Tutto è iniziato un 25 marzo, in una data come oggi: don Bosco chiamò un giovane, Michele Rua. Chi avrebbe pensato che quell'evento avrebbe cambiato la storia di migliaia e migliaia di giovani? Voglio leggervi questo messaggio che ho ricevuto tra le centinaia di email, che stanno arrivando. 'Carissimo Rettor Maggiore, sono Piero, un ragazzo dell'oratorio di Schio (Vicenza) che ha avuto l'occasione e la fortuna di incontrarla un paio di volte...'.
del 01 aprile 2008
Cari confratelli,
sento di dover ringraziare il Signore per questa giornata. Considero questa rielezione come una prova del suo amore verso di me. Tenendo sempre presente che la Congregazione, la Famiglia, i giovani sono suoi, non miei; mi vengono soltanto affidati e mi vengono affidati non tanto perché io sia affidabile, ma perché Lui mi vuole bene e mi vuole collocare in una situazione nella quale io possa vivere spendendo sempre la mia vita per gli altri. E’ il modo con cui Dio ci ama: dandoci persone da amare, di cui prenderci cura, attorno a cui organizzare la nostra vita.
Sono entrato in questo Capitolo con una grande libertà interiore: non davo per scontato che sarei stato rieletto. Avevo condiviso questo anche con il Consiglio Generale ricordando che eravamo stati eletti per un sessennio e quindi l’Assemblea poteva liberamente confermare alcune cariche, oppure poteva pensare diversamente. E questa libertà interiore, personalmente, mi ha fatto bene perché non è che attendessi ad ogni costo questo. Mi sono fatto salesiano per stare con i giovani, non per essere Rettor Maggiore: questo è un servizio e cerco di svolgerlo nel migliore dei modi.
Desidero rivolgere un ringraziamento a tutti voi, come Assemblea, perché Dio parla attraverso voi. Padre Arnaiz diceva che non c’è un filo diretto con Dio, pertanto occorre ricercare la sua volontà e, in questa ricerca, sono coinvolte un insieme di libertà: la libertà di Dio, la libertà di ciascuno di noi, la mia. Vi ringrazio e penso che la votazione con la quale sono stato eletto, così  convergente, anzitutto mi dà una grande fiducia, perché significa che c’è un senso di unità molto forte nella nostra Congregazione. Non ritengo questo consenso una valutazione del lavoro svolto nel sessennio, quasi a dire “ha fatto bene, quindi si può andare avanti”: lo ritengo, piuttosto un grande atto di amore di voi, Ispettori, Delegati ed Invitati, un grande atto di amore a don Bosco, e quindi al Rettor Maggiore: di questo vi ringrazio e naturalmente cercherò di non deludervi.
L’esperienza vissuta oggi è molto diversa rispetto a quella di sei anni fa. Allora non pensavo assolutamente di poter essere Rettor Maggiore. Due anni prima di essere eletto, l’ho confessato più di una volta, avevo iniziato un cammino spirituale di conversione. Non so perché, ma il Signore mi aveva fatto sentire la mia mediocrità, e mi ero deciso a dare il meglio di me. In quella situazione mi è stato di grande aiuto un libro, intitolato “Occasione o tentazione?”, un testo tutto orientato al discernimento spirituale. Quando ho visto, sei anni fa, la lista, come quella presentata oggi da Padre Arnaiz, con le qualità richieste al candidato a Rettor Maggiore, ed ho visto anche il mio nome tra gli altri, ho pensato “molto bene, io non sono quello” ed ho dormito molto bene, come se avessi la coscienza tranquilla. Il giorno seguente, invece, quando ci è stato detto “questa è la lista, ma ora dovrete indicare un solo nome”, ed ho cominciato a vedere che il mio nome appariva al primo posto, allora ho cominciato a spaventarmi. Ricordo che sono andato in camera, mi sono raccolto chiedendo a me stesso: “che cos’è questo? E’ un’occasione o una tentazione? E’ un’occasione che il Signore mi offre per essere più suo, dunque questo viene da Dio e mi porta di più a Dio, oppure è una tentazione per soddisfare il mio ego, l’ansia inconscia di potere, di riconoscimento? Se fosse così, naturalmente non verrebbe da Dio e non mi porterebbe a Dio”.
