Che cosa accade in un uomo credente quando compie un atto di carità? La risposta è: vive della stessa vita divina; ciò che è essenzialmente divino entra in ciò che è essenzialmente umano.
del 10 dicembre 2007
Forse la più profonda affermazione che il Concilio Vaticano II ha fatto sull’uomo è la seguente: «… l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di sé» [Cost. past. Gaudium et spes 24,3; EV 1/1395].
In questo testo conciliare sono espresse due verità circa l’uomo: la persona umana nell’universo in cui viviamo è “qualcosa” di unico poiché è stata voluta da Dio per se stessa, la prima; la persona umana “trova se stessa” solo nel dono di sé, la seconda. L’essere finalizzata a se stessa è la originalità dell’uomo; l’auto-donazione è la modalità della realizzazione della persona.
Ambedue queste verità circa l’uomo hanno a che fare con l’amore, come precisamente cercherò di mostrarvi. E lo farò attraverso la risposta a due domande fondamentali. La prima: che accade in una persona quando ama? Nel primo punto cercherò di narrare l’avvenimento dell’amore. La seconda: che cosa accade quando dentro i rapporti fra le persone accade l’avvenimento dell’amore cristiano? Nel secondo punto cercherò di narrare l’avvenimento dell’amore cristiano.
 
 
1.      L’avvenimento dell’amore      
 
Proviamo a fare molta attenzione a noi stessi quando compiamo un atto di amore, cercando di rispondere ad alcune semplici domande.
Che cosa noi vediamo immediatamente in un atto d’amore? Che cosa avviene realmente in ciascuno di noi quando compiamo un atto d’amore? Affermiamo la persona dell’altro nella sua unicità irripetibile. Quando compiamo un atto di amore, noi, per così dire “estraiamo” la persona dell’altro da una serie, e la guardiamo e l’affermiamo come unica.
Quando andate a comperare il giornale, voi vi accontentate di dire all’edicolante il titolo: volete una copia di quella testata, indifferentemente. È … la serie la testata cioè che vi interessa, non una copia piuttosto che un’altra. L’atto d’amore ha tutto un’altra logica. Un uomo che paga la prostituta, vuole una donna. È l’atto più contrario all’amore, perché non afferma e non riconosce che amare una persona significa guardarla come unica nell’universo dell’essere. Il buon pastore quando si accorge che manca una pecora, non pensa che alla fine una su cento non è poi una grave perdita. La va a cercare. La persona non è numerabile, perché ogni persona vale in sé e per sé.
Voglio aiutarvi a percepire questo ancora con un altro esempio. Se uno vi chiede se diecimila euro è la somma grande o piccola, voi non siete in grado di rispondere fino a quando non la ponete in rapporto con altre somme. In rapporto a dieci euro è grande; in rapporto a un miliardo di euro è piccola. Se voi chiedete che valore ha una sola persona, non potete dire che in rapporto a tre ha un valore, ma non in rapporto a diecimila. La persona non è numerabile perché vale in sé e per sé.
Chi ama, chi almeno una volta ha compiuto un atto di amore, sa che le cose stanno così. Lo sa lo/a sposo/a che ama la sposa/o; lo sa il genitore che ama ogni figlio; lo sa il pastore che ama ogni fedele; lo sa la vergine consacrata che cura la miseria dell’uomo che le chiede aiuto.
Proviamo ora ad analizzare un poco questo vissuto [un atto di amore] per vedere che cosa esso porta dentro di sé. Solo così noi possiamo renderci conto del “mistero dell’amore”, ed esserne più profondamente conquistati.
Che cosa in realtà significa la proposizione “cogliere la persona nella sua irripetibile unicità”? ricordate l’esempio del giornale: purché sia della stessa testata, una copia vale l’altra. Ricordate la prostituzione: purché sia una donna, l’una vale l’altra. Riflettete bene.
Se mi rapporto ad una realtà – cosa o persona – in vista di qualcosa d’altro; se istituisco cioè un rapporto strumentale, ciò che vale e mi attrae è lo scopo e quindi uno strumento può essere sostituito con l’altro quando non è più in grado di farmi raggiungere lo scopo. La persona è precisamente ciò che esiste in se stesso e per se stesso, ed esige di essere considerata e trattata come tale: sempre cioè come un fine, mai solamente come un mezzo.
