Il libro "Cecenia. Il disonore russo" suscita ancor oggi un altissimo interesse, perché presenta lo spaccato di uno dei periodi più bui e tragici della storia di questa Repubblica federata e testimonia l'impegno e il coraggio di una donna che in nome dei diritti umani, politici e sociali ha denunciato situazioni di violenza e ingiustizia colpevolmente sottaciute...
Il testo Cecenia. Il disonore russo di Anna Politkovskaja riguarda la storia della Repubblica Cecena autonoma della Federazione Russa, negli anni precedenti il 2003, quando ancora si stava svolgendo nel paese la seconda guerra con la Russia (1999-2006).
Da allora la situazione è molto cambiata e migliorata: il governo russo ha fatto cospicui investimenti in territorio ceceno, sono stati realizzati grandi lavori di ricostruzione nella città di Grozny, Putin si è conquistato maggiori consensi fra la popolazione e di conseguenza appare rischiarato il clima di conflitti e violenze rispetto a 10 anni fa, anche se giornalisti e osservatori affermano che quotidiana rimane la lotta contro la corruzione.
Il libro scritto dalla giornalista russa Cecenia. Il disonore russo suscita comunque ancor oggi un altissimo interesse , perché presenta lo spaccato di uno dei periodi più bui e tragici della storia di questa Repubblica federata e testimonia l’impegno e il coraggio di una donna che in nome dei diritti umani, politici e sociali di ogni uomo ha denunciato situazioni di violenza e ingiustizia colpevolmente sottaciute e per lo più negate nel suo stesso paese e a livello internazionale. Anna Politvkovkaja ha iniziato la sua professione nel 1982, presso un giornale di Mosca e dal 1999 fino al 2006, anno della sua uccisione, ha pubblicato scritti che documentavano le continue violazioni dei diritti fondamentali dei Ceceni, e la politica brutale e oppressiva da lei imputata direttamente a Putin, senza risparmiare le sue critiche all’allora presidente ceceno Aslan Maskadov, colpevole a sua volta della tragica situazione che stava vivendo il popolo. Numerosi riconoscimenti e premi le sono stati assegnati per l’attività svolta, ma negli ultimi anni si era attirata aspre critiche e inimicizie, aveva subito minacce, interrogatori umilianti e un arresto nel febbraio del 2001. Come si legge nel libro, l’Autrice attraversava i confini della Cecenia di nascosto durante la notte, per incontrare amici e testimoni che la informavano delle prevaricazioni e violenze subite dalla popolazione, e ripartiva la mattina seguente evitando accuratamente i posti di blocco, per scrivere, a prezzo del rischio della propria vita, ciò che aveva visto e sentito, con l’intendimento di fermare la catena di crimini commessi.
Nella città di Grozny in particolare, bande feroci formate da gruppi non ben identificabili di russi, di ceceni e russi o di soli ceceni desiderosi di vendicarsi di qualche torto subito, si aggiravano seminando terrore: irrompevano nelle case, spaventavano gli abitanti, violentavano le donne e uccidevano senza motivo con rituali feroci di giustizia sommaria, contando su una sicura impunità. Ma queste crudeltà dettate dalla superbia e dal disprezzo della vita dono di un Altro, sottolinea la scrittrice, si ritorcono contro i loro autori e complici: le ingiustizie palesi di cui si sono macchiati dividono al proprio interno la popolazione sia cecena che russa, creando spie e delatori, generando un clima di sospetto e odio reciproco, cancellando ogni sentimento di compassione e di pietà. I conflitti hanno stravolto l’identità di entrambi i contendenti, corrodendone il senso morale e la responsabilità civile.
E la Politkovskaja afferma: Dopo un certo periodo, in mancanza di risposte ragionevoli, la coscienza comincia a disgregarsi come un fungo marcio e la mente finisce in un vicolo cieco…Tuttavia non è follia, è un fenomeno diverso. E’ come se tutti i pilastri che hanno sostenuto la tua vita fino a quel momento fossero crollati (Op. cit. pag.28)
Per questo, senza risposta, era rimasta la domanda rivolta ad un soldato russo durante un interrogatorio sul perché avesse barbaramente ucciso e scalpato un ceceno, così come invano la giornalista aveva ricercato un motivo plausibile che spiegasse il martirio subito da una donna sventrata con ferocia per il solo fatto che i suoi aguzzini non avessero trovato una birra da bere nella sua casa.
Simili fatti vengono raccontati nel libro con capacità analitica e precisione, e con altrettanta lucidità vengono descritte le famigerate zaciska, che anziché operazioni di meri controlli dei documenti, si trasformavano in organizzate irruzioni per saccheggio nei villaggi isolati e in follie orgiastiche, in cui le donne trovate sole venivano afferrate e colpite alla testa, ai reni, alle gambe prima di essere violentate e abbandonate sanguinanti.
In 4 mesi erano state soccorse e medicate negli ospedali di Grozny 267 persone ferite da spari ed esplosioni. In questo truce e desolato affresco emergono le figure di coloro che si sono opposti al male e lo hanno contrastato, come quella del giovane maggiore russo Nevmerjitsi che non aveva esitato a denunciare il massacro compiuto per ordine di un colonnello distaccato nei pressi del villaggio di Shatoi, o come quella del capo del villaggio di Tovzeni Vakha Kossuiev, che aveva patteggiato un accordo con il comandante dell’offensiva russa e aveva accettato poco dopo di incontrare l’Autrice, pagando con la vita il suo atto di coraggio. Commentando il clima determinato dal conflitto in atto, l’Autrice scrive: Questa sporca guerra ha creato a poco a poco un’onnipresente atmosfera bellicosa nella quale gli argomenti normali non sono più in voga. Abbiamo preso l’abitudine di parlarci con intolleranza, senza più traccia della nostra benevolenza naturale, della nostra pazienza, della tendenza a perdonare, insomma di tutto quello che rappresenta tradizionalmente il carattere russo (Op. cit. pag 77). Per questa struggente nostalgia per i valori che caratterizzavano nel passato i rapporti fra gli uomini Anna ha scritto i suoi testi: perché ognuno potesse condannare le azioni colpevoli compiute, ritrovare la capacità di perdonare e riconoscere i tratti sacri del volto umano in sé e nell’altro. Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja è stata freddata in ascensore da assassini rimasti i
mpuniti e la sua morte ha provocato l’indignazione e la condanna di tutto il mondo. Ma ad oggi l’assassinio non risulta avere né colpevoli né mandanti. Alla memoria della giornalista, alla sua sete di verità e alla sua tensione etica è stato dedicato nel 2009 a Milano un ceppo nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo e nel 2012 il Consiglio Comunale della città le ha intitolato una piazza e un giardino.
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Conci Donata
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