Cosa muove un artista? La bellezza esprime in modo struggente l'animo umano ed è stata ‚Äòraccontata' in vari modi, ma non per questo senza regole o tradizione. Qualsiasi comunicazione però richiede ascolto e interpretazione...
del 13 dicembre 2006
Il linguaggio della storia dell’uomo
Quando mi è stato chiesto di scrivere questo articolo  ho pensato  alla mia diretta esperienza come insegnante e in particolare alle motivazioni che mi hanno portato ad avvicinarmi all’arte e a scegliere il percorso  artistico negli studi e poi come professione. In realtà il mio approccio all’arte nasce da un dono, quello del saper fare, ed è principalmente grazie a  questa capacità  che pian piano è cresciuta anche la volontà di saper interpretare.  Il linguaggio del messaggio visivo è variegato e multiforme,  si svela attraverso un ininterrotto gioco di corrispondenze il cui protagonista principale è sempre l’uomo che intesse il suo rapporto con il divino e si relaziona con lo spazio che lo circonda.
Anche dietro al prodotto artistico si cela sempre un uomo, l’artista,  determinato a lasciare  un’eredità: l’artista crede fortemente nel messaggio che dà perchè l’arte è una delle ragioni della sua vita.
L’arte è dunque portatrice di valori trasmissibili  a più livelli, è feconda e duratura ma  nel secolo appena passato è accaduto qualcosa che ne ha messo in discussione la veridicità dei parametri di riferimento e dei codici  di lettura.
Nella pratica dell’insegnamento spesso mi accorgo che gli studenti rivendicano  ormai una piena libertà di giudizio  e spesso mettono in discussione i contenuti del linguaggio visivo.  In questo senso l’influenza dell’arte contemporanea,  che si avvale di tanti codici singoli e specializzati, ha creato non solo la scarsa comprensione dell’arte d’oggi ma anche il “falso preconcetto” che l’arte sia completamente libera da ogni regola e non abbia più alcun legame con la tradizione precedente.
 
Significativa, invece, è tutta l’ attenzione che mi riservano i genitori, durante i colloqui personali, e questo mi fa riflettere sul fatto che forse l’iniziazione all’arte deve accompagnarsi ad una certa maturità, perché comporta una sensibilità pronta ad accogliere i messaggi dall’esterno, mentre in giovane età si è più presi da sé stessi. La famiglia però potrebbe operare in senso positivo preparando un terreno fertile. Accompagnare i propri figli a vedere i capolavori dell’arte è sicuramente un ottimo inizio e poi fa bene anche al rapporto tra genitori e figli.
In classe quello su cui si può ancora contare è la curiosità istintiva verso il fatto eccezionale che accompagna il prodotto artistico, ad esempio scoprire che Michelangelo ha dipinto da solo tutta la volta della cappella Sistina, dipingendo senza sosta per quattro anni di seguito.
Ma il vero dilemma si pone quando ti chiedono “a cosa serve studiare questo?” .
Il fatto che poi nell’Istituto grafico in cui insegno, il linguaggio visivo sia uno strumento utilizzabile, non sembra rappresentare un incentivo in più per approfondire il discorso: quei prodotti artistici sono un capitolo chiuso, non hanno più niente a che fare con noi, i contenuti che trasmettono non ci riguardano se non per soddisfarci a un livello puramente estetico, e infondo solo per pochi estimatori.
 
Il perché delle regole
Fino all’Ottocento, l’arte è caratterizzata da molteplici livelli di lettura, il contenuto si presenta sempre orchestrato da regole: un ordine compositivo, dei canoni proporzionali, un sistema cromatico ecc.
Le diverse correnti della pittura e della scultura contemporanea hanno abbandonato questo codice multiplo, e hanno adottato, tendenza per tendenza, codici singoli e specializzati, che si manifestano con una vasta gamma di accenti. La difficoltà ad acquisire e comprendere ogni tendenza dell’arte contemporanea ha generato un duplice equivoco: da una parte si è fatta spazio l’idea che l’arte contemporanea  sia assolutamente libera da ogni vincolo rappresentativo e dall’altra che l’arte  tradizionale, quella oggettiva, sia ormai superata e morta.
