Beato Michele Rua. Like don Bosco!

29 ottobre: la famiglia salesiana ricorda il primo successore di don Bosco

Beato Michele Rua. Like don Bosco!

da Spiritualità Salesiana

del 21 ottobre 2009

 

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Il primo incontro con don Bosco

 

Nella prima metà del 1800, a nord di Torino, poco lontano dai prati di Valdocco, sorgeva solitaria la Fucina delle Canne (cioè la fabbrica darmi) del Piemonte. Lì, i19 giugno 1837 nacque Miche­le, da Giovanni Rua, impiegato nella Fucina, e da Giovanna Fer­rero.

Aveva poco pi√π di sette anni, Michele, quando un giorno vide al collo di un suo compagno una cravatta fiammante.

- Dove l'hai comprata?

- L'ho guadagnata alla lotteria dell'Oratorio. - E che cos'è l'Oratorio?

- È l'Oratorio di don Bosco, al Rifugio.

La domenica dopo, Michele corse al Rifugio (l'Opera caritativa della Marchesa di Barolo), e vide molti giovani giocare su una stri­scia di terra attorno a un giovane prete. Quel prete si avvicinò an­che a lui, gli mise la mano sul capo, e gli disse alcune buone parole che «gli andarono al cuore».

Erano gli anni dell'Oratorio migrante, da un ospedale a un mu­lino, da un cimitero ad un prato. I torinesi guardavano quel prete circondato da tanto chiasso e scuotevano la testa. Un giorno il Direttore della Fucina domandò a Michele:

- Vai ancora all'Oratorio di don Bosco?

- Qualche volta.

- Povero don Bosco... Non lo sai? È diventato matto...

 

 

Mezza mano. Che vorrà dire?

 

In quel tempo, Michele cominciò a frequentare le scuole ele­mentari a Porta Palazzo, che erano state affidate dal Comune ai Fratelli delle Scuole Cristiane. Don Bosco vi si recava sovente a confessare, a predicare e anche a fare il catechismo. I ragazzi, ap­pena lo vedevano, gli si affollavano intorno. Michele non amava spingersi tra gli altri, ma sorrideva da lontano a don Bosco, e si sentiva pieno d'allegria quando don Bosco lo guardava e sorrideva anche lui.

A 9 anni Michele (già orfano di padre) fu ammesso alla prima Comunione. Si manifestava un ragazzino pio, serio e diligente, e i Fratelli speravano che diventasse uno di loro.

Andando o tornando da scuola, Michele incontrava qualche volta don Bosco. Gli correva incontro con gioia, gli baciava la ma­no (come allora si usava con i sacerdoti) e gli domandava:

- Me la dà un'immagine?

Don Bosco, come se non avesse sentito, gli metteva sorridendo la sua berretta da prete in testa, gli porgeva la palma sinistra della mano, e con la destra faceva un gesto come per tagliarla a metà:

- Prendi, Michelino - gli diceva, - prendi!

Michelino rimaneva sconcertato. Stringeva quella mano e pen­sava:

-      Che vorrà dire?

 

 

Le sei parole misteriose che ritornano

 

Il 3 ottobre 1852, durante la gita che i migliori giovani dell’Oratorio facevano ogni anno ai Becchi per la festa della Madonna del Rosario, Don Bosco gli fece indossare l’abito ecclesiastico. Michele aveva 15 anni. La sera, tornando a Torino, Michele vinse la timidezza e chiese a Don Bosco: «Si ricorda dei nostri primi incontri? Io le chiesi una medaglia, e lei fece un gesto strano, come se volesse tagliarsi la mano e darmela, e mi disse: ‘Noi due faremo tutto a metà’. Che cosa voleva dire?». E lui: «Ma caro Michele, non l’hai ancora capito? Eppure è chiarissimo. Più andrai avanti negli anni, e meglio comprenderai che io volevo dirti: Nella vita noi due faremo sempre a metà. Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune».  Michele rimase in silenzio, pieno di silenziosa felicità: Don Bosco, con parole semplici, l’aveva fatto suo erede universale.

