Il libro racconta l'esperienza del morbo di Alzheimer vissuta da un genitore e il dirompente effetto della malattia nelle relazioni. Le pagine mettono a nudo la paura di invecchiare e il confronto con i sensi di colpa.
Perdere progressivamente la memoria, con le annesse implicazioni psicologiche e sociali. Invecchiare inesorabilmente, con il conseguente calo di autonomia personale. Il senso di colpa e d’inadeguatezza di una figlia di fronte alla propria madre, l’estraneità che si insinua in un rapporto viscerale di estrema familiarità. Con uno sguardo sensibile, in “Ma tu chi sei?” (edito da Exòrma, pagine 204, euro 14,50) Bette Ann Moskowitz racconta l’esperienza del morbo di Alzheimer vissuta da un genitore e il dirompente effetto della malattia nelle relazioni, dai primi sintomi fino al ricovero stabile in una casa di riposo. La recensione al volume è stata pubblicata sul numero di maggio del mensile “SuperAbile Magazine”, edito dall’Inail.
"Questo è il libro che avrei voluto che ci fosse mentre mi trovavo a vivere quell’esperienza: qualcosa che mi potesse dare ciò di cui via via avevo bisogno, sotto forma di suggerimenti utili, testimonianze, rassicurazioni e supporto", scrive l’autrice settantaquattrenne, che insegna scrittura creativa al Queens College di New York e che con questo volume – di recente tradotto anche in cinese – ha vinto il premio New York State Foundation for Literary Non-Fiction. A parte le conoscenze pratiche, necessarie quando si affrontano situazioni di lungo-degenza, le pagine mettono a nudo la paura di invecchiare e il confronto con i sensi di colpa, "una riflessione su quel che significa 'mettere via' un genitore, e cosa vuol dire convivere con questo tipo di realtà".
Il declino fisico e mentale di una persona cara, con i segni inesorabili che lo accompagnano, sono difficili da decodificare per chi le è accanto, ma in primo luogo durissimi da accettare per chi li vive sulla propria pelle. "Quanto si sarà impegnata per cercare di nascondere le proprie disabilità, per cercare di aggirare i vuoti di memoria", scrive Moskowitz riferendosi alla madre, rimasta "schietta, pragmatica, con un senso dell’umorismo da sopravvissuta". Oltre a raccontare la sua storia, le pagine fanno da specchio al lettore: una lente “scomoda”, che non permette di frapporre una distanza con realtà sgradevoli da contemplare, ma autenticamente disarmanti.
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