Il contenitore “trattiene” il contenuto e “intrattiene” me, facendomi gustare il suo svelamento. In ogni vera apertura c'è dunque sempre una sorpresa, anche se sappiamo già in qualche modo cosa ci attende lì dentro. Aprire significa esporsi all'attesa di una sorpresa.
del 05 gennaio 2011
         Quando apro una scatola che cosa mi succede?
         Io vedo davanti a me un oggetto, una “cosa” tra le altre. Ma nel momento in cui mi rivolgo ad essa con l’idea di aprirla, mi sparisce tra le mani: nel momento in cui la guado con gli occhi di uno che vuole aprirla, la cosa diventa il contenitore di una cosa, non più una cosa in sé. Chi ha mai fatto caso a una scatoletta di tonno o alla busta che contiene una lettera attesa? Aprire significa sapere che è necessario andare oltre, andare dentro, rapportarsi a una assenza che sta per cessare di essere tale.
         Il contenitore “trattiene” il contenuto e “intrattiene” me, facendomi gustare il suo svelamento. Pensiamo alla confezione di un regalo. Non vediamo l’ora di aprirlo, ma non vediamo l’ora perché c’è il contenitore che ce lo velo e ce lo trasforma in una sorpresa. Davanti al gesto dell’aprire il contenitore allora acquista un valore nuovo. Diventa un “aperitivo” che ci permette di gustare meglio la sorpresa. Per questo acquista una sua bellezza (buste belle, porte decorate, confezioni eleganti,…): perché deve solennizzare il contenuto.
         In ogni vera apertura c’è dunque sempre una sorpresa, anche se sappiamo già in qualche modo cosa ci attende lì dentro. Aprire significa esporsi all’attesa di una sorpresa. Pensiamo all’apertura di una porta, quella che apriamo tutti i giorni, quella di casa. Pensiamo per un attimo se, aprendola, ci trovassimo davanti un’altra casa o la nostra casa ma organizzata in maniera differente. Che cosa accadrebbe? Uno sbigottimento, uno spaesamento che ci prenderebbe alla testa e al respiro.
         Certo sarebbe una sorpresa! E tuttavia quando siamo stanchi e apriamo la porta di casa sapendo di trovare un luogo tranquillo e “nostro” dove riposarci, e… lo troviamo, allora notiamo come sia proprio l’abitudine a risvegliare in noi un senso di sorpresa perché le cose sono come le avevamo lasciate e soprattutto… ci sono ancora, come sopravvissute a un naufragio… Se la sorpresa, in qualunque sua forma, mancasse, allora aprire sarebbe un semplice “accedere a” qualcosa, a un luogo… un avanzare dentro. Se aprire è “aperitivo”, accedere sarebbe “accessorio”, senza interesse, svogliato, pigro, anonimo.
         Allora il gesto “pieno” di aprire è intensamente simbolico: il resto è semplice “accedere”, “usare”,… Ciò vale anche nel caso di qualcosa che viene aperta per accedere al suo interno (un orologio, una macchina, il corpo umano in una operazione chirurgica,…) e dunque senza che ci sia un contenitore. Come non avere un senso di sorpresa almeno implicita (e magari di timore e tremore a causa della fragilità dell’ordine interno) prima di passare a una qualunque “operazione”?
         Aprire una finestra significa vedere con sorpresa che il mondo esiste ancora. Aprire una busta significa constatare con sorpresa che qualcuno ha qualcosa da dirci. Aprire un pacco di pasta significa che c’è qualcosa di buono al mondo che sia in grado di nutrirmi. Togliere anche solo il cappotto a una persona cara significa avere la sorpresa di avere con essa una relazione più intima. Scartare un regalo e aprirne le confezione significa capire che le cose del mondo sono ancora in grado di darmi gioia. Quando c’è vera apertura c’è sempre, inevitabilmente un mondo che si spalanca. O un abisso.
Antonio Spadaro
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