Amici dei poveri, nel cuore di Dio

Il vero contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza, per cui l'altro neppure esiste, è solo un'ombra fra i cani...

Amici dei poveri, nel cuore di Dio

da Teologo Borèl

del 24 settembre 2010

          

           XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C C'era un uomo ricco che indossava vesti di porpora e di lino finissimo e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco. Un giorno il povero morì e fu portato nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto negli inferi [...] disse: «Padre Abramo, manda Lazzaro [...] nella casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, li ammonisca perché non vengano in questo luogo di tormento [...]».

           Ma Abramo rispose: «[...] Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neppure se uno risorgesse dai morti». La parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro è una di quelle pagine che ci portiamo dentro come sorgente di comportamenti più umani. Il ricco è senza nome perché si identifica con le sue ricchezze, spesso il denaro diventa come la seconda natura, la seconda pelle di una persona. Il povero ha il nome dell'amico di Gesù, Lazzaro. Il Vangelo non usa mai dei nomi propri nelle parabole, solo qui fa un'eccezione, per dire che ogni povero è un amico di Dio.

           «Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell'inferno». In che cosa consiste il peccato del ricco? Nella cultura del piacere? Negli eccessi della gola? No. Il suo peccato è l'indifferenza: non un gesto, non una briciola, non una parola al povero Lazzaro. Il vero contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza, per cui l'altro neppure esiste, è solo un'ombra fra i cani. Lazzaro è così vicino da inciamparci, e il ricco neppure lo vede.

           Il male più grande che noi possiamo fare è di non fare il bene. Il povero, è portato in alto; il ricco è sepolto in basso: ai due estremi della società in questa vita, ai due estremi dell'abisso dopo. Allora capiamo che l'eternità è già iniziata ora, che l'inferno è solo il prolungamento delle nostre scelte senza cuore. Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazzaro, a ricordarle per sempre. «Ti prego, manda Lazzaro con una goccia d'acqua sul dito (il ricco vede il povero in funzione di se stesso dei suoi interessi) mandalo ad avvisare i miei cinque fratelli...!» «Neanche se vedono un morto tornare si convertiranno!».

           Non è la morte che converte, ma la vita stessa. Dio è nella vita. Chi non si è posto il problema di Dio e dei fratelli davanti al mistero magnifico e dolente che è la vita non se lo porrà nemmeno davanti al mistero più piccolo che è la morte. Non sono i miracoli o le visioni a cambiare il cuore. Non c'è miracolo che valga il grido dei poveri: sono parola di Dio e carne di Dio: «qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l'avete fatto a me!» Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato.

           La terra è piena di Lazzari. Cerchi Dio? Non è nel ricco, benedetto nella sua prosperità; è nel piccolo, nello straniero, nel più piagato. È lì dove un uomo non ha attorno a sé nessuno, se non dei cani. Lì dove io ho paura di essere, Lui c'è. Se Gesù dà al povero il nome del suo amico Lazzaro, ogni povero abbia anche per me un nome d'amico. (Letture: Amos 6,1.4-7; Salmo 145; 1 Timoteo 6,11-16; Luca 16,19-31)

Ermes Ronchi (a cura di)

http://www.avvenire.it

Versione app: 3.25.0 (f932362)