«Senza peccare di presunzione ‚Äì racconta Angelo Branduardi da sotto l'inconfondibile cespuglio di capelli ‚Äì il primo a suonare unplugged sono stato io...I giovani di area cattolica sono gli unici oggi che si danno veramente da fare. Sono loro gli autentici trasgressivi.
del 21 aprile 2009
«Senza peccare di presunzione – racconta Angelo Branduardi da sotto l’inconfondibile cespuglio di capelli – il primo a suonare unplugged sono stato io. Tanto è vero che nel 1986, quando girammo l’Europa con un tour interamente acustico, il termine non c’era nemmeno. E infatti chiamammo quella tournée Senza spina. » E Senza spina è il titolo anche dell’album che a distanza di 23 anni rende testimonianza di quell’esperienza. Due 'vecchie' audiocassette di un concerto tenuto all’Olympia di Parigi nel dicembre 1986 sono saltate fuori a sorpresa dall’archivio di Franco Finetti, l’ingegnere del suono che accompagnò Branduardi, Bruno De Filippi, Maurizio Fabrizio e José de Ri­bamar 'Papete' in quell’avventura. Da un’intensa e liquida Luna nella versione in francese a una O sole mio dal suadente passo d’habanera («è una canzone nostalgica, Di Capua la scrisse a Odessa. Di solito è martirizzata dal tenore di turno. Io mi sono ispirato alla versione di Murolo, la più bella») passando per le canzoni ispirate alle poesie di Yeats, undici brani in cui la voce del cantautore è rivestita, in tempi non sospetti, dei suoni di quella che oggi chiameremmo world music.
 
Branduardi, come reagì il pubblico?
«Il primo quarto d’ora era frastornato. Nessuna pressione sonora, niente basso, niente batteria. Solo microfoni per portare il suono dei nostri strumenti acustici fino in fondo alla sala. Mi hanno sempre riconosciuto di saper guardare avanti e precorrere i tempi. Sono sempre stato controcorrente, faccio il contrario di quello che la gente si aspetta da me. Mia figlia mi ha paragonato a un extraterrestre perché la mia mu­sica non assomiglia a nulla. O la si ama o la si odia».
 
Il disco è aperto da tre brani inediti, registrati nel feb­braio scorso, anche questi 'senza spina'. Nel primo, «Il denaro dei nani», si parla di un tesoro che «non va­le niente» e che «va in fumo».
«Ho voluto scrivere un brano di denuncia. A mio modo, naturalmente. Velata, metaforica, ma trasparente. Il soggetto è tratto dalle saghe nordiche ma non ci vuole molto a capire chi sono i nani: i finanzieri senza scrupoli che hanno vissuto sulle nostre spalle. Io non ho mai fatto cronaca, non ho mai cavalcato né per fortuna sono sceso da tigri politiche. E questo ora mi dà credibilità».
 
Il disco testimonia un concerto a Parigi, il 18 aprile lei inaugura un tour di 24 date in Germania, dove è stato per la prima volta nel 1978. Come si spiega questo successo all’estero?
«Credo che il pubblico straniero veda in me l’italianità. E soprattutto apprezza la lingua italiana. Una volta a Monaco provai a cantare una mia canzone in inglese. Ci fu l’insurrezione. Mi scusai e riattaccai nella versione originale. In Germania ho fatto oltre 350 concerti e rappresentazioni tra la Lauda e Infinitamente piccolo. E continuano a richiederli».
 
Con i dischi 'francescani' ha incontrato un pubblico composto da giovani molti dei quali ai suoi esordi non erano ancora nati.
«Pensi che Infinitamente piccolo nessuno lo voleva fare. Eppure grazie al passaparola sono arrivati tantissimi ragazzi. È stato il disco che mi ha fatto scoprire a un certo tipo di gioventù. I giovani di area cattolica sono gli unici oggi che si danno veramente da fare. Sono loro gli autentici trasgressivi».
 
Cosa ne pensa dei ragazzi che popolano i reality musicali in tv?
«Oggi si parla tanto di talenti. A X Factor o Amici i ragazzi arrivano simpatici, bravi e spontanei. Dopo 10 giorni sono artefatti. È esattamente il contrario del coltivare il talento. Ma non invidio chi comincia oggi. Tutto è molto più difficile. Per emergere hai solo cinque minuti e due occasioni: la prima e l’ultima».
 
Alessandro Beltrami
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