Quando noi compiamo un atto di amore, noi quindi viviamo l’esperienza che esiste la persona, di “che cosa è” una persona; entriamo cioè nell’universo delle persone; affermiamo non teoricamente ma in realtà che l’universo dell’essere è diviso in due grandi regioni: il mondo delle persone, il mondo delle non persone. Chi abita il primo non è interscambiabile: non ha prezzo, perché ha una dignità. Chi abita il secondo è scambiabile: ha un prezzo, perché è privo di dignità. Il vissuto dell’amore ci fa vivere la peculiarità propria della sostanza personale rispetto a ciò che è impersonale. Chi ama, afferma che la persona esiste in se stessa e per se stessa.
Ma il vissuto dell’amore non afferma solo l’altro come persona; non è solo percezione della verità dell’essere – persona dell’altro. Ma in esso – nel vissuto dell’amore – colui che compie l’atto di amore, afferma in grado eminente anche se stesso. Sembra essere una contraddizione, ma se prestiamo attenzione a ciò che accade in noi quando amiamo, vediamo che amando, noi realizziamo noi stessi nel modo più elevato.
Iniziamo col farci una domanda: quale delle nostre facoltà è messa soprattutto in azione quando compiamo un atto di amore?
Certamente la nostra intelligenza. Tuttavia a guardare le cose un po’ in profondità, ci rendiamo conto che l’esercizio della nostra intelligenza è una, anzi la condizione dell’amore. Già gli antichi dicevano «ignoti nulla cupido». Tuttavia rasenta la banalità, ma è la verità, il dire che tu puoi conoscere una persona e odiarla profondamente. I demoni – dice S. Giacomo – conoscono l’esistenza di Dio, e tremano. L’intelligenza quindi è in gioco quando amiamo, ma più come condizione perché sia possibile amare. La ragione non ama.
Non c’è dubbio che nell’atto di amore entra in gioco la dimensione passionale della nostra persona. “Passione” ha qui il significato originario, correlativo e contrario ad “azione”. La passione è l’essere mossi, l’essere attratti senza aver deciso di essere mossi, senza aver deciso di essere attratti. L’amore è anche normalmente passione. Tutti i grandi maestri parlano di “sensi spirituali”, che sembra una contraddizione in termini, ma non lo è. Agostino voleva parlare di questo quando scrisse profondamente che da Cristo «non solo siamo attratti con la volontà, ma anche con l’affetto».
Guardando però le cose più in profondità, vediamo che nel vissuto di un atto di amore si ha anche e soprattutto la più alta espressione della propria libertà, proprio in ragione del fatto che l’amore implica la decisione di affermare l’altro in se stesso e per se stesso. È la suprema forma di uscita da se stesso, che si compie solo mediante la propria libertà.
Ci sono forme di amore il cui atto consiste nel donare ciò che abbiamo: si pensi all’atto d’amore che è l’elemosina. E ci sono forme di amore il cui atto consiste nel donare se stessi: si pensi all’atto dell’amore coniugale, oppure al fatto che Gesù chiede ai pastori il dono della vita per il loro gregge. Ma non si può donare ciò che non si possiede. La più alta espressione dell’amore, l’atto di auto-donazione, implica quindi un auto-possesso vero: un tenere a disposizione di se stessi, se stessi. Ma questa è la definizione di libertà. La persona prende in mano se stessa e ne fa dono all’altra. È la forma più alta di libertà. L’atto di amore è soprattutto un atto di libertà.
Possiamo capire meglio questo rapporto amore-libertà considerando la fedeltà. La fedeltà è profondamente connessa coll’amore: con ogni forma di amore, non solo quello coniugale. Fate bene attenzione: non è un dovere morale generale ciò di cui ora parlo, come quando diciamo “sii fedele ai comandamenti di Dio”. È una fedeltà sui generis: è fedeltà ad un legame che abbiamo liberamente istituito mediante il dono di se stessi, e che potevamo anche non istituire. Nessuno ti obbliga a sposarti ed ancor meno con quella persona; o a consacrarti nella verginità.
Il dono di sé per sua natura stessa è senza termine. La libertà che istituisce un tale legame è giunta ad un tale grado di possesso della persona che questa semplicemente decide di se stessa interamente; cioè per sempre. Sto parlando soprattutto delle tre forme principali dell’amore: coniugale, verginale, pastorale. Il matrimonio, la professione religiosa, il sacerdozio presuppongono la capacità di dare alla propria vita, indipendentemente da ogni accadimento imprevedibile, una forma vivendi che decide una volta per sempre il modo di reagire a quanto accade [“nella buona e nella cattiva sorte”…], rendendosi così superiori alla casualità. La fedeltà è la rivelazione più chiara della libertà, perché è la modalità più alta con cui noi ci liberiamo dall’essere esposti alla casualità.
