Apologia di una conversione

Il musulmano e l'acqua santa. Incanto barocco, gesto coraggioso. Un pregiudizio secolarista vuole che la conversione, come la fede, debba restare un fatto privato, che in questo si esprima la sua sincerità. Ma è falso. I laici veri conoscono la storia della spiritualità umana e sanno che l'interiorità può essere solo il primo nucleo di una conversione...

Apologia di una conversione

da Quaderni Cannibali

del 25 marzo 2008

Pasqua tempestosa in San Pietro. Liturgia latina fitta del suo mistero, assediata dalla nebbia nel giorno della resurrezione, dopo le ombre cinesi del venerdì santo e della via crucis. E nel cuore del triduo, nel passaggio simbolico dalle tenebre alla luce dopo la processione dei ceri pasquali, la frustata della fede come incanto barocco dopo le arcate razionali di Ratisbona.

 

La conversione al cattolicesimo del laico musulmano Magdi Allam, il suo battesimo come Cristiano, è stata un grande fatto pubblico, amministrato con coraggiosa saggezza dalla chiesa e dal suo nuovo fedele. Spero che le eventuali ripercussioni polemiche (non voglio pensare adesso a un sovraccarico di violenza intollerante contro l’apostasia) saranno fronteggiate con altrettanta saggezza e altrettanto coraggio.

 

Buon viaggio a Magdi Cristiano nella difficile traversata che lo attende: è stata una festa per ogni vero libero pensatore vederlo sulla tolda dell’ammiraglia della chiesa universale, nella notte davvero universale per tutti i cattolici, quella della Pasqua di resurrezione, mentre il capitano gli asperge la testa di acqua benedetta.

 

Un pregiudizio secolarista vuole che la conversione, come la fede, debba restare un fatto privato, che in questo si esprima la sua sincerità. Ma è falso. I laici veri conoscono la storia della spiritualità umana e sanno che l’interiorità può essere solo il primo nucleo di una conversione o addirittura il suo esito finale quando il vaglio pubblico di un nuovo modo di vedere il mondo, e di essere nel mondo, approdi alla certezza di fede che la creatura umana appartiene alla terra che abita e al cielo che non conosce. Tutto sta alla libertà e all’inclinazione dell’individuo. Un catecumeno non è prigioniero della trasfigurazione radicale del suo animo, è un uomo libero che liberamente si mette alla sequela di Cristo in comunione con un popolo credente e con i suoi pastori.

 

Venticinque anni or sono Claudio Magris, letterato cattolico del pensiero debole, mi rivolse un attacco durissimo fondato proprio su questo pregiudizio della privatezza della fede, esteso al pensiero. Si trattava allora di una metafora minore e laica della conversione, il passaggio dal comunismo all’anticomunismo, e per una certa genia intellettuale di filocomunisti eleganti e borghesi l’anticomunismo era assai peggiore del comunismo, era un “male non necessario” o un atteggiamento non conveniente. Chi lasciava il comunismo doveva tacitarsi, raccogliersi in un tormento privato e considerarsi benevolmente ostracizzato per sempre. Risposi con amarezza al momento, e poi con una vita intrattabile e petulante. Vent’anni dopo un altro cattolico di sinistra, il vaticanista Giancarlo Zizola, presentando con me un libro nella sede del Partito radicale, tornò sul tema del silenzio dei convertiti con la stessa perentorietà, indicandomi come il prototipo del laico che si accosta alla chiesa in atteggiamento di devota conversione, e mi prescrisse anche lui la cura del silenzio. Gli risposi che sbagliava indirizzo, perché ero infinitamente più laico di lui e dei suoi amici radicali, e che nella storia delle conversioni che hanno fatto la chiesa furono notate alcune lettere di san Paolo, predicatore divinamente petulante e irascibile della nuova teologia dei cristiani, e una intera biblioteca di sant’Agostino, un altro convertito che non aveva rinunciato al piacere superbo di fare due chiacchiere con l’umanità.