Oggi spiegare che cos’è un canone nell’arte classica, diventa nella migliore della ipotesi una ricerca fine a sé stessa. L’esistenza delle regole invece, oltre a definire un codice riutilizzabile, chiarisce e ordina i rapporti tra i soggetti del rappresentato. Nell’arte tradizionale tali rapporti sono quelli che intercorrono tra l’uomo e Dio e tra l’uomo e lo spazio che lo accoglie. Un esempio di regola applicata in tal senso è quella ponderazione policletea atta descrivere l’equilibrio armonico tra il corpo e le sue parti, tanta attenzione per descrivere un uomo che cammina in realtà ci parla della perfezione della creatura umana e ci introduce alla visione cristiana della Chiesa corpo di Cristo “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo…”.(1 Cor 12,12-30)
Questa stessa regola la ritroviamo ancora per esempio nel Cristo Crocifisso di S. Maria Novella del Brunelleschi e verrà utilizzata anche da Leonardo nel modello d’uomo derivato da Vitruvio, perfettamente inscrivibile nel quadrato simbolo della perfezione umana e nel cerchio simbolo della perfezione divina. L’applicazione della regola, in questo caso, crea una continuità ed è portatrice valori positivi.
Chi conosce la regola può anche permettersi di  superarla senza tradirla. Michelangelo, ad esempio introduce il senso della dismisura. “Michelangelo non solo intese con l’arte liberare l’immagine dalla materia, la figura dalla pietra, l’idea dal disegno, ma si sforzò altresì, attraverso ammirabili forme sensibili, di rivelarci gli aspetti più veri della dignità dell’uomo, della sacralità della vita della bellezza misteriosa e perfino terribile della concezione cristiana” (nota Insegnamenti di Paolo VI, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1977, 143-148). La sua umanità idealmente ingigantita corrisponde alla grandiosa forza di realizzazione di tante sue opere, nelle quali il tema fondamentale, Dio e l’uomo, stanno continuamente di fronte. Il discorso continua, il linguaggio visivo si modifica, il rapporto cresce.
 
Quale bellezza  (la  forma, il segno)
Il linguaggio artistico tradizionale ha bisogno della forma  è il suo modo di “incarnarsi” se così si può dire. La forma avvalendosi di una struttura compositiva, del chiaroscuro e del colore ci permette di leggere il contenuto a più livelli. Comunque, anche guardando superficialmente un’opera d’arte, noi ci aspettiamo che sia almeno portatrice di bellezza. Ma secondo quali parametri noi stimiamo la bellezza, è solo e solamente sinonimo di perfezione estetica o va oltre? “In tutto ciò che suscita in noi il sentimento puro e autentico del bello c’è la presenza reale di Dio. C’è come una specie di incarnazione di Dio nel mondo di cui la bellezza è il Contrassegno… Quindi tutta l’arte di prim’ordine è per essenza religiosa.” (nota Simone Weil Quaderni,III,120, Adelphi, Milano 1988-1990).
Esiste nel linguaggio visivo, oltre le regole, anche una modalità che si dice espressiva. Quando spiego il Rinascimento uno degli esempi più significativi in questo senso è la Maddalena di Donatello,  esempio umano di indubbia bruttezza ma proprio per questo è reso ancora più evidente il passaggio dalla splendida prostituta corrotta, della tradizione iconografica, alla avvizzita donna redenta, con il valore di opera unica nel suo genere; è ancora di bellezza che si sta parlando ma come di un valore spirituale e non solo estetico.
