Qualche osservazione sugli aspetti socio politici dell'Esortazione postsinodale...
Al di là del dibattito sulla rivoluzione pastorale avviata da Amoris laetitia, è forse arrivato il momento di dire una parola anche sugli aspetti socio-politici di questo documento. Dimensione lasciata finora un po’ troppo in ombra, forse per evitare di confrontarsi, anche in questo caso, con il cambio di passo di un testo che, offrendo nuovi punti di vista, finisce obbligatoriamente per porre di fronte a un bivio chi, rivestendo ruoli pubblici, sceglie di qualificarsi come cattolico. Sarà difficile d’ora in poi, senza adottare lo stesso sguardo del Papa, ragionare sulla famiglia e sul far famiglia in ambito sociale e politico, continuando a risultare coerenti e credibili.
Come è stato messo bene in evidenza sul fronte teologico-pastorale, l’Esortazione postsinodale rappresenta un punto di svolta anche per affrontare tante questioni che toccano da vicino la vita delle famiglie. Dove si trovano questi riferimenti? Disseminati un po’ ovunque, lungo i nove capitoli del testo, proprio perché l’intento del Papa è quello di farci comprendere che i problemi della denatalità, del lavoro, delle migrazioni, il ruolo degli anziani, la necessità di agevolare adozione e affido, l’allarme gender e tanto altro ancora, non sono situazioni da confinare in un settore specifico della realtà familiare, ma si intrecciano in vario modo nella vita concreta di tutti noi e finiscono per modellare le nostre relazioni, i nostri sentimenti, anche il nostro rapporto nei confronti di una fede che non può rimanere confinata dietro la porta di casa.
«La famiglia non deve pensare se stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società. Non rimane ad aspettare, ma esce da sé nella ricerca solidale» (AL 181). Ecco perché alcuni punti vengono prima accennati e poi ripresi in vari capitoli, per offrire un approfondimento più autentico e meglio collegato ai vari momenti della vita coniugale e familiare su cui Francesco via via riflette.
Il caso gender è un esempio significativo. Il Papa parla una prima volta nel secondo capitolo, prendendo le distanze in modo netto: «È inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini» (AL 56). Subito dopo, rifiutando «uno stereotipo di famiglia ideale» e indicando la realtà di «un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni», invita però a non cadere «nella trappola di esaurirci in lamenti auto difensivi, invece di suscitare una creatività missionaria».
Sbagliato quindi arroccarsi nella condanna che non si sforza di capire e di accogliere il parere di chi la pensa diversamente da noi. Più saggio e più in linea con una Chiesa che su questo punto «avverte la necessità di dire una parola di verità e di speranza», offrire proposte alternative, percorsi nuovi traducendoli in «sogni profetici, azioni trasformatrici e immaginazioni della carità» (AL 57). Insomma, dalla protesta alla proposta. Un passaggio che anche alcune delle associazioni più impegnate su questo fronte sembrano condividere con molta fatica. Il pensiero viene chiarito in modo più dettagliato al capitolo sesto, nei paragrafi dedicati all’educazione.
Parlando dell’alterità sessuale, il Papa spiega che «nel proprio modo di essere, femminile e maschile, non confluiscono solamente fattori biologici o genetici, ma molteplici elementi relativi al temperamento, alla storia familiare, alla cultura, alle esperienze vissute, alla formazione ricevuta, alle influenze di amici… ». Ora, se è vero che «non possiamo separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio» perché esistono elementi biologici che è impossibile ignorare, è altrettanto vero, argomenta Francesco, che «il maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido» (AL 286), indicando come il superamento di alcuni stereotipi all’interno dei ruoli familiari non è solo condivisibile, ma necessario per evitare rigidità, considerando che «in alcuni luoghi certe concezioni continuano a condizionare la legittima libertà» (AL 286). Considerazioni che – nel dibattito tra “catastrofisti” e “negazionisti” – fanno capire come sia necessario andare oltre atteggiamenti troppo perentori, cercando modalità di riflessione più dialoganti e più rispettose.
Forse anche per l’ambito socio-politico dell’Amoris laetitia la parola chiave è quella del discernimento. Se esistono punti fermi sui quali la posizione del Papa è esplicita – la difesa della vita, il no all’aborto, la libertà educativa – spuntano nel testo tanti temi che, pur trattati in modo problematico, non possono più essere considerati secondari nell’agenda politica. Le migrazioni innanzi tutto, che possono rivelarsi «un’autentica ricchezza tanto per la famiglia che emigra quanto per il paese che la accoglie».
E questo rimane vero anche quando la migrazione è «frutto di situazioni di guerra, di persecuzioni, di povertà, di ingiustizia» (AL 46). Subito dopo, tra le situazioni di crisi, il Papa indica la disabilità per sottolineare il coraggio delle famiglie che, accogliendo un figlio disabile, potranno scoprire «insieme alla comunità cristiana, nuovi gesti e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel cammino di accoglienza e cura del mistero della fragilità». Sia migrazioni, sia disabilità, commenta Francesco, sono «segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (AL 47).
E mettono in gioco anche l’atteggiamento della politica che, proprio sull’efficacia delle misure adottate per sostenere le varie forme di fragilità, misura la coerenza del suo impegno. Quando questo non avviene si allarga «una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie».
Crisi demografica, difficoltà educative, fatica nell’accogliere la vita nascente ma anche gli anziani, disagi affettivi che spesso arrivano alla violenza, possono e devono essere combattuti e risolti da interventi legislativi di cui lo Stato ha la responsabilità. La difesa di questi diritti «è un appello profetico in favore dell’istituzione familiare, la quale dev’essere rispettata e difesa da tutte le usurpazioni, soprattutto nel contesto attuale, dove solitamente occupa poco spazio nei progetti politici» (AL 44). Ecco le linee-guida di un impegno socio-politico in linea con quanto sollecita l’Esortazione postsinodale. Vincere il degrado generalizzato, migliorare l’organizzazione della vita comune, con «una robusta iniezione di spirito famigliare» (AL 183), per fare in modo che i coniugi cristiani possano riempire il grigio dello spazio pubblico «con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva. La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società» (AL 184). Anche in questo caso la vastità e la novità dello sguardo inaugurano una prospettiva dai contorni originali. E, come per gli aspetti teologico-pastorali, indietro non si torna.
Luciano Moia
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