Il momento dell'amore è finito troppo presto, con esagerata velocità nella successione dei fatti si passa subito a spegnere ogni sogno. Il profumo è ancora nell'aria, ma non c'è più nessuno che è disposto a lasciarsi invadere; la gratuità è finita, l'illusione che l'amore fosse definitivo si fa palpabile.
del 03 aprile 2009Tweet!function(d,s,id){var js,fjs=d.getElementsByTagName(s)[0];if(!d.getElementById(id)){js=d.createElement(s);js.id=id;js.src='//platform.twitter.com/widgets.js';fjs.parentNode.insertBefore(js,fjs);}}(document,'script','twitter-wjs'); (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/en_US/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
Dal Vangelo di Marco 14,3-9
 
Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato?  Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! ”. Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;  i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.  Essa ha fatto ciòch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.  In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto”.
 
Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso
 
Betania è vicinissima a Gerusalemme, è una cittadina che sta all’inizio della grande discesa da Gerusalemme, al deserto, al Mar Morto, 1200 metri di dislivello da 800 sul livello del mare a 400 sotto, dalla bella città di Gerusalemme, ventilata e ariosa alla fossa del caldo e del sale, passando attraverso il deserto di Giuda.
Gesù è ospite di una casa, dopo la grande confusione della città, dopo le diatribe del tempio, le dure contrapposizioni con i farisei, l’ingresso trionfale in Gerusalemme. Gesù ha bisogno di affetto come tutti noi, ha un cuore di uomo, amante della vita. Ha bisogno del calore di una famiglia che manca spesso a tanti di noi, quel luogo in cui ci si dona l’uno all’altra per amore. E’ stato spesso nella casa di Pietro, andava con frequenza nella casa di Lazzaro, amava stare in famiglia, nella tenue delicatezza dei sentimenti dell’amore umano.
 
Il testo che stiamo commentando ha due versetti che lo precedono:
1 Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi
cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo.
2 Dicevano infatti: “Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo”.
Sono una cornice necessaria alla nostra meditazione. Il seguito è invece l’episodio del tradimento di Giuda. Tra una caccia all’uomo e un tradimento si colloca questa esperienza di pace e di intimità umana che da a Gesù la pausa necessaria per prendere forza dai sentimenti umani
Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo.
 
Entra in scena una donna. E’ importante notare che è una donna che dà inizio al racconto della passione e sarà una donna che ne segnerà la fine annunciando la risurrezione. Tra la congiura dei capi e il tradimento di Giuda si inserisce questa donna con un gesto tenerissimo. Porta un profumo in un vasetto, un profumo di grande valore, di nardo genuino, non contraffatto.
Non si percepisce l’atmosfera acre dell’accerchiamento di morte che gli stanno preparando i membri del Sinedrio, ma si diffonde un profumo delicatissimo, in un silenzio rotto dal colpo secco di un vasetto di alabastro, come di un cuore indurito, che si infrange per amore. Questo olio viene versato sul capo di Gesù.
 
Sembra un gesto normale, di cortesia, di gentilezza, di ospitalità, in cui si mescolano tenerezza e triste presagio. Una volta Gesù ebbe a lamentarsi perché un certo padrone di casa lo aveva ricevuto senza un minimo di cortesia. “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi.( Lc 7, 44-46)
 
La bibbia è piena di momenti solenni in cui sul capo dell’uomo viene versato olio profumato; con l’olio si allieta il volto, si consacrano i sacerdoti, si consacrano i re e i profeti, si curano i malati… Con questo gesto la donna non solo fa un gesto di amore, ma anche di fede profonda, riconosce in Gesù, il re, il sacerdote, la vittima, il profeta. E’ inaudito che sia una donna che compie una unzione messianica, quasi una consacrazione, dopo che Dio ha dichiarato messia il figlio Gesù.
Questo corpo di Cristo prossimo alla morte è oggetto di amore. Resta per ora sospesa una decisione efferata di metterlo a morte, si espande un profumo che penetra le narici, imbeve i vestiti, riempie l’atmosfera di una esaltazione gioiosa, di sentimenti di gratitudine e di amore. Questo momento nel racconto della passione si inscrive come una sospensione, una contemplazione; guardiamo questo Gesù con il suo cuore di figlio e di messia, che si prepara alla croce. Un uomo nel pieno della vita, nell’entusiasmo della sua missione che viene braccato come un delinquente, come uno spergiuro, un maledetto da Dio e dagli uomini. Una donna lo capisce, ne intuisce il dramma, ne coglie la mestizia e non lo vuol lasciare solo a un ruolo, lo accoglie come persona nella sua dignità umana.
Il gesto più bello d’amore lo compie ancora questa donna, che versa sul capo di Gesù un profumo delicatissimo, costoso, quello delle grandi occasioni. Gli unge quel corpo che fra poco penderà dalla croce, che sarà percosso e umiliato, oltraggiato in maniera efferata. Gesù pensa alla sua sepoltura, perché ormai la morte è vicina. 
Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato?  Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! ”. Ed erano infuriati contro di lei.
 
