L’Assegno unico universale per i figli può essere una pietra miliare sul percorso di sviluppo del nostro Paese: il primo atto di una rivoluzione nelle politiche familiari. Ma siamo ancora in tempo per rovinare tutto
di Alessandro Rosina, tratto da avvenire.it
L’Assegno unico universale per i figli può essere una pietra miliare sul percorso di sviluppo del nostro Paese: il primo atto di una rivoluzione nelle politiche familiari. Ma siamo ancora in tempo per rovinare tutto. Di tale rivoluzione abbiamo gran bisogno se non vogliamo che la pandemia peggiori ulteriormente le fragilità delle famiglie e indebolisca ancor più le loro scelte, con conseguente aumento delle disuguaglianze sociali e degli squilibri demografici già a livelli record.
La Germania questa rivoluzione l’ha avviata poco prima della Grande recessione del 2008 riuscendo a contrastare il declino delle nascite. Lo ha fatto rafforzando i servizi per l’infanzia (facendo diventare un diritto l’accesso al nido) in combinazione con un assegno universale tra i più consistenti in Europa. Se vogliamo che l’Assegno italiano possa contribuire a fare la differenza tra quello che eravamo prima della pandemia e una nuova fase solida e vitale di sviluppo, dobbiamo consolidare alcuni punti sui quali non tornare indietro e prendere impegni precisi sui punti che ancora mancano per andare nella giusta direzione.
Rispetto al primo gruppo, un punto cruciale è il fatto che le politiche familiari non possono essere limitate al contrasto alla povertà. Devono poter andare oltre, con l’obiettivo di favorire il realizzarsi della scelta libera e desiderata di avere un figlio, oltre che migliorare le condizioni che un bambino trova alla sua nascita, sul versante relazionale, educativo ed economico. Un secondo punto importante presente nell’Assegno su cui non recedere, è il principio universalistico combinato con l’interesse del bambino messo al centro delle politiche familiari. Destinatari sono i figli stessi – indipendentemente dalle caratteristiche della famiglia, dalla condizione professionale dei genitori e di come varia nel tempo – come valore che il Paese riconosce alla loro presenza solida e per la qualità della loro crescita.
Si prevede perciò, coerentemente, un livello base per tutti, che costituisce l’aspetto più caratterizzante di tale misura. La parte aggiuntiva legata al reddito ha una sua giustificazione come ulteriore aiuto alle famiglie meno abbienti, ma va intesa come correttivo nella dimensione di contrasto alla povertà all’interno di una misura che ha natura universalistica. Questo significa che la consistenza della parte di assegno che va a tutti è ciò che davvero qualifica tale misura, non il livello dell’importo più alto. Dire che sarà di 250 euro per poi arrivare a dare la metà alle famiglie di ceto medio, ovvero poco più di un valore simbolico, depotenzierebbe fortemente questo strumento.
Tra i punti del secondo gruppo, quelli che ancora mancano e che vanno fissati in modo solido per consentire alle famiglie di espandere il proprio spazio vitale verso il futuro, c’è, appunto, l’entità dell’assegno. Le risorse attualmente previste non bastano. Non ci si può accontentare di evitare che qualcuno ci perda attraverso una clausola di salvaguardia, si deve fare in modo che la vitalità del Paese ci guadagni. Un obiettivo da raggiungere – qui sta il secondo punto da rafforzare – assieme alle altre misure previste dal Family Act (servizi per l’infanzia, congedi, autonomia dei giovani). È, infatti, intervenendo in modo integrato sulla dimensione economica, dei servizi e dei tempi – come mostra l’esperienza degli altri Paesi – che l’azione diventa trasformativa sia sulle scelte dei singoli che sulle tendenze demografiche.
Altrimenti sarà comunque una spesa rilevante, ma poco sotto alla possibilità di fare davvero la differenza. Se questo è ciò che deve metterci la politica, altrettanto rilevante è ciò che devono mettere le famiglie stesse, ovvero ciascuno di noi.
Il sostegno economico è importante, come abbiamo detto, sia come aiuto oggettivo, sia come riconoscimento che la scelta di avere un figlio e il suo sviluppo solido non è solo un costo a carico dei genitori, ma è un investimento che fa con loro un’intera comunità. Tuttavia se a questo riconoscimento (che non potrà mai essere del tutto soddisfacente sul versante materiale) non corrisponde un rafforzamento del valore che noi assegniamo a tale scelta e del clima sociale positivo che contribuiamo a costruire attorno ad essa, i risultati saranno comunque modesti. Siamo, quindi, ancora in tempo per far fallire la rivoluzione. Ed è il rischio che corriamo se i signori della politica mettono nell’assegno il minimo indispensabile e se l’opinione pubblica si fermerà a guardare chi ha un euro in più o in meno rispetto al passato.
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