Inoltriamoci per un po' in un mondo per molti adulti inusuale: quello fascinoso, immaginario e a volte sorprendente e poetico di molte canzoni e riviste giovanili. Inoltriamoci in punta di piedi, cercando di scoprire con delicatezza ciò che trasmettono e forse percepire perché coinvolgono tanto l'animo degli adolescenti...
del 25 settembre 2008
 
 
Inoltriamoci per un po’ in un mondo per molti adulti inusuale: quello fascinoso, immaginario e a volte sorprendente e poetico di molte canzoni e riviste giovanili. Inoltriamoci in punta di piedi, cercando di scoprire con delicatezza ciò che trasmettono e forse percepire perché coinvolgono tanto l’animo degli adolescenti. Occorre saper cogliere le sottili differenze. C’è verso e verso. 
 
 
 
 
Che fai tu, o luna, in ciel? Dimmi che fai,
Silenziosa luna? (...)
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il suo corso immortale?
(G. Leopardi)
 
Luna ascoltami
Se da quell’angolo
Di altitudine
Ne sai pi√π di me
Ora stringimi
Non voglio perdermi
Ma ora non trovo pi√π
Il bimbo dentro me.
(T. Ferro)
 
Entrambi cantano la luna, rivolgendole delle domande, chiedendo udienza. Il primo è Giacomo Leopardi (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia), il secondo Tiziano Ferro (Il bimbo dentro). Il primo è il massimo poeta del Romanticismo italiano, il secondo uno dei cantanti più popolari del momento, specialmente tra giovanissimi e giovani. Centinaia di migliaia di cd venduti, tutto esaurito ai concerti. Di sicuro ha più fan lui oggi che Leopardi ai suoi dì.
Entrambi cantano alla luna perché mossi dall’angoscia. In Leopardi sono le domande irrisolte sulla natura umana, su questo vagar mio breve; con una conclusione sconsolata, senza appello: È funesto a chi nasce il dì natale. Ferro gli va a ruota, con una differenza: è un figlio del Novecento tuffato nel Duemila, e quindi anche i sentimenti più forti sono sempre meno forti d’un figlio del Settecento tuffato nell’Ottocento. Ciò che in Leopardi (e nei i giovani leopardiani) era irrimediabile, in Ferro (e nei i giovani post-leopardiani) è rimediabilissimo.
Ferro ha un’angoscia che gli attanaglia il cuore: Non trattenevo mai i nodi alla gola, e poi: Di lottare a volte ero stanco (a volte, mica sempre), ed infine il più drammatico: Scavalca i ponti tra mente e cuore / La soglia estrema del dolore, e se non fosse per la rima più banale del mondo, cuore-dolore, non sarebbero due versi da buttare. Adesso è disorientato e, come tutti coloro che lo sono, ama gli ossimori: E navigo distratto e attento, oppure: La voglia matta di andare via / Ma tornare a casa.
Considerare i testi di una canzone ignorandone la musica è un’operazione parziale. La compiamo ugualmente con la pretesa non di giungere a drastiche conclusioni, ma di individuare dei semplici indizi. L’indizio più evidente è che l’amore cantato da Ferro, in cui tanti ragazzi si riconoscono, è segnato dalla sproporzione: all’amore si aspira, ed è un amore profondo, solido, duraturo, non passeggero, non fugace, non leggero; ma per questo amore ci si sente poco attrezzati, di fronte a tale aspirazione Ferro e i post-leopardiani avvertono subito i propri limiti. La sproporzione è tra aspirazione e mezzi a disposizione. Da questa sproporzione nasce la sofferenza, il senso d’inadeguatezza, e tutto quel che ne consegue.
Ossimori e contraddizioni palesi sono un gioco che piace perché bene interpretano l’animo di chi spesso, durante la giornata, si trova a fare ciò che non vorrebbe e non sente, e a sentire e desiderare ciò che non riesce a fare: E più mi vorrai e meno mi vedrai / E meno mi vorrai e più sarò con te (...) con te, con te, con te / Lo giuro (Sere nere). Sproporzione e inadeguatezza. I post-leopardiani, a differenzadei leopardiani doc, hanno mille occasioni in più per fare sesso. Per loro è molto più facile. Ma non dobbiamo credere che ne gioiscano o se ne compiacciano. Tutt’altro. Aspirano a ben altro. E quando si ritrovano tra le mani delle storie di solo sesso, soffrono: È iniziato tutto per un tuo capriccio / Io non mi fidavo, era solo sesso canta Ferro nella canzone intitolata, non a caso, Imbranato. Ieri era imbranato chi si perdeva nell’amore platonico e “non combinava niente”; oggi parrebbe imbranato non chi combina tutto, cosa irrisoria, ma chi è come Tiziano Ferro: E scusami se rido, dall’imbarazzo cedo / Ti guardo fisso e tremo. Alle ragazzine un tipo così piace; fa tenerezza, forse. Spesso rimproveriamo ai giovani di avere in mente solo il sesso e di cercare solo quello. Ad ascoltare le canzoni di Ferro viene un sospetto impertinente: e se l’ossessione attribuita ai giovani fosse invece l’ossessione degli adulti, in un classico e banale fenomeno di proiezione? Voglio più patti chiari e meno sesso / Voglio che mi telefoni più spesso / Voglio che tu mi dica un po’ che credi in me (Giugno ’84). Nessuna sorpresa. Un insicuro cerca proprio questo: qualcuno che creda in lui, gli dia tempo e fiducia, per un’amicizia o un amore che non siano passeggeri. Cerca forse proprio quello che non riceve da troppi genitori, distratti, separati, persi nella contemplazione di se stessi, insicurissimi loro e quindi tutti protesi nell’alimentare le insicurezze dei figli. L’amore dei post-leopardiani di Ferro non è mordi-e-fuggi: È stata una delle tante / Storie durate niente / Pazienza, andiamo avanti / Ma mi sento un verme (Primavera non è +). No, Ferro non pare orgoglioso delle storie che “durano niente”. Se ne vergogna e si abbatte. Poi magari interroga la luna. E cerca chi lo rassicuri, assieme a migliaia di adolescenti: tranquillo, non sei ammalato, non coltivi alcuna patologia: E sogni di sentirti anche tu normale (Centoundici).
Umberto Folena
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