La rinuncia alla rappresentazione della bellezza fisica spesso compare alla fine di un percorso artistico forte nel quale l’artista ha aderito fin nel più intimo del suo essere. Penso alla Pietà Rondanini di Michelangelo lontana anni luce dalla Pietà di S.Pietro, quest’ultima classicamente bella, sensibile al tocco della luce, esempio magistrale e perfetto di un’artista giovane ma già esperto. Nella Piètà Rondanini Michelangelo si libera dello stile e della bella forma  e come Donatello preferisce sublimare l’alto contenuto spirituale attraverso una materia scabra senza più il vincolo di una struttura compositiva, perché “la funzione di ogni arte sta (…) nell’infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l’uomo è immerso, finchè vive quaggiù, e nell’aprire come finestra al suo spirito anelante verso l’infinito” (nota Pio XII, discorso dell’8 aprile 1952).
Esempi come questi  suonano come straordinari all’interno di un panorama abbastanza omogeneo come quello rinascimentale, ma comunque convivono in modo complementare accanto ad opere classiche, con pari dignità, perché sono portatori di valori positivi.
L’opera con soggetto “brutto” si distingue anche per un altro elemento caratterizzante, una sorta di marchio di fabbrica. Mentre la bellezza pura esige una certa dose di astrazione, non solo dal soggetto reale ma anche della mano dell’autore, nel soggetto brutto affiorano i segni più caratteristici della partecipazione diretta dell’artista, ai valori incarnati dal soggetto rappresentato.
Il segno finchè è tracciato con le tecniche tradizionali, è mezzo espressivo, medium per la comprensione del contenuto. Nell’arte contemporanea, basta guardare a tutta la produzione di Van Gogh o anche al solo “Urlo” di Munch, è solo grazie al segno che emerge tutta la forza e la disperazione umana del singolo.
Il segno o meglio il gesto nell’arte contemporanea evidenzia l’unicità delle singole personalità artistiche ma tradisce anche l’angoscia e la solitudine dell’uomo moderno. Solo un momento dopo quel segno si è ancora trasformato e continua a trasformarsi grazie all’avvento di nuove tecnologie, allora la tecnica diventa predominante sul contenuto, e il segno si distingue più per originalità che per contenuto (si vedano ad esempio il Dripping, la tecnica dello sgocciolamento nell’Action Painting di Pollock, la serigrafia nella Pop art, o anche gli sfregi delle tele di Fontana).
Nell’arte contemporanea il protagonista principale è l’artista in prima persona, il rischio che corre è di rimanere solo, incompreso, ma c’è un rischio ancora più grande, ed è che tradisca la sua missione e il suo diventi un prodotto sterile, senza eredità.
 
Il bisogno di comunicare (l’eredità)
L’opera d’arte nasce con l’intento di  essere un’eredità feconda nei secoli. Da una parte l’artista con il suo dono, il suo bagaglio umano e sociale e dall’altra noi, generazione dopo generazione.
Se viene meno questo presupposto viene meno anche la funzione primaria dell’arte. L’ esempio del disegno infantile può in parte spiegare questa necessità. Il bambino rappresenta un mondo che gli corrisponde e lo fa con l’intento di comunicarlo. Quando lo consegna esige che sia guardato e si assicura che sia stato correttamente interpretato e accolto. “Ci vuole un lavoro per esprimere il vero. Anche per riceverlo. Si esprime  e si riceve il falso, o almeno il superficiale, senza il lavoro” (nota Simone Weil, Quaderni, I, 366 , Adelphi, Milano 1988-1990) 
In ogni opera d’arte deve risiedere questo intento comunicativo, perchè solo così essa diviene eredità produttiva e rinnovabile. A questo proposito cito le parole di un grande architetto contemporaneo, Alvar Alto che ci dice “Ciò che una volta è stato, ritorna sempre sotto una nuova forma”. Diffidiamo di chi lascia segni vuoti di significato, diffidiamo di chi rinnega le sue radici, l’artista vero ha bisogno di noi per trovare continuità, e noi abbiamo bisogno del suo dono per crescere.
Alessandra Macatrozzo
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