Raccogliamo per un momento le nostre idee. L’amore, l’atto dell’amore è la più alta realizzazione della propria persona perché in esso viene esercitata col grado più intenso la propria libertà.
Più precisamente. Nell’atto dell’amore si ha la convergenza dei tre fondamentali dinamismi della propria persona. L’intelligenza, la passione, la libertà.
L’intelligenza perché non c’è amore senza accesso alla realtà dell’altro, ed è l’intelligenza che ci fa accedere alla realtà. La passione perché «non possiamo darci l’amore, anche se lo vogliamo. Non sta in nostro potere porre liberamente una tale risposta del cuore, come una risposta della volontà, né comandarla come fosse un atto» [D. von Hildebrand]. La nostra libertà poiché l’atto di amore è veramente della persona solo nel momento in cui il movimento del cuore è stato fatto proprio dalla libertà. L’atto d’amore è il punto in cui convergono tutti i dinamismi della persona: è la suprema e completa espressione e attuazione della persona.
Siamo dunque arrivati a due conclusioni. La prima: l’amore, l’atto di amore afferma-riconosce l’altro in se stesso e per se stesso, cioè come persona. La seconda: l’amore, l’atto d’amore afferma-realizza in grado eminente la persona che ama.
Proviamo ora a mettere insieme queste due conclusioni, ed entreremo nel “mistero dell’amore”; entreremo nel mistero dell’uomo e nella sua grandezza. La persona umana realizza se stesa nella relazione d’amore con l’altra persona: è se stessa nella relazione d’amore con l’altra trova se stessa nel dono di se stessa. L’essenza dell’uomo ci è svelata dall’essenza dell’amore.
Abbiamo verificato la verità di quanto dice il Concilio sulla persona umana.
Vorrei concludere questo primo punto deducendo una conseguenza da quanto ho detto. Se la libertà si esprime in grado eminente quando la persona dona se stessa, il suo esercizio non è ordinato all’affermazione di se stesso e alla ricerca del proprio bene prescindendo dal bene dell’altro o a spese del bene dell’altro. La libertà o è una libertà condivisa o è una libertà che si rivolge contro chi la esercita: l’amore è la vera liberazione della libertà. Una libertà solo per se stessi diventa un’orribile prigione.
 
 
2.      L’avvenimento dell’amore cristiano.
 
Come avrete notato, finora vi ho chiesto di fare attenzione solo a voi stessi, di verificare che cosa accade in noi quando compiamo un atto di amore.
Ora vi chiedo di elevarvi ad un atto di intelligenza circa la verità dell’amore infinitamente superiore, perché guidati non solo dalla nostra esperienza, ma dalla luce della fede cristiana. Prima di cominciare a rispondere, devo dirvi subito che cambia anche il vocabolario dell’amore. Parleremo da ora in poi di carità.
Partiamo da una domanda molto simile a quella da cui siamo partiti prima; che cosa accade nel mondo quando avviene l’amore cristiano?
E fin dall’inizio della risposta ci imbattiamo in una novità sconvolgente. Non si parla più in primo luogo di noi. Si parla di Dio.
La S. Scrittura dice: «Dio è carità» [1Gv 4,16]. Quando noi parliamo di carità noi parliamo dunque dello stesso mistero di Dio. In che senso? Nel senso che alla domanda: “che cosa è la carità”; la risposta è: “è il comportamento e la radice del comportamento di Dio verso l’uomo”. L’esposizione di questo comportamento e la sua narrazione è fatta nella S. Scrittura, ed il momento perfetto di questa rivelazione è Gesù.
Possiamo dunque dire che la risposta alla nostra domanda è la storia di Gesù, dalla sua origine alla sua fine, e ciò che caratterizza il credente nei confronti del non-credente è l’intelligenza del fatto che nella persona e nella vita di Gesù si svela che Dio è carità.
Possiamo esprimere la stessa risposta alla domanda che cosa è la carità, percorrendo un’altra strada. Gesù ha detto di Se stesso: «io sono la Verità», cioè: “io – la mia persona, la mia vita e la mia morte, le mie parole – sono la rivelazione perfetta, la manifestazione completa del mistero di Dio all’uomo” e del suo progetto di salvezza. Il contenuto di questa rivelazione, il “che cosa” essa rivela e manifesta è la carità di Dio. Nella rivelazione cristiana dunque Verità e Carità coincidono.
