Borrowed Time: il corto Pixar accusato di tristezza

Questo corto sottrae sei minuti di vita ai suoi spettatori per restituirli tra qualche tempo in consapevolezza...

Borrowed Time: il corto Pixar accusato di tristezza

 

La prima volta che ho visto Borrowed Time – il nuovo cortometraggio di Andrew Coats & Lou Hamou-Lhadj-  mi sono un attimo preoccupata. L’articolo introduttivo dal quale lo avevo pescato parlava di un “film per adulti”: ho immaginato scene vagamente imbarazzanti e hard, ho spalancato gli occhi e sono andata a vederlo al riparo da sguardi indiscreti. Ma nulla di osé: mi sono trovata davanti alla malinconica storia di uno sceriffo nostalgico di un passato irrecuperabile. Tutto qui.

Allora perché molteplici fonti lo considerano il film svolta che segna l’inizio di un’era in cui la Pixar si dedicherà non soltanto all’infanzia? Perché è triste come non mai?

 

Borrowed Time (“tempo preso in prestito”) dura sei minuti realizzati in quasi altrettanti anni nei ritagli di tempo che i due creatori ricavavano tra l’uno e l’altro cartone animato: parliamo di Oscar come Toy Story 3, Brave e Inside Out. Pubblicato su Vimeo in modo indipendente, il cortometraggio ha ottenuto subito il suo boom di visualizzazioni, colpevole forse anche la nomea di commovente e innovativo.

Ma di cosa tratta questo cartone che pare spaccare in due la storia cinematografica della Disney? Parla di un dolore della perdita che a differenza di quello mostrato in capolavori come Up o il già nominato Toy story 3 non viene affatto risolto da un finale idilliaco. Questa arcinota tristezza con la quale ormai Borrowed Time si identifica non è un tratto passeggero della sua trama, ma il nocciolo della stessa.

 

Senza il timore di non piacere, distaccati dalla casa di produzione di cui sono figli, Coats e Hamou-Lhadj dedicano il 100% del loro tempo scenico all’indagine di un temutissimo sentimento, non perdendosi la briga neanche di dare ai personaggi dei nomi. Curano l’immagine e il soggetto, il suono, il colore. Ne viene fuori un lavoro fuori dagli schemi tematici, dal cliché dell’allegria forzata. Finalmente un pianto autentico, lo sfogo vero successivo alla catastrofe. E se piangiamo anche noi ben venga: vuol dire che abbiamo appena scoperto o ricordato qualcosa di sensato.

 

Stiamo privando di questo tutti quei bambini che escludiamo dalla visione (guidata, per carità) del film. Di qualche goccia di sangue o lacrima, di colori cupi, ma soprattutto di molta sana verità sul significato della morte e della solitudine, sull’impotenza nel combatterle, la voglia di farla finita, sul rimpianto irrimediabile dell’aver perso per colpa nostra qualcuno che amavamo. Sul sopravvivere, surrogato essenziale del vivere allegri, invece rappresentato da centinaia di cartoni animati.

Borrowed Time: il tempo preso in prestito. E questo corto sottrae sei minuti di vita ai suoi spettatori per restituirli tra qualche tempo in consapevolezza. Alla faccia di ogni target e convenzione.

 

 

Sabrina Sapienza

http://www.cogitoetvolo.it

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