I bambini hanno grande necessità della figura paterna: la esigono, la ricercano e ‚Äì a modo loro ‚Äì la richiedono. Tanto che, arrivati in prossimità dell'adolescenza, se insoddisfatti del proprio padre, finiscono col cercare, altrove, un surrogato: in educatori o altre figure competenti e capaci di rispondere alle loro esigenze. Ma, altre volte, si rivolgono a persone sbagliate, esponendosi a rischi enormi.
del 23 marzo 2011
 
 
          Pochi brani suonano anacronistici quanto quello della parabola del Padre Misericordioso, nella società attuale, che tende a screditare la figura paterna fino a ridurlo a poco più di un mero accessorio, abbastanza superfluo e – tutto sommato – sostanzialmente intercambiabile.
          I giovani tendono per motivi lavorativi ed economici – ma non solo! – a procrastinare l’età del primo figlio, che è visto come un evento carico di responsabilità, che pone fine alla spensieratezza della giovinezza e conduce inesorabilmente alla piena consapevolezza di cui si tinge l’età matura. Forse, proprio per questo motivo, la paternità non è particolarmente ricercata, anzi è –  almeno generalmente –  rifuggita, quasi con paura.
          Anche le innovazioni tecnico – scientifiche  in campo bioetico contribuiscono a svalutare la figura umana, ma soprattutto quella paterna: utero in affitto, fecondazione eterologa… aggiungono, all’incertezza della propria identità, forti dubbi  a riguardo dell’utilità e della necessità del padre nella generazione e nella crescita di un figlio. Del resto, se pensiamo al divorzio, nella maggior parte dei casi i figli sono affidati alla madre (è solo ultimamente che, pare, si stia diffondendo –  deo gratias – il buon costume dell’affidamento condiviso, che ricorda ad entrambi i genitori la propria responsabilità e l’eguale importanza nei confronti dei figli).
          Sono tutti piccoli dettagli che contribuiscono alla costruzione della convinzione che un figlio sia unicamente un diritto della madre, dalla quale finisce con l’essere ritenuto una sorta di “proprio prolungamento”e di “proprietà privata” su cui poter esercitare rivendicazioni.
          I bambini hanno grande necessità della figura paterna: la esigono, la ricercano e – a modo loro – la richiedono. Tanto che, arrivati in prossimità dell’adolescenza, se insoddisfatti del proprio padre, finiscono col cercare, altrove, un surrogato:  alcune volte, in educatori o altre figure competenti e capaci di rispondere alle loro esigenze, ma, altre volte, si rivolgono a persone sbagliate, esponendosi a rischi enormi.
          Ma già i bambini sono in grado di analizzare le eventuali carenze del proprio genitore. E la loro lucidità può giungere a conclusioni di straordinario candore, formulando frasi di spettacolare crudezza, pur nella loro veridicità: «Tanto il papà non è importante: il papà non fa nulla per la famiglia. È la mamma che è importante, vero?». E una domanda tanto lapidaria, come si potrebbe rispondere? È chiaro che il padre, per un bambino che dice una cosa simile, sostanzialmente, non esiste. C’è, ma non c’è; è come se non ci fosse. C’è solo in teoria, ma si tratta di una presenza eterea, impalpabile, vaneggiata, anzi,con tutta probabilità, anche ardentemente desiderata; ma, purtroppo, non rilevata.  Dunque, non rilevante. Cioè di rilievo ininfluente. Un padre così, un cavaliere inesistente, è già ai margini della vita del figlio. Nulla perduto e tutto è recuperabile, naturalmente: ma non sarà certamente una strada in discesa, per lui e per tutti quei padri che, per scelta più o meno consapevole, si ritrovano a fare i conti con una situazione di questo tipo.
          Del resto, tanto per dare una cifra dell’importanza che riveste il padre nella famiglia umana, è interessante verificare come il cambiamento avvenuto nell’interpretazione della sua figura all’interno del nucleo familiare abbia condizionato l’approccio al sentire religioso.  Se, una volta, parlare di Dio come padre evocava rispetto, timore, e a volte – persino – un esagerato terrore, ora la pratica – Dio è considerata, dalla gran maggioranza,  – semplicemente – irrilevante. Niente più che un riempitivo domenicale  da incastonare (con gran fatica e se ci si riesce) tra la partita di calcio del figlio e la lezione di yoga…
          D’altronde, è anche comprensibile. Come poter parlare di Dio come Padre (buono, affettuoso, misericordioso, attento) a chi ha sentito il proprio come irrilevante? È difficile che ci si presti attenzione, eppure è la realtà: parlare di Dio come Padre richiede – a molti – il grande sforzo immaginativo di credere, innanzitutto che un altro padre sia possibile…
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don Marco Pozza
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