Condivisibile nello scopo, sbagliata nel modo. E' questo in sintesi il giudizio sulla legge anti-burqa entrata in vigore l'11 aprile in Francia fra mille polemiche e provocazioni aperte. La legge francese è sbagliata perché fa una pericolosa confusione tra religione e abbigliamento.
del 12 aprile 2011
 
            Condivisibile nello scopo, sbagliata nel modo. E’ questo in sintesi il giudizio sulla legge anti-burqa entrata in vigore l’11 aprile in Francia fra mille polemiche e provocazioni aperte. Circa 60 donne islamiche con burqa e niqab (i due indumenti che coprono la faccia lasciando visibili solo gli occhi) hanno infatti sfidato il divieto manifestando davanti alla cattedrale di Notre Dame a Parigi e facendosi fermare dalla polizia: “non per il burqa ma per manifestazione non autorizzata”, come ha precisato la polizia.
          Come dicevamo, la legge è condivisibile nel vietare indumenti e copricapi che non permettono l’identificazione della persona. Ci sono motivi di sicurezza che rendono più che giustificato questo divieto. Tanto è vero che la stessa legge francese entrata in vigore l’11 aprile, estende il divieto a indossare in pubblico altri copricapi – casco, passamontagna, e così via – che hanno effetto analogo al burqa. Il punto è semplice: se lo Stato pretende dai suoi cittadini che, per motivi di sicurezza, vadano in giro a volto scoperto, non si capisce perché questo non debba valere anche per le minoranze presenti. Ad esempio, in Italia è una legge del 1975 (la no. 152) a porre questo divieto, e ora in Parlamento giacciono diversi progetti di legge che pretendono di includere o escludere esplicitamente il burqa e il niqab in questa normativa.
          Se questo è vero, allora perché la legge francese sarebbe sbagliata nel metodo?
          Perché fa una pericolosa confusione tra religione e abbigliamento. Il governo francese già nel 2004 aveva bandito dalla scuola ogni tipo di segno di riconoscimento esteriore dell’appartenenza a una religione. Ora, la legge anti-burqa, anche se in modo più sfumato, prosegue questa tradizione “laicista”, identificando burqa e niqab come abiti derivanti dalla legge islamica. Ma tutto ciò è sbagliato: il velo integrale non ha niente a che vedere con il Corano, è una tradizione di alcune zone circoscritte, che i movimenti fondamentalisti islamici hanno rilanciato e tentano di imporre a tutti. Per questo in Italia il Comitato per l’islam italiano – in un documento di alcuni mesi fa – invita i parlamentari a “deconfessionalizzare” la questione del burqa, riportandola entro i confini delle disposizioni in materia di sicurezza e ordine pubblico.
          Colpire il burqa in quanto islamico, oltre ad affermare una cosa non vera, è una sorta di dichiarazione di guerra – a torto o a ragione - contro una religione. In un paese coma la Francia, dove gli islamici sono intorno ai 5 milioni, si tratta di un’operazione molto rischiosa.
          Ma è anche la dimostrazione che il “laicismo”, chiuso com’è nella sua comprensione ideologica, è incapace di guardare e comprendere la realtà.
 
Riccardo Cascioli
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