Bellezza e ragione

Il papa ha proposto a tutti una straordinaria riflessione sulla bellezza come necessaria componente della verità. Un pensiero che non può non rimandare al grande Hans Urs von Balthasar e alla sua monumentale opera di teologia estetica intitolata Gloria.

Bellezza e ragione

da Teologo Borèl

del 23 agosto 2008

Il papa, sollecitato dalla domanda di un sacerdote, ha proposto a tutti una straordinaria riflessione sulla bellezza come necessaria componente della verità.

Il Santo Padre afferma che «quando, in questa nostra epoca, discutiamo della ragionevolezza della fede, discutiamo proprio del fatto che la ragione non finisce dove finiscono le scoperte sperimentali, essa non finisce nel positivismo; la teoria dell’evoluzione vede la verità, ma ne vede soltanto metà: non vede che dietro c’è lo Spirito della creazione. Noi stiamo lottando per l’allargamento della ragione e quindi per una ragione che, appunto, sia aperta anche al bello e non debba lasciarlo da parte come qualcosa di totalmente diverso e irragionevole».

Un pensiero che non può non rimandare al grande Hans Urs von Balthasar e alla sua monumentale opera di teologia estetica intitolata Gloria.

Nel primo volume dal titolo Percezione della forma, egli fin dalle prime battute invita a riflettere come anche la Chiesa nel nostro tempo (e lo diceva già nel 1961) abbia privilegiato il verum e il bonum dimenticando il pulchrum. Si è data cioè maggior attenzione alla verità e alla ragione, all’aspetto più speculativo dell’esperienza umana, si è data maggior attenzione all’etica, alla dimensione morale della vita, dimenticando quell’aspetto strettamente contemplativo, che coinvolge così interamente lo stupore, quale è la Bellezza.

La Bellezza è il terzo trascendentale senza il quale l’uomo non può stare, è quella parola a cui il filosofo perviene ma dalla quale non potrà mai partire, è quella parola dalla quale certa scienza e financo certa teologia prenderà le distanze perchè anacronistica e fragile, mentre è la parola da cui l’uomo religioso, il credente parte perchè è la sola vera parola iniziale dalla quale anche il vero e il bene traggono forza.

«La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che - segretamente o apertamente - non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare. Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II, atto III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è più nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è più capace, ciò per cui è diventato impotente, non può più, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte.

In un mondo senza bellezza - anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso -, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più.

E se è così dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia più che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce più a cogliere il bello». [H. U. von Balthasar, Gloria, Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12]

Una posizione affascinante se pensiamo a quali conseguenze stiamo assistendo per l’esilio di questo terzo trascendentale. La verità è precipitata in un relativismo inafferrabile, la morale è concepita solo dentro un soggettivismo cieco ed aberrante e la bellezza è stata confinata entro un’estetica svuotata di contenuti valoriali. Persino la ragione si è persa, direbbe il Magnificat, nei pensieri superbi del cuore se sganciata da questa mistero estatico della Bellezza carica di Mistero.

La riflessione di Benedetto XVI getta allora una luce straordinaria sul nostro vivere quotidiano: «Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente»

Sì davvero questo è il punto. Il punto da cui partire e a cui tendere con tutta la propria condotta.

sr Maria Gloria Riva

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