Questa volta ero e sono più consapevole di cosa significa essere Rettor Maggiore. Forse, avendolo saputo sei anni fa, non avrei accettato. Oggi ho più coscienza delle grandi sfide che abbiamo come Congregazione. Sfide che provengono dal mondo, quindi esterne, provenienti dai diversi contesti sociali, economici, politici, religiosi, culturali, ma anche sfide che vengono dall’interno della stessa Congregazione.
Conoscendo sempre più la Congregazione, mi sento di amarla e di volerle sempre più bene. E la Congregazione è presente in ciascuno dei confratelli.
Tutto ciò non mi rende cieco di fronte ai grandi problemi, alle nostre grandi  debolezze e mancanze. Per questo sento veramente il bisogno di contare sulla Grazia di Dio, sulla Grazia di stato, così come ho sperimentato in questo sessennio trascorso, e faccio affidamento su di lei, altrimenti non avrei detto di si.
Sento di poter contare anche sulla corresponsabilità dei confratelli, a cominciare dal Consiglio. Posso dirvi che il gruppo che mi ha affiancato nel sessennio precedente ha dato il meglio di sé, aiutandomi ad animare e guidare la Congregazione. Abbiamo cercato di lavorare in maniera responsabile per svolgere il compito che ci era stato affidato.
Naturalmente conto molto sulla preghiera dei confratelli e sulla collaborazione interna.
Ieri, quando abbiamo iniziato il discernimento, ho cominciato io stesso a fare un processo di discernimento personale. Ho cercato di vivere intensamente la giornata senza altre occupazioni (le poche cose che vi sto dicendo le ho preparate solo questa sera), lasciandomi illuminare dall’omelia di Padre Arnaiz .
Se ricordate il padre José Maria, nell’omelia, ci invitava a riflettere su quale tipo di Rettor Maggior la Congregazione avesse bisogno oggi e, di seguito, illustrava le grandi virtù teologali.
Diceva che la Congregazione ha bisogno di un uomo
§       capace di ravvivare la fede, cioè capace di animare, ricordare la fedeltà di Dio alla Congregazione e la fedeltà che la Congregazione deve a Dio;
§       rafforzare la speranza, cioè la certezza della presenza di Dio nella storia personale, delle Ispettorie, della Congregazione, la consapevolezza che non si tratta di un compito nostro, ma un compito suo di cui ci rende collaboratori, e la convinzione, soprattutto, della vittoria del bene sul male, per non cedere alla tentazione di pensare che “il male è più forte del bene”. Non vuole essere questo un atteggiamento psicologizzante ma piuttosto una virtù teologale.
§       E finalmente, diceva il Padre Arnaiz, la Congregazione oggi ha bisogno di un uomo in grado di rianimare la carità, cioè capace di amare.
Forse uno dei doni più grandi che il Signore mi ha dato è proprio questo: voler bene a tutti, amarli, e nel contempo sentirmi molto amato.
Io mi sento molto amato, molto benvoluto dai confratelli. Sei anni fa, quando sono stato eletto Rettor Maggiore, spesso rivolgendomi ai gruppi che venivano, dicevo loro “vi voglio un mondo di bene”: forse pensavano che non conoscessi molto bene l’italiano, e quindi che non sapessi cosa significa dire “vi voglio bene”. E’ vero che non conosco ancora tanto bene l’italiano, però quando dico “vi voglio bene” significa proprio che vi voglio bene! Questo è un aspetto che molti hanno potuto sperimentare, in particolare i confratelli e i giovani.
Ieri abbiamo ricevuto anche un altro invito: coltivare una costante predilezione per i più poveri. Questa è una cosa che mi sta molto a cuore. Se desidero qualcosa in particolare, questa è “riportare la Congregazione ai giovani più  poveri” e vorrei cercare di spiegarvi il perché. C’è nel Vangelo una parabola che mi fa molta paura ed è la parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone. Racconta infatti di un momento nel quale il ricco epulone non può più passare da una parte all’altra! C’è sempre nella vita un punto di non ritorno e io avrei paura se un giorno la Congregazione arrivasse al punto del non ritorno. Questo come Congregazione, come Ispettorie e come Comunità. E’ un aspetto questo che, personalmente, mi sta molto a cuore.
