvolti in una serie di contraddizioni che inevitabilmente portano a mettere sullo stesso piano l’omosessualità con la sessualità in quanto tale. Meglio dunque rifiutare l’equiparazione tra omosessualità e cosiddetta “etero-sessualità” e scongiurare l’insorgenza di presunte soluzioni universali a specifici problemi individuali.
d) Trasmettere il concetto per cui l’autentica preoccupazione per l’omosessualità da parte della Chiesa non si risolve nella condanna delle relazioni omosessuali, ma esprime piuttosto la volontà di fornire una risposta a coloro che la vivono, grazie alla reale conoscenza del fenomeno.
In virtù della ricchezza di prospettive che la questione comporta (prospettiva biologica, medica, psicologica, educativa, sociale, culturale, giuridica, politica, antropologica, morale e teologica), si propone quindi di adottare un approccio globale che stabilisca elementi di contatto tra le varie discipline, necessario per promuovere la conoscenza armoniosa del problema in quanto tale, attraverso una maggiore condivisione delle informazioni tra i vari specialisti, al fine di stabilire una prospettiva di integrazione. Il volume che presentiamo è un primo contributo ad un lavoro di cui esponiamo, di seguito, i criteri guida. […]
Note
[1] Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, Catechesi sull’amore umano, Città Nuova – Libreria Editrice Vaticana, Roma 1985, Cat. XIX, p. 90.
Livio Melina, Sergio Belardinelli
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