Il 19 marzo 1994, il prete di Casal di Principe veniva assassinato mentre si accingeva a celebrare la santa messa. E così pagò con la vita il suo impegno contro lo strapotere malavitoso e la sua strenua difesa dei più deboli e indifesi.
del 04 novembre 2006
Sabato 19 marzo 1994 don Giuseppe Diana, parroco trentaseienne di San Nicola di Bari in Casal di Principe, uno degli epicentri della camorra casertana, festeggiava l’onomastico. Aveva indossato i paramenti sacri e percorreva il breve corridoio che dalla sagrestia immette nel presbiterio per celebrare la messa. Lì lo attendevano i sicari: lo crivellarono di colpi con una scarica di proiettili, preoccupandosi di sfigurargli il volto, affinché la 'lezione' fosse più spettacolare. L’Osservatore Romano il lunedì successivo (20-21 marzo) apriva l’edizione con un titolo di due righe su tutta la pagina: «Il sacrificio di questo generoso sacerdote produca frutti di sincera conversione».
Riportava poi integralmente la commemorazione fatta dal Papa all’Angelus: «Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa. Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente. Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace». Riportava poi il telegramma di condoglianze del cardinale Angelo Sodano a monsignor Lorenzo Chiarinelli, vescovo della diocesi campana.
Sei mesi prima, nel rione Brancaccio di Palermo, i sicari della mafia avevano massacrato don Pino Puglisi. Nel giornale vaticano, alla stessa data, in un articolo siglato M.C., si leggeva: «La criminalità organizzata ha nuovamente cercato di spazzar via con cinica violenza un pastore di anime che dava speranza. Entrambi si chiamavano Giuseppe, entrambi facevano della parola e dell’esempio gli strumenti essenziali di evangelizzazione e promozione umana, entrambi amavano i giovani, ed erano divenuti simboli di una Chiesa presente e partecipe, disarmata, ma forte della fede». Per l’uccisione di don Diana il tribunale di Santa Maria Capua Vetere inflisse l’ergastolo a Francesco Piacenti, Mario Santoro, Giuseppe Delle Medaglie e Vincenzo Verde; ma sui mandanti non fu fatta luce.
Il funerale fu seguito da ventimila persone, alle finestre furono stese lenzuola bianche, e fu questo il colore festoso scelto dai partecipanti, i ragazzi lanciarono aquiloni con cartelli come 'Ti accompagna il canto della gente' oppure 'Hanno ucciso te, ma le tue idee vivranno sempre'. Tra gli striscioni che seguivano il feretro, quello giovanile diceva: 'Tu sei stato il seme, noi saremo il germoglio'. Sotto una corona di fiori fu trovato un biglietto: 'Noi ci ingrandiamo ogni volta che ci mietete; il sangue dei martiri è seme di cristiani'. Erano presenti diversi vescovi e uomini politici, tra cui il sindaco di Napoli, onorevole Antonio Bassolino, e il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano.
 
 
In prima linea contro il racket
 
Don Peppino aveva respirato dall’infanzia la realtà della camorra. Nato a Casal di Principe il 4 luglio 1958, nel 1982 fu ordinato sacerdote. Conseguì la licenza in teologia biblica nella Facoltà teologica di San Luigi a Posillipo, e si laureò in storia e filosofia. Insegnò materie letterarie nel seminario e religione presso l’istituto Alessandro Volta di Aversa. Dopo l’ordinazione, per alcuni anni fu incaricato della formazione dei seminaristi ad Aversa. Nel 1989 fu nominato parroco di San Nicola di Bari, nel paese natale, dividendo la sua giornata tra la casa canonica e la famiglia, residente in via Garibaldi. Le storie di camorra riempivano la sua vita e alimentavano la sua indignazione, dando poi le ali all’opera pastorale. Riflettendo anche superficialmente sull’opera da lui svolta, si giunge alla conclusione che giorno dopo giorno egli redigeva il dispositivo della propria condanna capitale, tanto intensa e producente era la sua pastorale e crescente la sua popolarità, come pure la fattiva collaborazione con i confratelli della diocesi. A pensarci bene, anche il protomartire Stefano diede prova d’eroismo, ma non certo di 'prudenza'. Don Peppino per molti aspetti ne rinverdisce la memoria, cominciando dalla faccia adolescenziale.
Era uno scout, prima capo reparto dell’Aversa 1, poi assistente del gruppo, impegnato in zona e in regione, assistente nazionale dei Foulards blancs, e assistente generale dell’Opera pellegrinaggi di questo gruppo. Indossava abitualmente il foulard e portava volentieri lo zaino, diffondeva gioia e dinamismo ovunque andava. Presiedette alcuni pellegrinaggi a Lourdes, il cui vescovo si rammaricò di non poter giungere in tempo al funerale. Nella città mariana dei Pirenei diffondeva la gioia, salutando sani e malati, contagiando ottimismo. Essere prete e scout significava per lui la perfetta fusione di ideali e di servizio.
Uno degli avvenimenti che maggiormente segnarono la sua opera fu l’assalto alla caserma dei carabinieri di San Cipriano d’Aversa, il paese confinante, dove la camorra regnava indisturbata. Il misfatto si verificò il 28 settembre 1987. Due militari si erano 'permessi' di intervenire a sedare la rissa tra due giovani durante i festeggiamenti del santo patrono. L’ira popolare non ebbe ritegno e solo l’intervento di alcuni boss impedì che la serata si trasformasse in carneficina. Il consiglio comunale di Casal di Principe nel 1991 fu sciolto dal Capo dello Stato per infiltrazioni malavitose, e molti si meravigliarono che il provvedimento non venisse esteso ai comuni limitrofi.
I clan dominanti erano capitanati da Antonio Bardellino, il cui fratello Ernesto era sindaco. Gli altri gruppi erano guidati da Francesco Schiavone, noto col soprannome di 'Sandokan', dal Bidognetti e dal Caterino. Le esecuzioni capitali e le vendette incrociate facevano parte del vissuto quotidiano. Una giovane religiosa del luogo mi parlò dell’uccisione di un parente stretto. Com’è naturale, la esortavo a perdonare. Mi rispose: «Allora ci dobbiamo tenere il morto?». Oggi la situazione è migliorata e generalmente l’immolazione di don Diana viene indicata come uno dei segni più cospicui di questa svolta.
 
