Auguste Comte, Cristianesimo e cattolicesimo, Cristo e san Paolo

D'altra parte, l'intima discordanza tra la teoria e la pratica, che si trovava simulata, e nello stesso tempo compensata, finché i due poteri restavano confusi, si manifestò completamente dopo la loro separazione.

Auguste Comte, Cristianesimo e cattolicesimo, Cristo e san Paolo

da L'autore

del 25 maggio 2010

 

 

           Finché l'incorporazione romana non abbracciò la maggior parte dell'Occidente, l'attività guerriera dovette essere diretta dalla casta senatoriale, forte del suo ascendente teocratico, in forza del quale lo slancio comune frenava sufficientemente le gelosie plebee.  

           Ma questa costituzione militare dovette cambiare quando il dominio fu abbastanza esteso e consolidato per non assorbire più la sollecitudine del popolo, del quale gli imperatori divennero i veri rappresentanti contro la tirannide patrizia. Virgilio caratterizzò la politica romana, impersonata nell'incomparabile Cesare, nello stesso momento in cui, senza che il delicato poeta l'avvertisse, il sistema subiva questa trasformazione decisiva, primo sintomo del suo declino necessario.

           Queste due fasi quasi uguali, l'una eminentemente progressiva, l'altra essenzialmente conservatrice, hanno avuto, ciascuna, molta efficacia sociale per l'insieme della preparazione occidentale. Se dobbiamo alla prima il salutare dominio che tenne a freno, dappertutto, guerre sterili e tuttavia continue, siamo debitori all'altra dei benefici civili di quest'incorporazione politica, secondo l'uniforme diffusione dell'evoluzione greca. E, conquistando la Grecia, Roma le rese sempre un degno omaggio e fece in modo che la sua influenza producesse risultati estetici, filosofici e scientifici, la cui destinazione esigeva questa espansione.

           Quando gli ultimi movimenti, l'uno intellettuale, l'altro sociale, propri dell'antichità, si furono così combinati irrevocabilmente, la preparazione umana tese ben presto verso la sua ultima fase necessaria. Lo sviluppo, teorico e pratico, delle nostre forze principali non tardò a far profondamente sentire il bisogno di regolarli. Infatti, la disciplina spontanea che risultava da un fine temporaneo si trovò radicalmente dissolta non appena esso fu attinto.

           Allora, lo spirito e il cuore si abbandonarono a disordini di cui non si aveva esempio, in cui tutti i nostri tesori intellettuali e materiali si dissiparono in ignobili soddisfazioni di un egoismo sfrenato. Nello stesso momento che diveniva indispensabile la rigenerazione, l'insieme degli antecedenti greco-romani sembrava le fornisse una base sistematica, secondo la preponderanza intellettuale del monoteismo, combinata con la tendenza sociale verso una religione universale.

           Il cattolicesimo sorse, così, per soddisfare questo enorme bisogno di disciplina completa, sotto l'impulso, troppo misconosciuto, dell'incomparabile san Paolo, la cui sublime abnegazione persona le facilitò lo slancio dell'unità nascente, lasciando prevalere un falso fondatore. Ma la natura contraddittoria di una tale costruzione indicava già quest'ultima transizione come più rapida e meno estesa delle preparazioni precedenti.

           Infatti, il fine principale non poteva, con essa, essere attinto se non dopo la separazione radicale dei due poteri umani, d'altronde spontaneamente derivata da una situazione in cui il monoteismo cresceva lentamente sotto il dominio del politeismo. Nondimeno, una tale divisione restava sempre incompatibile con il genio necessariamente assoluto del teologismo, che, soprattutto nella sua concentrazione monoteistica, non permette al sacerdozio di limitarsi al consiglio se non in quanto non può afferrare il comando.

           Questa contraddizione necessaria è caratterizzata soprattutto da due contrasti generali, l'uno sociale, l'altro intellettuale. Non si può, allora, fondare la disciplina umana se non sulla vita futura, alla quale il nuovo sacerdozio procura un 'importanza fino ad allora sconosciuta, anche nella Giudea, fino a farsene un dominio esclusivo. Ma un tale modo diventava incapace di regolare l'esistenza reale, giacché allontanava dalla società per spingere ciascun credente all'ascetismo solitario.

           D'altra parte, l'intima discordanza tra la teoria e la pratica, che si trovava simulata, e nello stesso tempo compensata, finché i due poteri restavano confusi, si manifestò completamente dopo la loro separazione. La concentrazione monoteistica sviluppò soprattutto il contrasto necessario tra le volontà arbitrarie e le leggi immutabili. Infatti, l'ingegnosa conciliazione che Aristotele aveva loro preparata non era destinata se non ad una fase ulteriore in cui lo spirito positivo tendesse, anzi tutto, al suo ascendente finale sulla tutela teologica.

           Stando all'insieme di queste opposizioni, bisogna poco meravigliarsi che il movimento cattolico sia stato per lungo tempo respinto, come una vera retrogradazione, dai migliori tipi, teorici o pratici, dell'impero romano. Questi capi eminenti si trovavano gradualmente disposti, dopo Scipione e Cesare, all'avvento diretto del regno dell'Umanità, sotto la preponderanza simultanea dello spirito positivo e della vita industriale. Ma non avevano scorto la necessità di un'ultima preparazione sociale, essenzialmente relativa al sentimento, per realizzare il regime finale con la duplice emancipazione riservata nel Medioevo alle donne e ai lavoratori.

Auguste Comte

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