È uscito il documentario del giornalista Pierre Barnérias “Eutanasia, fino a dove?” in cui medici e parenti delle vittime raccontano la realtà della “buona morte”. È disponibile solo su Internet, perché varie emittenti francesi e belghe si sono rifiutate di trasmetterlo.
È uscito su Internet il documentario del giornalista Pierre Barnérias “Eutanasia, fino a dove?” (in lingua francese) in cui medici e parenti delle vittime raccontano la realtà della “buona morte”. È disponibile solo su Internet, perché varie emittenti francesi e belghe si sono rifiutate di trasmetterlo. Argomento troppo delicato o c’è da nascondere qualcosa? Al lettore il giudizio.
Nel documentario vengono raccontate storie come quella di Marcel Ceuleneur, o meglio di sua madre. Il figlio stesso racconta: “le hanno fatto l’eutanasia, anche se la sua situazione non soddisfaceva i criteri stabiliti dalla legge”, lei non soffriva di nessuna malattia né tantomeno era malata terminale. Era una donna che aveva gli acciacchi di un’età avanzata, niente di più. Prosegue Manuel nel documentario: “Io ero contrario all’eutanasia di mia mamma il suo medico di fiducia era contrario, così come tutta la mia famiglia. Lei non aveva mai parlato di eutanasia, per giunta, se non dopo aver conosciuto un medico che le ha fatto il lavaggio del cervello e l’ha uccisa senza che ci fossero le precondizioni stabilite dalla legge. La verità è che dicono che vale solo in certi casi, ma poi succede tutt’altro”.
Abuso di legge, mancanza di controlli? Secondo quanto dichiarato nel documentario dalla presidente della Commissione di controllo che deve assicurarsi che la legge non venga abusata, “noi riceviamo direttamente le dichiarazioni dei medici, che spesso sono compilate in modo incompleto. Purtroppo, non abbiamo la possibilità di valutare il numero reale di casi di eutanasia praticati nel paese”. Claire-Marie Le Huu, infermiera belga conferma in video la leggerezza con cui viene somministrata la “buona morte”: “Ho assistito a tanti casi di eutanasia somministrata in modo illegale […] Spesso non c’è nessuna richiesta scritta: si chiede alle persone tre volte se vogliono l’eutanasia invece che le cure palliative, e la loro risposta orale è considerata sufficiente”.
Uno degli argomenti usato spesso per far scegliere l’eutanasia ai pazienti è convincere le persone anziane e sole che la morte è la scelta migliore, facendole sentire un peso per la società e la famiglia. È questa la storia di Catherine, contenuta nello stesso documentario. Catherine racconta: “dopo la morte di suo marito, mia sorella è rimasta sola. Era anziana, i suoi due figli medici la controllavano spesso e quando si sono accorti che un uomo andava sempre in casa sua per farle i lavori di casa, hanno avuto paura che lei dilapidasse tutti i risparmi che aveva. Per questo l’hanno convinta a fare l’eutanasia. Avevano tutti i moduli in ordine, tranne il fatto che mia sorella non era malata. Io poi non sono neanche stata informata della sua scelta. La verità è che i figli hanno deciso per lei e l’hanno fatto per avere la sua eredità. Una legge che permette queste cose è una mostruosità totale”.
Marcel ha provato a chiedere giustizia ma invano: “primo ho scritto a due ministri della Giustizia, che mi hanno ignorato, poi ho chiesto alla commissione di controllo di indagare ma non hanno fatto nulla”. Per questo si è rivolto ai tribunali che però hanno ribadito che la madre aveva espresso il suo consenso al “trattamento”. Si tratta di una farsa – commenta Marcel – “i giudici non si metteranno mai contro un sistema consolidato. Per cambiare la situazione basterebbe che la Commissione di controllo facesse il suo lavoro: controllare l’eutanasia. Ma non lo fanno”.
C’è chi dice che i Movimenti prolife difendano le ideologie e i principi più che la vita reale. Il fatto è che salvando il valore della vita umana, si sarebbe salvata la mamma di Marcel o Catherine e tanti altri, in Olanda, Belgio, in Italia. Ditemi che cosa c’è di più concreto.
Giovanna Sedda
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