 
La marcia di Aversa e il blitz del ’90
 
Un’altra esibizione malavitosa fu il corteo di auto inscenato nel mese di ottobre del 1991 lungo le strade di Casal di Principe, San Cipriano e Casapesenna. Un testimone oculare racconta che spuntavano armi da tutte le parti, uomini a piedi e a bordo delle macchine, armati di tutto punto, arrivavano fin sotto le case dei propri avversari, li provocavano e li invitavano a uscire, c’era il coprifuoco, il clima richiamava le dittature sudamericane, lo Stato era assente.
La reazione a questo strapotere sul principio era stata animata dal Partito comunista, poi vi s’impegnarono le autorità politiche e la Chiesa. Il 29 gennaio 1988, insieme ai confratelli, don Peppino promosse la marcia anticamorra di Aversa. Diecimila persone sfilarono per le vie della città, egli rappresentava ufficialmente il vescovo, monsignor Giovanni Gazza del Pime, di cui era segretario particolare. Era sul palco e pronunciò un vibrante atto di accusa, incoraggiando la ribellione contro la dittatura dei clan. Seguirono decine di riunioni, assemblee nelle scuole, nelle fabbriche, dibattiti, interventi d’ogni genere. Il 13 dicembre 1990 ebbe luogo il blitz di Santa Lucia. I carabinieri fecero irruzione nella casa di Gaetano Corvino, assessore al comune di Casal di Principe, dove era in atto un summit della camorra. I convenuti accolsero la polizia con un fuoco di sbarramento, venne arrestato 'Sandokan'. Iniziò una vera mattanza, il Corvino dopo un periodo di latitanza si costituì e il camorrista Mario Iovine, che era sfuggito alla retata, fu raggiunto dai killer a Cascais, in Portogallo.
 