 

 

Una lettera profetica sul tavolino

 

Il 29 luglio 1860 Michele Rua è ordinato sacerdote. Giovanni B. Francesia, che gli è accanto come sempre, testimonia: “La sua preparazione fu straordinaria. Passò la notte della vigilia in preghiere e pie meditazioni”. Alla sera di quella giornata festosa e importantissima, don Rua sale all’abbaino che gli serve come stanza da letto, e trova sul tavolino una lettera di Don Bosco. Legge: “Tu vedrai meglio di me l’Opera Salesiana valicare i confini dell’Italia e stabilirsi in molte parti del mondo. Avrai molto da lavorare e molto da soffrire; ma, tu lo sai, solo attraverso il mar Rosso e il deserto si arriva alla Terra Promessa, Soffri con coraggio; e, anche quaggiù, non ti mancheranno le consolazioni e gli aiuti da parte del Signore”.

Don Giulio Barberis, diventato sapiente maestro dei novizi, a distanza di anni testimonierà: “Tante occupazioni a qualcuno potevano togliere spazio alla preghiera e allo spirito religioso. In don Rua lo spirito di preghiera e di meditazione era come connaturato. L’ubbidienza al suo Superiore era di grado ammirabile. Aveva in quel tempo cominciato una vita di mortificazione e di rinnegamento di se stesso veramente straordinario. Io, che ero entrato da poco tempo nella Casa di Don Bosco, ero meravigliato. Ricordo che, parlando con gli amici, eravamo tutti convinti che fosse un Santo. E anche Don Bosco ne era convinto, e ce lo diceva”.

 

 

Essere Don Bosco a Mirabello Monferrato

 

Nel 1863 Don Bosco fece fare alla sua Opera un passo decisivo. Essa funzionava bene a Valdocco, perché a reggerla c’era la figura carismatica e paterna di Don Bosco. Ma trapiantata altrove, senza Don Bosco, avrebbe funzionato? Nella primavera di quell’anno, Don Bosco ebbe con don Rua, che aveva 26 anni,un incontro confidenziale e intenso. “Ho da chiederti un grosso favore. D’accordo col Vescovo di Casale Monferrato ho deciso di aprire un ‘Piccolo Seminario’ a Mirabello. Penso di mandare te a dirigerlo. È la prima opera che i Salesiani aprono fuori Torino. Avremo mille occhi addosso. Io ho piena fiducia in te. Ti do tre aiuti: cinque dei nostri Salesiani più solidi, tra cui don Bonetti che sarà il tuo ‘vice’; un gruppo di ragazzi scelti tra i migliori che verranno da Valdocco a continuare la loro scuola là, per essere il lievito tra i ragazzi nuovi che riceverai; e insieme con te verrà tua mamma”.

Don Rua parte in ottobre. Don Bosco gli ha scritto quattro pagine di consigli preziosi che verranno poi trascritti per ogni nuovo direttore salesiano: sono giudicati uno dei documenti più limpidi del sistema educativo di Don Bosco. Tra l’altro ha scritto: “Ogni notte devi dormire almeno sei ore. Cerca di farti amare prima di farti temere. Cerca di passare in mezzo ai giovani tutto il tempo della ricreazione. Se sorgono questioni su cose materiali, spendi tutto quello che occorre, purché si conservi la carità”. Don Rua riassume tutti questi consigli, che per lui sono comandi, in una sola frase: “A Mirabello cercherò di essere Don Bosco”.