Padre Arnaiz parlava, nella sua omelia, anche delle qualità umane del Rettor Maggiore di cui ha bisogno la Congregazione. Diceva che serve un uomo che offra una forte motivazione per vivere il carisma salesiano, una grande visione per camminare innanzi come chi vede l’invisibile. Non so se sapete che questo è stato il motto della mia ordinazione. Prima che fosse applicato a don Bosco, nell’attuale formulazione delle Costituzioni, nel 1973 quando sono stato ordinato, avevo scelto quella frase come motto sacerdotale: “Come se vedesse l’invisibile, rimase saldo nella fede” (Eb 11, 27).
Ancora, Padre Arnaiz, ci suggeriva di scegliere un uomo che indichi alla Congregazione una direzione, che aiuti a prendere una rotta… Tutte queste cose facevano nascere in me il pensiero: “Io non sono questo! Si sta chiedendo al Rettor Maggiore molto di più”. Mi ritrovavo invece quando alla fine elencava i consigli per il Rettor Maggiore: si ricordi, il Rettor Maggiore, che non si eleggono i migliori! Di questo sono molto consapevole. Non sono il migliore come salesiano, né il più intelligente, né colui che conosce e ama di più don Bosco. Ci sono tanti confratelli veramente santi, che spiccano per tante cose.
Sono stato eletto perché così ha voluto il Signore. Se andate a leggere nel Vangelo il racconto dell’ultimo incontro di Pietro con Gesù alla fine del capitolo 21 di Giovanni, trovate che Pietro non era affidabile, soprattutto dopo aver rinnegato Gesù per tre volte, eppure è a Pietro che Gesù affida i suoi.
Sono consapevole del fatto che il Signore sceglie quelli che vuole, coloro che sanno conciliare il sonno durante la notte. Ah questo sì! Alla sera, prima di andare a dormire la mia preghiera è sempre il testo di Luca e Matteo: “Venite a me voi che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro. Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. E questo mi libera dalla tensione con cui potrei vivere tante situazioni problematiche che ogni giorno si affacciano all’ufficio del Rettor Maggiore. Grazie a Dio dormo bene, anche se dormo poche ore, e non perché sia preoccupato, ma perché è ormai un’abitudine acquisita nella mia vita.
Dopo l’Eucaristia siamo poi venuti qui in sala e abbiamo fatto il lavoro di individuazione delle sfide che la Congregazione deve affrontare, e in quelle sfide mi sono ritrovato perfettamente: il ritorno ai giovani, il rinnovamento della nostra santità, l’approfondimento del carisma di don Bosco, l’attenzione alla formazione ed l’evangelizzazione nella diversità dei contesti. Sono più o meno alcune delle cose che avevo scritto sia nel discorso di apertura del CG26 che nella Relazione sulla visione globale della Congregazione.
Quando, invece, abbiamo fatto la lista delle qualità attese da parte dei Capitolari, ho detto dentro di me: “Molto bene, dove si trova un uomo con tutte queste qualità? Questo uomo non esiste! Meno male che i Capitolari non hanno pensato al Rettor Maggiore, ma hanno pensato a don Bosco.” E avete fatto bene: significa che il punto di riferimento è lui, e che il mio compito è cercare sempre di avvicinarmi il più possibile a lui.
Mi piace a questo punto sottolineare la circostanza in cui sono stato rieletto:  anzitutto nella  festa dell’Annunciazione del Signore,  il 25 marzo.
Questa mattina, quando dopo essermi alzato presto come al solito, ho iniziato a pregare con l’invocazione del “Regina Coeli”, (che sostituisce l’Angelus in questo periodo di Pasqua) riflettevo sull’Annunciazione e dicevo al Signore “Mi chiami di nuovo ad impersonare don Bosco in una fase storica che sarà scandita da grandi opportunità di rinascita spirituale e di slancio apostolico.”