 
Dove manca lo Stato
 
Decine di giovani furono uccisi negli scontri fra bande. Il 21 luglio 1991 un giovane testimone di Geova fu freddato nell’auto, sulla strada che da Casal di Principe conduce a San Cipriano. L’incoraggiamento alla rivolta religiosa e sociologica si diffuse a macchia d’olio. Le comunità parrocchiali erano in fibrillazione, gli alti comandi dei carabinieri erano preoccupati, e, in maniera più o meno velata, esortarono don Peppino e gli altri parroci più impegnati a desistere dal propagandare testa. Il ministro dell’interno, onorevole Vincenzo Scotti, espresse solidarietà, e lo stesso fece il prefetto di Caserta, Corrado Catenacci.
La gente era al limite della sopportazione. Don Diana pubblicò una serie di articoli sul mensile diocesano Lo Spettro. In un’intervista raccolta da Nicola Alfiero, pubblicata nel numero di gennaio del 1992, riferendosi al documento pastorale collettivo (che compare nel riquadro alle pagg. 82-83) don Peppino disse: «Esso nasce dall’esigenza di calare la Chiesa nella realtà vissuta. La Chiesa ha tra le mani uno strumento che Dio le ha consegnato, il Vangelo. È proprio in nome di questo lieto annuncio, di questa parola di Dio – spada a doppio taglio – che noi dobbiamo fendere la gente per metterla in crisi». Soggiungeva nella radice, che è marcia. Una Chiesa diversamente impegnata su questo fronte, potrebbe fare molto. Dovremmo testimoniare di più una Chiesa di servizio ai poveri, agli ultimi. Dove regnano povertà, emarginazione e disagio, è facile che la mala pianta della camorra nasca e si sviluppi».
Affermava che nella Dc aveva notato «voci di scontento, come se la nostra azione fosse un attacco a qualcuno. Spesso avviene che i candidati favoriti dalla camorra non hanno una politica né un partito, ma solo un modo da giocare o un posto da occupare, per cui il partito d’appartenenza è relativo. In questa fase c’è anche chi sta miseramente tentando di utilizzare il nostro documento a proprio vantaggio. Non ha capito! Qualche confratello ha ancora bisogno di essere sensibilizzato». Con gratitudine ricordava che avevano plaudito al manifesto sia il cardinale Michele Giordano, arcivescovo di Napoli, che il vescovo di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro. Quest’ultimo, in un articolo biografico pubblicato da Lo Spettro in occasione della sepoltura, metterà in risalto una delle opere più meritorie del suo apostolato: «Nella provincia di Caserta sono numerosissimi e smarriti gli immigrati di colore, quasi tutti irregolari e clandestini, che vagano nelle nostre campagne paurosi di qualche incontro sgradevole. Le forze dell’ordine li tengono d’occhio, eppure hanno bisogno d’amore. Don Peppino li amava tanto, li aiutava sempre anche con grandi sacrifici. Stava costruendo per loro una bella casa d’accoglienza presso la parrocchia. Ma gli uomini invidiosi l’hanno fatto stramazzare nel sangue».
Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, in data 19 ottobre 1994 conferì la medaglia d’oro al valore civile a don Diana, con questa motivazione: «Parroco di un paese campano, in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schierarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva a officiare la messa». La notizia fu comunicata ai suoi genitori, Gennaro e Iolanda, dal prefetto di Caserta il 20 ottobre. Un mese prima, il 12 settembre, il Senato della Repubblica Argentina aveva espresso solidarietà a tutta la Chiesa cattolica chiedendo che tale fatto aberrante fosse prontamente chiarito dalle autorità italiane. I parroci casalesi don Vincenzo Caterino e don Mario Golesano, in una pubblica dichiarazione, univano il cordoglio per il suo assassinio con quello di don Puglisi.
A don Diana sono state dedicate due opere collettive: AA.VV., Nel solco della speranza, Napoli-Roma, Libr. Ed. Redenzione, 1994, pp. 111; Nicola Alfiero, Donato Ceglie, Amato Lamberti, Raffaele Nogaro, Isaia Sales, Conchita Sannino, (a cura di Goffredo Fofi) Per amore del mio popolo, Napoli, Pironti, pp. 141.
Rosario F. Esposito
 
 
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Il manifesto anticamorra di don Peppino e dei parroci della foranìa di Casal di Principe
 
«PER AMORE DEL MIO POPOLO NON TACERÒ»
 
Ecco il documento diffuso a Natale del 1991 nelle chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della foranìa.
 
Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della foranìa di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere 'segno di contraddizione'.
Coscienti che come Chiesa «dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà».
 
La camorra
La camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
 
Precise responsabilità politiche
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc., non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale, per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una ministerialità di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, testimonianze, esempi, per essere credibili.
 
Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama a essere profeti: – il profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18); 
·      il profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43); 
·      il profeta invita a vivere, e lui stesso vive, la solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23); 
·      il profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3; Isaia 58). Coscienti che «il nostro aiuto è nel nome del Signore» come credenti in Gesù Cristo il quale «al finir della notte si ritirava sul monte a pregare» riaffermiamo il valore anticipatorio della preghiera che è la fonte della nostra speranza.
 
Non una conclusione ma un inizio
Appello. Le nostre «Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe».
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa; alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo 'profetico' affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia: «Siamo rimasti lontani dalla pace... abbiamo dimenticato il benessere... La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto e in basso,... dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare sono come assenzio e veleno».
 
Foranìa di Casal di Principe
(Parrocchie: San Nicola di Bari, SS. Salvatore, Spirito Santo -
Casal di Principe. Santa Croce e Maria SS. Annunziata -
San Cipriano d’Aversa, Santa Croce -
Casapesenna, Maria SS. Assunta -
Villa Literno, Maria SS. Assunta -
Villa di Briano, santuario di Maria SS. di Briano).
Rosario F. Esposito
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