 

 

“Don Rua non parte senza il mio permesso”

 

Quando tutti i lavori del Santuario furono finiti, parve finito anche don Rua. Una mattina di luglio, nel caldo torrido del luglio torinese, sul portone dell’Oratorio, nell’atto di uscire, cadde nelle braccia di un amico che gli stava a fianco. ‘Peritonite fulminante’ sentenziò il medico subito chiamato. ‘Più niente da fare. Dategli l’Olio Santo’. La penicillina doveva ancora essere inventata, la chirurgia era ancora agli inizi. Don Rua, febbre alta e molto sofferente, invocava Don Bosco; ma lui era in città. Fu fatto cercare. Quando arrivò e gli fu detto che don Rua era alla fine, fece dei gesti incomprensibili. C’erano i ragazzi in chiesa per il ritiro mensile ed egli andò dritto a confessarli. ‘State tranquilli, don Rua non parte senza il mio permesso’, disse entrando in chiesa. Ne uscì molto tardi, e invece che in infermeria andò alla modesta cena messa da parte. Poi salì in camera a posare la borsa con le carte, e finalmente, mentre tutti erano sulle spine, andò al capezzale di don Rua. Vede il vasetto dell’Olio Santo e quasi si arrabbia: “Chi è quel brav’uomo che ha avuto quest’idea?”. Poi si siede accanto a don Rua e gli dice: “Sentimi bene. Io non voglio, lo capisci? non voglio che tu muoia. Devi guarire. Dovrai lavorare e lavorare molto al mio fianco, altro che morire. Sentimi bene: anche se ti buttassi dalla finestra così come sei, non moriresti”. Francesia e Cagliero avevano visto e sentito tutto, e maturarono la convinzione che Don Bosco, il quale parlava nei sogni con la Madonna e strappava da Lei favori impossibili, avesse avuto la garanzia che ‘quel ragazzo’, unico sopravvissuto a tutti i suoi fratelli, la Madonna gliel’avrebbe lasciato accanto per tutta la vita.

Il 14 agosto 1876 un salesiano, dopo cena, gli domandò a bruciapelo: “È vero che parecchi Salesiani sono morti per il troppo lavoro?”. Don Bosco rispose: “Se fosse vero, la Congregazione non ne avrebbe avuto alcun danno, anzi… Ma non è vero. Uno solo potrebbe meritare il titolo di vittima del lavoro, ed è don Rua, lo vedete benissimo; ma per nostra fortuna il Signore ce lo conserva forte e vigoroso”.

 

 

Diventare Don Bosco giorno dopo giorno

 

Tra il cumulo delle sue mansioni, in tutti quegli anni don Rua è sempre il Direttore dei numerosissimi giovani che affollano Valdocco: studenti, artigiani, aspiranti salesiani, giovanissimi salesiani. Don Rua si sforza di ‘diventare Don Bosco’ in tutto, anche nel comportamento esterno. Certo, l’aspetto fisico e il temperamento sono diversi. “Le sue maniere, la sua voce, i suoi lineamenti, il suo sorriso, non avevano quel misterioso fascino che attirava e incatenava i giovani a Don Bosco. Ma era per tutti il padre premuroso e affettuoso, preoccupato di comprendere, incoraggiare, sostenere, perdonare, illuminare, amare”, come aveva cominciato ad esserlo a Mirabello. E i giovani di Valdocco, rabdomanti infallibili come tutti i giovani del mondo quando c’è da capire chi vuol loro bene e chi invece ‘fa solo finta’, dimostrarono coi fatti di riconoscere in lui un amico paterno.

Accanto al confessionale di Don Bosco, nella sacrestia del Santuario di Maria Ausiliatrice, c’era quello di don Rua. E per trent’anni i giovani lo cercavano ogni mattina, assiepando il confessionale quasi come quello di Don Bosco. E quando egli guarì miracolosamente dalla grave malattia e tornò ad affacciarsi timidamente sotto i porticati, fu circondato dalla gioia commossa di ondate di ragazzi. Nell’ora delle ricreazioni, come faceva stabilmente a Mirabello, tornò ad essere presente tra i ragazzi, il più gaio e il più vivace dei Salesiani.

