Adesso servono fatti. Se si vuol riparare non basta cancellare l'ultima norma della vergogna. Occorre realizzare un grande "piano regolatore" nazionale, che riduca gli spazi di Azzardopoli.
Si dice che «non tutti i mali vengono per nuocere». Qualche volta è vero. Stavolta, se dovessimo giudicare dalla forza quasi corale delle reazioni suscitate ieri in Parlamento e dintorni, dovremmo concludere che l’ultimo cinico azzardo dei signori di Bisca Italia s’è trasformato in un boomerang di devastante potenza. Aspettiamo i fatti, prima, ma intanto prendiamo buona nota degli impegni di leader di partito, senatori e deputati. E alziamo la posta.
La vicenda. Mercoledì è stata introdotta nel cosiddetto "decreto SalvaRoma" una penalizzante norma-ricatto, confezionata per inceppare l’azione che sta arginando per via legislativa regionale e attraverso atti comunali il dilagare di slot machine e affini nel nostro Paese.
Perché una mossa così smaccata e rischiosa? Perché troppe Regioni stanno ormai resistendo alla brutale invasione dell’azzardo, troppi Comuni rifiutano di collaborare con gli "occupanti" e, per di più, un movimento di cittadini – pacifico, determinato, appoggiato mediaticamente da "Avvenire", da "Città Nuova" e dal mensile "Vita" – organizza con successo, da quattro mesi in qua, gli SlotMob, manifestazioni di sostegno ai locali ancora liberi o liberati dalle macchinette mangiasoldi.
La risposta dei signori di Azzardopoli era nell’aria. Ed è arrivata con le consuete modalità tecnico-politiche: una relazione amica di alti burocrati ministeriali che precede e accompagna un emendamento ad hoc presentato da una senatrice (Chiavaroli) e accolto dal governo attraverso un sottosegretario (Giorgetti). Il tutto per spiegare in modo vago, ma con tono competente e allarmato – traduciamo – che il ben avviato meccanismo di concessioni non può essere fermato. Che l’azzardo produce lavoro, benessere e gettito fiscale. E che dunque vanno ulteriormente tagliati i fondi statali alle realtà locali che si mettono di traverso. Morbidamente brutale e abilmente dissimulatorio. Non c’è una parola sul continuo crescere di giocate e scommesse a cui corrisponde un calo delle entrate fiscali. Neanche un cenno ai danni materiali che l’azzardo produce e agli immensi costi sanitari, economici e civili che scarica sul Sistema Italia.
E in Senato – complici malizia, fretta e incapacità di ascolto reciproco – si approva, con automatismo ottuso. Poi, però, e meno male, è il putiferio: lo sdegno di Matteo Renzi che pretende riparazione dal suo Pd, le accuse del M5S, della Lega e del governatore lombardo Maroni, le recriminazioni di pochi altri avvertiti della prim’ora. Il meaculpa di (quasi) tutti, a cominciare dai "distratti".
Bene. Ma adesso servono fatti. Se si vuol riparare non basta cancellare l’ultima norma della vergogna. Occorre realizzare un grande "piano regolatore" nazionale, che riduca gli spazi di Azzardopoli, li tenga lontano dai luoghi educativi, porti al congelamento di ulteriori concessioni e stabilisca che le vecchie concessioni a scadenza verranno azzerate e ridiscusse. Niente più alibi, niente più greppie che si autoalimentano, niente più fariseismi. Governo e Parlamento ne sono capaci?
Marco Tarquinio
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