Come avrete notato, stiamo parlando non dell’uomo, ma di Dio e del suo comportamento verso l’uomo. Il discorso cristiano sulla carità ha come soggetto non l’uomo, ma Dio stesso che in Cristo si manifesta come carità. La carità di cui si parla - «Dio è carità» - è in primo luogo l’agire di Dio, manifestazione d’amore. Dicendo «Dio è carità», si parla di ciò che c’è in Dio di più propriamente suo, e di ciò che Egli desidera noi sappiamo di Lui.
Tuttavia un tale discorso divino, – è fatto da Dio; riguarda Dio – non avrebbe nessuna possibilità di farsi capire dall’uomo se non parlasse la lingua dell’uomo. L’amore di Dio deve rivelarsi mediante il linguaggio umano dell’amore. Così infatti è accaduto. Dio ha detto il suo amore servendosi del linguaggio dell’amore coniugale, dell’amore paterno-materno, dell’amore amichevole. Non abbiamo ora il tempo di leggere tutti questi linguaggi.
Dobbiamo invece fermarci a considerare una questione che a prima vista può sembrare per addetti ai lavori, ma in realtà è decisiva per tutti.
Se noi facciamo un poco di attenzione al modo di amare proprio dell’uomo, noi vediamo che chi ama non si accontenta di … amare, ma desidera anche essere amato. Fate bene attenzione. Ho usato una parola un po’ … pericolosa nel discorso che stiamo facendo: «desiderio». Perché pericolosa? Perché sembra che essa sia estranea alla dinamica dell’amore. Desiderio significa bisogno; il bisogno scatena una ricerca di ciò che lo soddisfa. In una parola: mentre la dinamica propria dell’amore è di natura oblativa ed estatica verso l’altro, la dinamica del desiderio è di natura captativa e diretta verso se stessi. Agape ed eros.
Se guardiamo le cose però più in profondità vediamo che questa separazione è un poco rozza. Le cose sono più profonde.
Che chi ama desideri di essere riamato, è nella logica dell’amore come tale. Il desiderio di essere corrisposto è dovuto alla forza dell’amore stesso, che non esperimenta la perfezione del suo atto se non nell’unione colla persona amata, nel superamento di ogni estraneità dell’uno all’altro.
Ritorniamo ora al nostro discorso teologico. La cosa che stupisce maggiormente nella narrazione che la Scrittura fa della carità di Dio in Cristo, è che Dio desidera essere corrisposto. La Scrittura usa un termine incredibile: parla di gelosia di Dio. Dio è geloso. Alcuni Padri della Chiesa dicono che Dio prova una passione per l’uomo.
Concludendo dobbiamo dire che quando il cristianesimo parla di carità, parla in primo luogo di Dio che in Cristo rivela che Egli ama l’uomo; di Dio che desidera che l’uomo corrisponda a questo amore, cioè a sua volta ami Dio.
Come vedete, il discorso sul “desiderio” ci ha portati all’uomo. Ed infatti quando il cristianesimo parla di carità, parla in secondo luogo della carità con cui l’uomo ama Dio: parla della carità dell’uomo che è risposta alla carità di Dio. «Noi amiamo» dice la Scrittura «perché Egli ci ha amati per primo» [1Gv 4,19].
Ma è possibile per l’uomo corrispondere all’amore che Dio ha per lui e gli ha dimostrato in Cristo? Non diamo per scontata la risposta, poiché entriamo in un grande mistero.
Partiamo da un esempio molto semplice. Un bambino può certo corrispondere all’amore di sua madre, e vi corrisponde. Tuttavia nessuno vorrà negare che la sua risposta è diversa da quella che darà quando sarà cresciuto in età. Allora egli conoscerà sacrifici, dedizione dell’amore materno, e quindi la corrispondenza sarà di qualità superiore.
Questo esempio ci aiuta a capire una legge fondamentale della vita: solo quando la risposta è adeguata alla misura dell’oggetto, essa è tale, cioè vera riposta. Se tu non rispondi all’amore di Dio con un amore corrispondente al “valore” di Dio, la tua non è una risposta vera. In breve: o tu ami Dio come Dio ama o tu non lo ami; o tu ami divinamente o non lo ami. Ma l’uomo è capace di amare solo umanamente. Non c’è allora altra soluzione che questa: che sia Dio ad amare nell’uomo; che l’uomo partecipi dello stesso amore con cui Dio ama. Questo è accaduto: è questo l’avvenimento cristiano.
In che modo l’uomo diventa capace di amare divinamente Dio, e quindi di rispondere adeguatamente all’amore che Dio ha per noi?