 

 

La mano di Don Bosco in quella di don Rua

 

Dal 1875 al 1885 Don Bosco vive il suo decennio più intenso, ma brucia anche inesorabilmente la sua vita. Accanto a lui, sempre più suo braccio destro, lavora con intensità e silenzio don Rua, ricevendo sempre maggiori responsabilità. Giorno dopo giorno diviene agli occhi di tutti ‘il secondo Don Bosco’. Nel 1875 parte per l’America del Sud la prima spedizione missionaria salesiana. Negli anni seguenti Don Bosco fonda i Cooperatori Salesiani e dà inizio al ‘Bollettino Salesiano’; partono per le missioni le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, di cui don Rua è il Direttore generale; don Giovanni Cagliero diventa il primo Vescovo salesiano; e don Rua è eletto dal Papa ‘Vicario’ di Don Bosco, pronto a succedergli. È lui, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 1888, a prendere la mano di Don Bosco morente e a guidarla nell’ultima benedizione alla Famiglia salesiana. La mano che Don Bosco porgeva a un ragazzetto dicendogli: “Prendi, Michelino, prendi”, ora stringe per l’ultima volta la mano di Michelino diventato il suo vicario; e gli consegna tutto, tutto ciò che egli ha realizzato sulla terra per il Regno di Dio.

 

 

“Tutto… lo dobbiamo a Maria Ausiliatrice”

 

Michele Rua divenne il primo Salesiano nel giorno dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria. Lo ricorda lui stesso nella deposizione al Processo di beatificazione di Don Bosco: “Nel 1855, il giorno dell’Annunciazione di Maria SS.ma, io per primo, percorrendo il secondo anno di filosofia, emisi i voti per un anno”. Vivendo accanto a Don Bosco per 26 anni, egli assorbì il suo spirito, del quale una componente essenziale era la devozione a Maria Ausiliatrice. Il testimone Lorenzo Saluzzo afferma: “Ricordo in modo speciale aver udito dal Servo di Dio queste parole: ‘Non si può essere buono Salesiani se non si è divoti di Maria Ausiliatrice’”.

Don Bosco costruì il Santuario di Maria Ausiliatrice, don Rua lo fece restaurare, abbellire, decorare. La solenne ‘incoronazione’ dell’immagine di Maria Ausiliatrice avvenuta nel Santuario di Valdocco nell’anno 1903, fu da lui ottenuta dal Papa, ed eseguita per mano del Cardinale Richelmy, Legato pontificio. Il 17 febbraio annunciava ai Salesiani il grande evento dicendo: “Procuriamo di renderci meno indegni della nostra celeste Madre e Regina, e predichiamone con sempre maggior zelo le glorie e la materna tenerezza. Essa ispirò e guidò prodigiosamente il nostro Don Bosco in tutte le sue grandi imprese; Essa continuò e continua tuttodì tale materna assistenza in tutte le nostre opere, per cui possiamo ripetere con Don Bosco che tutto ciò che abbiamo, lo dobbiamo a Maria SS.ma Ausiliatrice”.

 

 

L'ultimo posto gli bastò sempre

 

Ebbe una grandissima fede. «La sua figura - scrisse M. Mazzei - resterà in molti occhi come un segno dell'invisibile».

Ebbe un amore grande per tutti i figli di don Bosco. Scrisse: «Tutti i giorni, tutti gli istanti del giorno io li consacro a voi. Io pre­go per voi, penso a voi, agisco per voi come una madre per il suo fi­glio. Una sola cosa chiedo a voi: fatevi tutti santi e grandi santi».

La sua caratteristica rimase la povertà. Chiese tanto, ma per sé non chiese, non volle mai nulla. L'ultimo posto, l'ultima veste, l'ul­timo pane gli bastarono sempre.

Il 29 ottobre 1972, il Papa lo proclamò «Beato». Anche nella gloria del Signore, Michele doveva fare a metà con don Bosco.

 

 

AA.VV.

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