 

Una delle cose più belle della vita è il sistema delle concordanze. E’ un riscontro di fatti, idee e sentimenti del tempo che dispone di un rango infinitamente superiore al dettato della “coerenza”, questo fantoccio ideologico della scuola laico-liberale ortodossa. Quando Giovanni Paolo II e Reagan tentavano di smantellare le cupe certezze prigioniere della vecchia Europa della guerra fredda, “convertito” era un insulto da amministrare con disprezzo e da accettare con onore. Ora che l’Europa di Benedetto XVI fronteggia il conformismo secolarista e il radicalismo islamista, tra le sistematiche aggressioni alla vita umana svalutata e le minacce dell’innamorato della morte che parla dalle grotte del Waziristan, la conversione è una cerimonia regale e un rito di santificazione felicemente provocatorio. La talpa cristiana sta scavando un’ampia fossa al secolo breve e infelice della talpa marxiana.

 

Nel pensare sempre la stessa cosa, nel “sentire come prima” entro l’ordine del mutevole, nell’essere ogni giorno uguali a se stessi, razionalizzando la storia in modo slealmente religioso e con la maschera del secolarismo idolatrico, non c’è sempre fedeltà, lealtà, obbligo di coscienza (anche questi sono criteri importanti di vita). Spesso c’è pigrizia, paura, e soprattutto c’è la falsa coscienza della realtà storica, che muta oltre la stabilità dell’essere e sfugge all’Io prigioniero.

 

Magdi Cristiano Allam sa bene, perché è un lettore e un ascoltatore attento della musica squinternata ma rigorosa composta da anni in queste pagine, che non potevamo fargli miglior regalo per la sua Pasqua così speciale, ignari di tutto come eravamo, della pubblicazione domenicale di un brano di Benedetto XVI in cui si ricorda che l’adesione personale a Cristo è riassunta nella formula: “Io e non più io”. Che continui a indagare la realtà del radicalismo islamico europeo negata in nome di un vago multiculturalismo, è la nostra previsione e il nostro auspicio. Che continui a esporre con il coraggio di cui abbonda le sue idee critiche sull’islam, maturate nella sua storia personale e professionale, è più ancora ovvio che legittimo. Sebbene per alcuni aspetti discutibili, le sue sono analisi e idee solitarie e tendenzialmente ostracizzate, in un’Europa in cui la ricezione passiva della filosofia di Tariq Ramadan si è accompagnata agli indegni processi per islamofobia a Oriana Fallaci e alla caccia grossa a quei magnifici e scandalosi bestioni che sono stati un Theo Van Gogh e un Robert Redecker, per non parlare dei disegnatori satirici danesi e di altre decine di dissidenti intimiditi e isolati dell’islam. E sono le sentinelle solitarie a dare l’allarme nelle situazioni critiche.

 

Però: “Io e non più io”. La conversione maestosa che fa il giro del mondo è un sovraccarico simbolico da governare con giudizio, con una energica mistura di passione e distacco intellettuale. Il senso di forza e di riorganizzazione militante che ha dato il modo stesso della conversione, il catecumenato segreto fino all’ultimo istante, l’elencazione puntigliosa dei garanti autorevoli nella gerarchia cattolica (Fisichella, Ruini), l’appoggio fisico del deputato di Comunione e liberazione che sorreggeva in San Pietro un cristiano nascente come un gesuita del seicento avrebbe potuto puntellare il corpo e l’anima dei nuovi arrivi di allora, tutto questo ha conferito anche una forte impronta politica al fatto personale ed ecclesiale della conversione. Magdi Cristiano Allam sa che, laiche o religiose, le conversioni sono la bestia nera del totalitarismo culturale moderno, e che vengono combattute con uno strumento prediletto: la consegna del convertito allo statuto simbolico dell’isolato, del provocatore, del profittatore e del rinnegato senza principi. Diranno che Dio non c’entra, che è tutta politica e bassa cucina, che in quell’acqua benedetta è il germe dell’intolleranza. Sono etichette facili da appiccicare anche con strategie oblique e apparentemente invisibili. Si difenda dunque Magdi dai suoi nemici, che in occidente pullulano, e anche un poco da se stesso, sorvegliandosi e mettendosi sempre all’altezza del fatto di cui è stato pubblico protagonista.

 

Giuliano Ferrara

http://www.ilfoglio.it

Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)