Pensavo in primo luogo al 2009, 150° anniversario di fondazione della Congregazione salesiana. Mi sono commosso molto in questi giorni leggendo la biografia di don Rua. Quando aveva 12 anni non frequentava l’oratorio di don Bosco perché non era considerato un “ambiente troppo sicuro”. La mamma l’aveva affidato ai Fratelli delle Scuole Cristiane  e un giorno don Bosco, che spesso si recava lì, mentre ai ragazzi aveva consegnato  un’immaginetta dei Santi, a Michele Rua ripeteva semplicemente un segno strano, come a volersi tagliare la mano; segno che Michele, ovviamente,  non capiva. Finalmente, nel 1850, Michele Rua  entra all’oratorio ed inizia un particolare cammino personale. Il 26 gennaio 1855 don Bosco raduna 4 ragazzi e comincia a farli riflettere sulla vocazione. Michele Rua gli aveva già chiesto spiegazioni su quel segno famoso, e don Bosco gli aveva risposto: “Io e te dobbiamo condividere tutto a metà”. Bene, il 25 marzo 1855, la stessa data di oggi, don Bosco chiamò nella sua cameretta Michele Rua, appena giovane seminarista, e gli fece fare voti privati, senza nessun testimone.
Chi avrebbe pensato che così, praticamente, nasceva la Congregazione? Il 18 dicembre 1859 don Bosco fonda ufficialmente la Congregazione con una struttura molto chiara: un Rettore, che è lui stesso, un Prefetto che non fa eleggere, ma che nomina lui stesso, don Alasonatti (temeva infatti che i giovani non lo avrebbero eletto per cui si riservò la nomina diretta del Prefetto) e un Catechista. A quel punto lasciò ai giovani il compito di scegliere quella che lui riteneva la figura più importante, il Catechista appunto: elessero un suddiacono, Michele Rua. Subito dopo i tre membri del Consiglio, tra i quali Cagliero.
Io mi commuovo quando penso a questo don Bosco: vedo un uomo che si lasciava guidare dallo Spirito, che era convinto di una missione che il Signore gli aveva affidato, che aveva bisogno di coinvolgere altri in questa sua avventura. E notate la grandezza di don Bosco: comincia la sua opera facendo dei suoi ragazzi dei protagonisti, facendoli diventare i suoi collaboratori più significativi ed immediati. Si racconta che, all’oratorio, ci fosse un chierico con un’età maggiore di Michele Rua. E tuttavia don Bosco, avendo per lui una grande predilezione e fiducia gli aveva affidato la cura dei ragazzi interni. Gli stessi ragazzi volevano un bene grande a don Rua perché lo consideravano un’immagine vera di don Bosco. Penso che la vera grandezza di don Bosco sia stata questa: fare dei suoi ragazzi non soltanto dei collaboratori ma i suoi “confondatori”!
Per questo mi spavento un po’ quando parliamo dell’urgenza di avere vocazioni, ma non abbiamo il coraggio di fare quello che faceva il nostro Padre: mettere i giovani al centro, renderli protagonisti: ecco la grandezza e l’unità della Congregazione.
Spesso mi chiedo perché il Rettor Maggiore è così tanto amato in tutte le parti del mondo salesiano? Perché non si è divisa la Congregazione dopo 150 anni?
Perché i suoi figli, che l’hanno ereditata,  l’hanno ricevuta come un patrimonio inestimabile e sono riusciti  a impostarla così bene seguendo le orme e l’intuizione di don Bosco credendo nei giovani, rendendoli veramente protagonisti, corresponsabili non solo della propria educazione, ma capaci prendere in mano lo scenario del mondo e della storia. Era la convinzione di don Bosco: uno dei suoi ragazzi è stato il suo primo successore. Un secondo è stato il primo Vescovo e poi Cardinale, uno è stato il Santo più giovane non martire. Ecco quello che faceva don Bosco.
Proprio così. Tutto è iniziato un 25 marzo, in una data come oggi: don Bosco chiamò un giovane, Michele Rua. Chi avrebbe pensato che quell’evento avrebbe cambiato la storia di migliaia e migliaia di giovani?
Voglio leggervi questo messaggio che ho ricevuto tra le centinaia di e-mail, che stanno arrivando.