I convitati invece pensano agli affari e accampano la scusa dei poveri. I poveri sono purtroppo sempre usati per nascondere le intenzioni più basse. Ma non ci saranno funerali per Gesù, ci sarà la morte, sicuramente; il male avrà il sopravvento, ma solo per porre davanti a tutti nella solennità di un tronoscomodo quale è quello della croce, il massimo di bene che Dio avrà sempre per l’uomo, anche per i traditori, per gli infami.
Allora si leverà nella vittoria massima la speranza di vita per tutti, una speranza prefigurata e generata nei gesti semplici dell’amore.
Il momento dell’amore è finito troppo presto, con esagerata velocità nella successione dei fatti si passa subito a spegnere ogni sogno. Il profumo è ancora nell’aria, ma non c’è più nessuno che è disposto a lasciarsi invadere; la gratuità è finita, l’illusione che l’amore fosse definitivo si fa palpabile. C’è gente che si sdegna per la perdita dei soldi e non s’accorge che disprezza la sofferenza di un morente, passa sopra ai sentimenti di Gesù, alla consapevolezza della sua morte imminente. Che è la morte di un uomo di fronte all’accumulo di denaro, all’efficienza di una amministrazione, alla fame di trecento denari? Nella vita credono che sia più importante comperare o vendere, piuttosto che amare e donare, calcolare e ammassare, piuttosto che aprirsi e consolare.
Qui si dice “alcuni”, nei passi paralleli degli altri evangelisti sono i discepoli che si indignano, nella versione di Giovanni è Giuda stesso. Una povera donna scoppia di amore, un ceto di saggi si fanno consumare dai calcoli, dagli interessi.
Quanta gente regola i rapporti umani col calcolo e con l’interesse. L’unico intento della vita è il vantaggio, il fatturato. E’ il denaro il fine della società stessa. Le cose, il lavoro, i gesti, l’uomo stesso, tutto è mercificato, comprato, venduto, barattato; così è tentata anche di diventare la religione: una ragioneria di interessi.
Non sanno capire i convitati alla vita il bello, il buono, il gratuito che si nasconde nel gesto della donna.
Il dono è l’unico atto umano in cui l’uomo ritrova se stesso. Contemplare, amare e donare sono gesti che non servono a niente, ma ci fanno diventare persone, ci distaccano dalla confusione con la materia, creano spazio per la meraviglia, la gioia, la vita.
No a noi servono trecento denari, non ci serve Gesù Cristo; a noi serve avere sicurezza nelle strategie dei cambiamenti, non la gratuità dei rapporti.
Questa donna ha rovinato le uova nel paniere di chi voleva fare anche di Gesù un affare. E contro di lei si infuriano, sbraitano, intolleranti. Non amare nessuno perché a qualcuno fai subito fastidio, soprattutto a chi crede di dover giudicare gli altri e di avere in mano il mondo.
Resta in piedi ancora qualche dubbio sulla insensatezza dello spreco dell’olio profumato: i poveri. Si poteva dare ai poveri. Certo c’è una intenzione nobile; il calcolo non è fatto per un volgare tornaconto o affare, ma per un atto di solidarietà.
Da una parte la tenerezza, un cuore ansioso, pieno di presagi, una sensazione di qualcosa di irreparabile che sta capitando, dall’altra un freddo calcolatore pieno di sicurezza e di disprezzo, frustrato e tentato di tradimento. La donna rompe un vaso di nardo preziosissimo e riempie la sala di profumo. E’ il capo di
Gesù che merita tanto, ma è tutta la casa che ne viene saturata, la vita di quel gruppo di disperati che viene inondata da un profumo che nei loro ricordi resterà indimenticabile. E’ un gesto d’amore, è l’ultimo vero gesto d’amore che viene rivolto dall’umanità a Gesù. Ce ne sarà tra poco un altro, il bacio di Giuda, quello non sarà amore, ma tradimento.
C’è un conteggio che passa per la mente di Giuda o di tanti che la pensano come lui: un profumo sprecato questo unguento, con tutti i poveri che ci sono e che potrebbero avvantaggiarsi del suo valore.
Vale ben trecento denari. Il prossimo conteggio lo farà ancora il Sinedrio, quando gli conterà trenta miseri denari come prezzo del tradimento.
 
Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.
E’ Gesù stesso che interviene con la sua parola per aiutarci a fare discernimento. Il punto nodale è: Noi dobbiamo sempre fare la scelta decisiva di stare dalla parte della persona di Gesù, è Lui il povero che si è addossato tutto il male del mondo; l’unzione è rivolta proprio a chi verrà presto ucciso, a uno che sta affrontando la morte. Questa, dice Gesù, è un’opera buona: amare Lui sopra ogni cosa è opera buona, come era buona la creazione ogni giorno che arricchiva l’universo delle bellezze del creato e della centralità dell’uomo e della donna.
Se vedi che davanti a te si affaccia il Cristo che sale il Calvario, tu vai a preoccuparti di come e dove poter risparmiare o stai a farti i calcoli per le tue buone azioni? Che ti importa di Lui che muore solo, abbandonato? Ti interessa la sua vicenda o l’hai già cambiata in una azienda?
Quante volte la religione, il nome di Gesù è tirato in ballo per coprire i nostri interessi, per fare da supporto alle nostre fissazioni, al nostro stesso egoismo.
Avere sempre con noi i poveri non ci autorizza a strumentalizzare Gesù, non ci esime dal riscattarli sempre, ma ci obbliga a guardare sempre a Lui che sa vincere ogni povertà, ci dà la forza di spenderci.
Senza di Lui, prevale l’egoismo, l’interesse; il pensiero dei poveri diventa strumentale come lo è per la Fao l’organizzazione che si mangia tra i funzionari l’80% dei capitali messi a disposizione per risolvere la fame nel mondo. Molta gente se non mette al centro Cristo, si serve dei poveri e non li aiuta a riscattarsi
 
Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.
La consapevolezza di Gesù è precisa. La morte non è un tragico incidente in cui è caduto perché era un predicatore sprovveduto e ingenuo. Sapeva che lì doveva provare a tutta l’umanità la decisione irrevocabile dell’amore di Dio. Gesù aveva la consapevolezza molto umana, ma non per questo meno intensa, di quella morte che lo attendeva al varco. All’ultima cena, di lì a pochi giorni avrebbe esplicitato ancora di più quello che c’era nel suo cuore.
Non si può più girare attorno alle cose. La mia vita non me la prenderanno con inganno o con strategie politiche, per farsi qualche piacere l’un l’altro o Erode o Pilato o Anna e Caifa o i mestatori di popolo, la dono io. Sono venuto per questo. Qui sta lo snodo fondamentale della mia missione: vi do la mia vita, perché vi voglio troppo bene. Non posso permettere più che il male sia l’ultima parola sui vostri sentimenti, affetti, azioni, corpi e relazioni. Questo pane spezzato e questo vino versato saranno sempre il segno di un dono senza rimpianti, di una vita donata senza ripensamenti, saranno il segno del mio corpo dilaniato e del mio sangue versato.
E potrete sempre rifare questi miei gesti e ogni volta che li rifarete io sarò lì ancora a dirvi che vi voglio bene, a dirvi che non immaginate che Padre avete nei cieli, a ricordarvi che è finita la schiavitù, che l’ultima parola non è la morte, anche se in cuore avrete odio, anche se userete questi miei segni per farvi belli, in una chiesa dove state solo per dovere, in una comunità che usa la messa per truccare l’odio e la falsità, anche quando i gesti li compirà un prete senza fede, senza amore, pieno di ambizioni, incapace di uscire dal giro del peccato di cui non si accusa più. E’ un dono per sempre, senza ripensamenti o nostalgie.
 
Fin qui la spiegazione letterale e ora riprendiamo il senso globale del testo:
E’ bello ascoltare storie, evocare sentimenti, osservare descrizioni di personaggi, vedersi rispecchiare in figure che ci aiutano a leggere più in profondità le nostre stesse emozioni e a dare voce ai nostri sentimenti.
Ebbene sei giorni prima di Pasqua Gesù ritorna in un luogo caldo di amicizia e sentimento. Non lo incantano le manifestazioni di successo. Ieri era stato osannato, ma sa bene la fragilità dell’audience, dell’immagine. Oggi sei al centro, domani non ti guarda nessuno. O sei qualcuno tu o sei niente se ti affidi e pensi che sia la notorietà a darti sostanza. Gesù si affida alla intimità di una famiglia, vuole passare i suoi ultimi giorni nell’amicizia e nel tepore di una accoglienza.
Ma anche questa non è nessuna isola: scoppia il grande amore di una donna forse Maria la sorella di Lazzaro, che stavolta serve a tavola, non sta allampanata a guardare a contemplare, e decide un gesto di amore estremo, delicatissimo, foriero di presagi che non si possono dire a parole: unge di profumo il capo, i piedi di Gesù. Il timore e terrore che a Gesù sarebbe capitato qualcosa di grave è nell’aria; nessuno lo dice per delicatezza, per amore, per godere pur in una incoscienza voluta momenti intensi.
E’ Gesù stesso che li esprime. Mi hai anticipato con il tuo gesto di amore la sepoltura. E’ sempre il dolcissimo Gesù che accoglie nella verità e offre strade per accettarla.
La verità della situazione è fatta emergere in termini ancora più crudi dall’intervento e dalla presenza dei ben pensanti, forse di Giuda stesso. Profumo sprecato. Poveri abbandonati, lusso ingiustificabile. Loro i ragionieri dei soldi e dei sentimenti, i calcolatori delle situazioni e delle efficienze, col cuore ormai inaridito dalla delusione e dalla incapacità di stare dalla parte di Gesù. Loro preoccupati del fatturato, dei risultati. Mentre Gesù è dalla parte dell’amore e della tenerezza anche tra una congiura e un tradimento. Sono lì tutti, siamo lì tutti anche noi in questa scena intima e familiare. La coda del diavolo c’è sempre e ci ricorda che la vita è sempre in salita e che occorre sempre affidarsi a Dio come fa Gesù. 
mons. Domenico Sigalini
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