Ce lo rivela S. Paolo con un testo mirabile della lettera ai Romani: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» [5,5]. L’amore di Dio è l’amore con cui Dio ci ama. Di esso la persona umana fa esperienza perché “è stato effuso”, cioè ha penetrato il cuore dell’uomo: l’uomo “si sente” amato da Dio. In che modo? Mediante la persona divina dello Spirito Santo che viene donato al credente e rimane in esso. Lo Spirito Santo è il “mezzo” attraverso cui l’uomo sente di essere amato da Dio, ma nello stesso tempo, rimanendo nel cuore del credente, lo stesso Spirito pervade l’io dell’uomo; ispira e vivifica dal profondo la sua azione, e lo rende capace di amare Dio stesso.
È il dono dello Spirito Santo che, da una parte, ci dona la certezza e l’esperienza dell’amore con cui Dio ci ama in Cristo, e, dall’altra, muove ed ispira la persona umana ad amare Dio come Dio merita di essere amato.
Se c’è però un richiamo che ricorre costantemente nella S. Scrittura è alla carità verso il prossimo. Fino al punto che i due “oggetti” dell’amore – Dio e il prossimo – sono così strettamente legati nella dinamica della carità, che l’uno non può essere amato senza l’altro. Perché questo legame?
S. Tommaso spiega molto bene questo fatto. Egli scrive: «Per la stessa ragione per cui amiamo qualcuno per se stesso, amiamo tutti i suoi famigliari, i suoi parenti, i suoi amici, in ragione del legame che hanno colla persona amata [per se stessa]. Allo stesso modo si deve dire che la carità ama Dio per se stesso, e a causa di questo ama tutti gli altri in quanto sono ordinati a Dio; pertanto la carità ama Dio in ogni prossimo» [Q. disp. un. De charitate a.4]. L’amore con cui ami il prossimo è lo stesso amore con cui ami Dio. Nessuno aveva mai detto questo! L’amore cristiano del prossimo è qualcosa di unico nel mondo.
«Nell’amore cristiano al prossimo si dà sempre un elevarsi fino alla realtà ultima del mondo di Dio – un far saltare il mondo quotidiano puramente terreno con tutti i suoi legami; mentre il voler bene naturalmente resta totalmente nell’ambito di una sfera terrena interpersonale, nell’amore cristiano al prossimo spira il soffio di una libertà vittoriosa» [D. von Hildebrand, Essenza dell’amore, Bompiani, Milano 2003, 727]. È questo splendore che ci rapisce di fronte ai santi della carità.
Un grande teologo ha scritto: «Nel momento in cui Dio stringe una comunione con tutti gli uomini attraverso il suo amore, l’umanità stessa diventa unità, ricevendo la forma di una comunione intrinseca che si esprime nell’amore al prossimo» [L. Scheffczyk, Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, 291].
La fede ci fa capire con una profondità unica il legame che unisce la naturale capacità dell’uomo di amare e la carità. Ancora una volta lo esprime in modo mirabile il Concilio Vaticano II: «Il Signore Gesù quando prega il Padre, perché “tutti siano una cosa sola come io e te siamo una cosa sola” [Gv 17,21-22] mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» [Cost. past. Gaudium et spes, 24 ].
Ci eravamo chiesti: che cosa accade in un uomo credente quando compie un atto di carità? La risposta è: vive della stessa vita divina; ciò che è essenzialmente divino [la vita intratrinitaria] entra in ciò che è essenzialmente umano. Il segno che questo è accaduto ed accade è la verginità cristiana, la quale è la manifestazione eminente dell’evento cristiano.
Vedete che l’amore umano, quello di cui ho parlato nella prima parte, “riceve il centuplo” nella carità cristiana: è elevato alla centesima potenza.
 
 
Conclusione
 
Mi piace concludere con un testo di K. Woitila, tratto dalla sua opera Raggi di paternità.
«Ancora se guardo con ammirazione il Figlio non riesco a trasformarmi in Lui. Lo guardo davvero con ammirazione. In Lui quale immensa pienezza di umanità. È il vivente contrario d’ogni solitudine. Sapessi tuffarmi in Lui, sapessi innestarmi in Lui, potrei trarre da me l’amore di cui Egli ha la pienezza…: quanto si adopera per ogni uomo, come per il tesoro più grande, per un bene irripetibile, come un amante per l’amata» [Tutte le opere letterarie, cit. pag. 961].
Alla fine la risposta intera alla questione dell’amore è questa: è Cristo la sua pienezza ed è in Lui che noi possiamo imparare l’amore. L’unica scienza assolutamente necessaria.
mons. Carlo Caffarra
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