“Carissimo Rettor Maggiore, sono Piero, un ragazzo dell’oratorio di Schio (Vicenza) che ha avuto l’occasione e la fortuna di incontrarla un paio di volte. La prima quando lei è venuta nel nostro oratorio con quella visita a sorpresa dove abbiamo scambiato qualche parola, la seconda quando sono venuto a trovarla a Roma, con i miei amici del Movimento Giovanile Salesiano nel novembre del 2007, ed abbiamo mangiato allo stesso tavolo… Le scrivo anzitutto per farle le congratulazioni per la sua rielezione a Rettor Maggiore. Io non mi intendo ancora molto di Costituzioni e di cose varie, per cui quando ho letto che martedì 25 marzo, cioè oggi, ci sarebbe stata l’elezione per il successore di don Bosco ho avuto un po’ di paura: non sapevo che lei poteva anche non essere rieletto, e non essere quindi il nostro don Bosco oggi. -  Guardate come parla un ragazzo dell’oratorio.   – Per fortuna ho chiesto a un salesiano dell’oratorio che mi ha detto: “Tranquillo, stai certo che lo rieleggeranno!”. Così sono stato più sereno, fino ad oggi, quando ho visto l’annuncio sul sito del MGS. Sono contento che lei possa essere ancora la nostra guida per altri sei anni. Ho letto e sentito ultimamente il suo sempre più grande desiderio di ritornare ai giovani. Mi piace il suo lavoro e quello che sta facendo per noi ragazzi di don Bosco del terzo millennio. Le auguro di continuare così e poter sempre più agire, e far agire la sua Congregazione, come era alle origini, nell’800. C’è bisogno di questo, e io, nel mio piccolo sento il desiderio di conoscere sempre di più colui che mi ha fatto innamorare di Gesù.”
Sentite come parla di Don Bosco un ragazzo?! E’ questa la grandezza di don Bosco. Ecco perché questa circostanza dell’elezione in questo 25 marzo per me è molto significativa.
Vorrei terminare questa buonanotte dicendovi da cosa può dipendere il futuro della nostra congregazione e non solo per il prossimo sessennio.
Anzitutto da un amore a don Bosco e ai giovani che si traduca in una totale disponibilità per la missione. Totale disponibilità. E’ molto bello ricordare che, quando a un Ispettore si trovava ormai alla fine del suo mandato, don Viganò gli disse: “Vieni qui, all’UPS”; e alla fine di questo altro sessennio: “Vai ora in quella nuova Ispettoria”; e successivamente “Vai a fare il Delegato nell’altro Paese”. Questo stesso ex-ispettore quando io l’ho chiamato al telefono dicendogli “ho bisogno di te”, la risposta fu: “Mi dica dove devo andare”. “Ho bisogno di te in Turchia…” E lui: “Quando devo essere lì?”
Ecco cari Confratelli ciò che farà grande la Congregazione: la disponibilità per la missione. A tutti i livelli. Qui tra di voi ci sono alcuni che, chiamati da me come Rettor Maggiore, per dire loro che la Congregazione aveva bisogno in questa o in quella parte del mondo, hanno risposto semplicemente e con piena disponibilità: “Se il Rettor Maggiore pensa… Se don Bosco chiede…”. Più di un confratello mi ha detto: “Ho fatto tanto lavoro per la mia vita accademica, mi rendo disponibile per la Congregazione oggi; forse posso servirla più direttamente in altri modi.”  La Congregazione è stata resa grande da una  schiera di salesiani che hanno vissuto con una assoluta disponibilità per la missione.
Una seconda cosa mi sembra molto importante accanto a questo spirito di grande missionarietà: coltivare come don Bosco un’unica grande preoccupazione: quella per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Non cercare altro. La gloria di Dio e la salvezza delle anime. L’espressione che per don Bosco riassumeva tutto e che costituiva il cuore del suo slancio apostolico e missionario. Questa dovrebbe essere la missione trainante, che ogni giorno ci fa alzare al mattino e  ci spinge a lavorare instancabilmente. E così giorno dopo giorno.
Infine, un’esistenza vissuta con la consapevolezza che siamo abitati dallo Spirito; che siamo chiamati a vivere intensamente la spiritualità salesiana; quella stessa spiritualità che è stata così feconda nella nostra storia. Sarebbe sufficiente infatti ricordare quanti membri della Famiglia Salesiana, proprio vivendo questa spiritualità, hanno raggiunto la santità.
Ecco quanto volevo dirvi, Cari Confratelli. Vi ringrazio di cuore e vi auguro “Buonanotte”.
 
Roma, 25 marzo 2008
 
Don Pascual Ch√°vez Villanueva
Rettor Maggiore
don Pascual Ch√°vez Villanueva
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