Nonostante tutte le critiche, le banalizzazioni, la famiglia appare sempre “la roccia” sulla quale i figli fondano le loro certezze o le loro insicurezze.
del 12 maggio 2010
 
           “Riccio”. Un film francese. L’ho dibattuto l’altra sera con un gruppo di universitari. Al centro, una ragazzina, Paloma, che ha deciso di uccidersi il giorno del suo compleanno, incendiando allo stesso tempo l’appartamento nel quale vive con la sua famiglia benestante: è figlia di un ministro.
 
 
           Paloma osservava la sua famiglia, filmandola con la sua telecamera, infastidendo tutti con questa sua mania, che sembrava un occhio sempre aperto sui rapporti superficiali, inesistenti, anaffettivi che rendeva la famiglia “una specie di frigorifero”, che ibernava i sentimenti, gelando l’amore.
           Che i ragazzi e le ragazze “osservino” le loro famiglie non è solo di Paloma. Non c’è neppure bisogno di telecamere.
           Con il cuore i ragazzi avvertono e colgono il clima di casa: se papà e mamma vanno d’accordo, se hanno a cuore i figli, se sono contenti di averli messi al mondo o se li sentono fastidio, catena. Avvertono il clima di violenza che rende difficile la vita in famiglia: non solo parole, ma violenza fisica, che porta alla morte.
           I giornali riportano, quasi con soddisfazione, che l’Italia ha il triste primato in Europa degli omicidi e dei suicidi consumati all’interno delle mura di casa. Sottolineano che la famiglia non è più lo spazio degli affetti, che il “per sempre” dei matrimoni trasforma l’amore in noia, in tensioni, rendendo il clima familiare irrespirabile.
           La famiglia va cambiata e, se non lo fa la Chiesa o la comunità civile, ci pensano gli stessi protagonisti a cambiarla anche in modo violento.
Ma è questo il pensiero dei figli? Sono in controtendenza le varie ricerche organizzate dai vari Centri di studio, universitari e non, dove i giovani indicano nella famiglia il luogo migliore per crescere, evidenziando la loro sofferenza quando la famiglia non c’è, papà e mamma sono fragili, incapaci di amare, inetti nell’educare.
           Sono aumentati i divorzi, parecchi bimbi nascono da convivenze, la violenza in casa si manifesta con maggiore frequenza, gli stessi responsabili di queste situazioni in aumento, si difendono e si giustificano con argomenti sempre più raffinati a livello razionale, supportati dai nuovi profeti dei mass-media, che criticano aspramente la famiglia come la Chiesa o la comunità civile la presentano, ma quando si avvicinano i ragazzi e le ragazze ci si accorge che non accettano per niente queste scelte dei genitori che li mettono allo sbando, che non li fa sentire di qualcuno “per sempre”.
           Nonostante tutte le critiche, le banalizzazioni, la famiglia appare sempre “la roccia” sulla quale i figli fondano le loro certezze o le loro insicurezze.
           “Mio padre non lo vedevo bello. L’ho sempre visto uguale. Più che bello, lo sentivo insostituibile. Poi ho cominciato a sentirlo lontano, sempre più lontano da quando ha cominciato ad allontanarsi dalla mamma, poi da noi. Mi ha messo paura il giorno che se n’è andato. Cosa sarà di noi?”.
           “Da bambino non mi sono mai accorto di essere povero.Non ne soffrivo, vedevo mio papà e mia mamma che si davano da fare per mandare avanti la famiglia, per farmi studiare. Più che vedere papà, in casa c’era la mamma che ci spiegava che il papà era assente per lavoro. La vedevo triste perché stava via anche parecchi mesi, emigrante. Cercava di tutto per farcelo sentire vicino anche se lontano!”.
           “Non litigavano mai davanti a noi figli, ma non si parlavano mai. Neppure a tavola. Era un silenzio che mi faceva stare male. Si sono accorti solo quando avevo smesso di mangiare: non di un colpo, ma poco alla volta, ero diventata anoressica!”.
           “Quando papà entrava in camera al mattino, fingevo di dormire per dargli il piacere di svegliarmi. Mio padre era comprensivo, mia mamma era molto buona. Si volevano bene! A me bastava questo. Ero davvero fortunato!”.
           Genitori assenti o famiglie divise creano quella categoria di figli “precari”, che alimenta quella dei depressi, dei violenti contro se stessi e aggressivi contro gli altri, accresce la voglia di sballo o il male di vivere legato ai disturbi dell’alimentazione, anoressia e bulimia, forse il disagio più grave da affrontare e da recuperare alla speranza.
           «Per questo è così importante, afferma il Progetto Culturale della Cei in “La sfida educativa”, sia da un punto di vista culturale che pratico, sostenere il legame coniugale. La coppia va accompagnata nella fase del fidanzamento, nei primi anni di matrimonio, ma anche nei vari passaggi critici, in modo che non si arrenda facilmente alle difficoltà che incontra nel suo cammino».
           Ne guadagnerebbero tutti, in particolare i figli, che non sono vittime predestinate ma “i privilegiati” dall’amore di chi li ha chiamati a vivere,senza chiedere loro il permesso!
don Vittorio Chiari
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