E la bravura di un giornalista a volte si misura, oltre che sulla veridicità di quanto afferma e sulla capacità di narrare i fatti, anche sui dettagli che riesce a fornire, su quanto è particolareggiato il suo pezzo al limite della morbosità e del superfluo.
del 11 maggio 2010
 
          Ore 7.30, mezz’ora più, mezz’ora meno. Una qualsiasi mattina in una qualsiasi redazione di un quotidiano. Giro di telefonate alle sale operative di forze dell’ordine, vigili del fuoco e nei pronto soccorso degli ospedali cittadini per sapere di incidenti, attentati dinamitardi, rapine e furti o, peggio, di fatti di sangue.
 
          Giornalista: «Buongiorno. Ci sono novità? Qualche notizia per noi?». Così inizia la caccia all’accadimento di cronaca nera da trasformare in articolo. Se dall’altra parte del telefono dicono che è tutto tranquillo la risposta da parte del giornalista sarà «Meglio così!». Se è avvenuto qualcosa di particolarmente grave – dopo aver abbassato la cornetta - esclamerà «Abbiamo l’apertura!», l’articolo da mettere in prima pagina.
          “Bad news are good news” - le cattive notizie sono buone notizie - è un motto abbastanza diffuso nel decalogo del buon cronista. Può sembrare cinico ciò che accade in una redazione. Ma il mondo della stampa o radiotelevisivo seleziona e “produce” gli articoli che attireranno maggiormente i potenziali lettori spingendoli a recarsi in edicola o a sintonizzarsi su un tele- (o radio-) giornale, restando in ascolto più a lungo possibile. Dal numero di copie vendute e dall’audience registrata le testate sanno che le persone sono più attirate dagli eventi di cronaca che da altre vicende.
          E la bravura di un giornalista a volte si misura, oltre che sulla veridicità di quanto afferma e sulla capacità di narrare i fatti, anche sui dettagli che riesce a fornire, su quanto è particolareggiato il suo pezzo al limite della morbosità e del superfluo.
          Di questa prodigiosa spirale ne ha fatto un’analisi anche Umberto Eco nell’articolo “Sbatti il mostro in prima pagina” parlando del dilagare della cronaca nera (Cogne, Garlasco, l’omicidio Meredith a Perugia) sui notiziari e scrivendo: “Se un tempo il quotidiano aveva quattro pagine oggi ne ha in media 60, e non è che al mondo succedano più cose - anzi, a essere obiettivi, ne succedevano di più tra il 1943 e il 1945, dall'Olocausto alla bomba atomica. Per riempire queste 60 pagine, e avere la pubblicità che ti consente di vivere, devi magnificare la notizia, sbattere il mostro non solo in prima ma anche in seconda e terza pagina, col risultato di parlare dieci volte dello stesso evento nello stesso giorno, dal punto di vista di dieci inviati, e dando l'impressione che gli eventi siano dieci”.
Un’opinione pubblica drogata
          Violenza, crimini efferati, delitti ripetuti specie da parte di cittadini extracomunitari. Televisioni e giornali ci dicono che siamo travolti dall'odio. Il senso di insicurezza e di sfiducia verso il prossimo cresce. Abbiamo l’impressione che il mondo attorno stia impazzendo anche se, in realtà, difficilmente ci capita di assistere direttamente a fatti di cronaca.
          Cosa ancor più strana è che i dati sui reati sono da vent’anni tutti in netto calo. A contraddire la percezione diffusa di una criminalità soverchiante il sociologo Pino Arlacchi, uno dei massimi esperti del settore, già presidente della Associazione mondiale per lo studio della criminalità organizzata, amico dei giudici Falcone e Borsellino, cofondatore della DIA - Direzione Investigativa Antimafia, sottosegretario generale della Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la lotta al crimine. In materia di “nera” il non plus ultra, insomma!
          “Abbiamo un'opinione pubblica completamente drogata, – afferma Arlacchi dal suo sito internet – con un'agenda falsa dei problemi del Paese, in cui si parla soltanto di stupri, di criminalità comune come se ci fosse un'ondata dilagante di criminalità, quando la realtà è esattamente opposta. Abbiamo una diminuzione della criminalità violenta nel nostro Paese che dura da venti anni. Abbiamo una flessione degli omicidi che sfiora l'ottanta per cento. Abbiamo una diminuzione anche di piccoli reati come gli scippi, furti d'auto che si aggirano attorno al settanta per cento”.
          Da dove proviene, allora, il crescente spazio che i mass media e il giornalismo dà alla cronaca nera?
          In una società in rapidissima evoluzione, per la grande mobilità che i nuovi mezzi di trasporto consentono, per l’abbattimento delle frontiere in Europa, per l’aumento della popolazione, per il fenomeno dell’immigrazione, sempre più consistente dal punto di vista numerico, la nostre città e i nostri vicini di casa cambiano velocemente volto.
          All’incertezza che deriva dal non sapere che si ha accanto, che intenzioni abbia, se la pensa o meno come me, se ha i miei stessi valori, consegue la paura e l’ aumento del bisogno di sicurezza, uno dei più consistenti tra i nuovi bisogni sociali.
          E non si può più sostenere che nei confronti della realtà i mass media fungono da specchio. Con la creazione di casi giudiziari, con la scelta delle notizie e della loro priorità nella scaletta di un Tg o nelle pagine di un giornale, essi hanno influenza sugli argomenti di cui discutono le persone in piazza o davanti ad un tè e su cui propongono interventi i politici in campagna elettorale o nei comunicati stampa.
L’emotività e l’incapacità di elaborare il male
          Gli articoli sulla criminalità ordinaria sono funzionali agli obiettivi di giornali e tv: vendere più copie o tenere gli spettatori incollati allo schermo così da poterli “rivendere” agli inserzionisti di pubblicità. Gli scippi, le rapine, gli incidenti, gli omicidi creano scalpore, prendono sul piano emotivo, sollecitano l’impulso a saperne di più. Perciò acquistano più facilmente spazi su altri argomenti più razionali e meno di impatto o dai toni meno concitati come le grosse e lente vicende giudiziarie dei processi di mafia o di corruzione, e ancor di più sulle “buone notizie”, meno visibili ma altrettanto importanti come i risultati dell’azione del volontariato.
          Anche il Papa Benedetto XVI ha dedicato un messaggio particolare al modo della stampa di affrontare e “confezionare” gli aspetti più tragici della realtà che ci circonda.
          L’8 dicembre 2009, in piazza di Spagna, sua Santità disse: “Ogni giorno, attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono. […] Nella città vivono – o sopravvivono – persone invisibili, che ogni tanto balzano in prima pagina o sui teleschermi, e vengono sfruttate fino all’ultimo, finché la notizia e l’immagine attirano l’attenzione. La città prima nasconde e poi espone al pubblico. Senza pietà, o con una falsa pietà”.
          Il male comunque esiste, non va ingigantito così come non va misconosciuto o ignorato. L’uso di un approccio critico alle notizie, ma anche una frequentazione dei giornali e il coraggio di indignarsi anche di fronte all’ennesimo delitto senza sentirlo distante sono i ferri del mestiere di persone consapevoli. Riprendendo le parole del Pontefice: “Ciascuno contribuisce alla sua vita e al suo clima morale, in bene o in male”.
Cogitoetvolo
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