«Staccare la spina? La spina si può staccare a un elettrodomestico, non a una vita». Amedea Parma va dritta al cuore della questione, senza troppi giri di parole. Potrebbe fare altrimenti una madre che da 8 anni accudisce il figlio in stato vegetativo?
del 05 dicembre 2008
«Sono molto turbata per il caso di Eluana – ammette la signora Parma, 60 anni tra poche settimane, riminese – non voglio giudicare nessuno ma allo stesso tempo non posso tacere: don Oreste Benzi mi inciterebbe a far conoscere la mia esperienza. Se mi permetto di prendere la parola è perché anche io vivo le stesse sofferenze del padre di Eluana». Duemila, anno del Giubileo. È il giorno della festa del papà: Davide ha 27 anni, all’ora di cena il suo posto a tavola è vuoto. Alle 20 suonano alla porta ma invece del ragazzo spuntano le divise dei carabinieri. «Davide è in ospedale, nel reparto rianimazione, le sue condizioni sono gravi, molto gravi». La causa è un’overdose. Ad attendere Amedea e il marito, in ospedale, c’è la diagnosi dei medici, che suona come una sentenza senza appello. Davide è in pericolo di vita e anche se riuscisse a sopravvivere per lui non ci sarebbe più stato niente da fare: lo attendeva lo stato vegetativo, la stessa diagnosi fatta a Eluana. «Una sentenza terribile, dolorosa, durissima da accettare» ricorda la mamma. Dopo 20 giorni, Davide è inserito in reparto e qui rimane per due mesi dopodiché viene trasferito in una struttura per la riabilitazione. Davide è intubato, si nutre attraverso un sondino naso-gastrico, soffre di gravi broncopolmoniti con febbre altissima. Il quadro clinico è disperato; mamma, papà e il fratello lo assistono continuamente: «Gli facevamo sentire la nostra presenza». Dopo quattro mesi è giunto il momento delle dimissioni. La famiglia è indecisa sul da farsi, e la soluzione che viene suggerita da un esperto è il ricovero in una residenza sanitaria assistita. «Con mio marito e mio figlio ci siamo guardati negli occhi – racconta Amedea –, il pensiero era lo stesso: portiamolo a casa». Davide e la famiglia sono parrocchiani di don Oreste Benzi, «il prete degli ultimi». A casa, alla Grotta Rossa di Rimini, torna un «bimbo» di 27 anni, da gestire come un neonato. Da accudire in continuazione: per questo mamma Amedea vive nella sua camera. C’è da azionare l’ossigeno, fare punture, eliminare l’eccessivo catarro. «Non sapevo come gestire questa nuova drammatica situazione – ammette la madre –. I primi due anni sono stati per me una tragedia incondizionata». Davide ha lo sguardo nel vuoto, non manifesta reazioni, nonostante gli stimoli che arrivano dai familiari.
 
Amedea ricorda quei giorni: «Avevo pensato di farla finita, perché venivo già da un altro enorme dolore: la perdita di un figlio morto a soli 12 anni in seguito a incidente stradale». Con il nuovo dramma ad Amedea crolla il mondo addosso. «Sono stati due lunghi anni: per questo capisco la sofferenza del padre di Eluana nell’accettare la condizione del suo stato vegetativo. A un certo punto, però, ognuno di noi deve scegliere». Amedea ha scelto la vita, e si è sposata per la seconda volta, «con la vita. E mio figlio ha percepito il mio, il nostro abbandono, che lo avevamo accettato incondizionatamente e ha iniziato a dare segnali positivi». Davide, questo trentenne dai capelli castano scuro, per i medici resta in stato vegetativo, ma nessuno, incontrandolo in casa, seduto sulla carrozzina, direbbe che è «assente». «Sta bene, sorride, sorride spesso, è presente. Nel suo silenzio, nella sua immobilità, è parte integrante della nostra famiglia». Simone, il fratello minore, sposato da un anno, fuga ogni dubbio. «Mamma, sta’ tranquilla: ci pensiamo noi a Davide, non andrà in istituto». Due anni fa Davide ha subito l’asportazione del rene: per complicazioni è andato sotto i ferri per tre volte nell’arco di 15 giorni. «Secondo i medici, non avrebbe retto neppure alla prima operazione – ricorda mamma Amedea –. Invece ce l’ha fatta, oggi sta bene ed è qui con noi». Il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, ha fatto visita al ragazzo ed è in contatto con i familiari. Oggi il pensiero di Amedea va però a Eluana Englaro e piange. «In un momento di tristezza, di sofferenza, di buio, si possono dire tante cose. Ma chi siamo noi per togliere la vita? Non sta a noi decidere. Un sorriso di Davide, un suo sguardo, anche nel vuoto, mi dona serenità e mi riempie di gioia. Come posso staccare la spina a questo figlio?».
 
Paolo Guiducci
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