Il coraggio è una virtù apprezzata da tutti. Don Bosco non aveva paura a chiamare i suoi giovani a imprese coraggiose. Mandò i migliori dei suoi, proprio quelli sui quali contava di più, a curare i malati di colera, nel momento in cui il contagio dilagava e i malati morivano come mosche.
del 24 marzo 2011
 
           Il coraggio è una virtù apprezzata da tutti. Non si tratta di un istinto, ma di una qualità della mente e di una virtù conquistabile, che Tommaso d’Aquino chiama “forza della mente” (fortitudo mentis). 
«Forte» è proprio il secondo consiglio che Maria Santissima dà a Giovannino Bosco. Don Lemoyne annota: «Dalla madre egli prese anche un carattere franco, aperto e coraggioso».
Qualcosa per cui val la pena combattere
          Si racconta la storia di un uomo che muore e va in cielo. Quando incontra l’angelo addetto all’accoglienza, gli viene chiesto: «Mostrami le tue ferite». Replica: «Ferite? Non ne ho». E l’angelo gli dice: «Non hai mai pensato che ci fosse qualcosa per cui valesse la pena di combattere?».
          Il coraggio è soprattutto la virtù del guerriero che osa rischiare di venire ferito in combattimento. Il coraggio ci rende decisi: bisogna rischiare. I forti conquistano il Regno di Dio, dice Gesù. Come segno distintivo, il Rsorto mostra le sue ferite. 
          Quante ferite aveva don Bosco? Non aveva paura di niente quando si trattava del bene dei giovani. 
          «Sarei disposto per ottener questo a strisciar colla lingua per terra di qui fino a Superga. È uno sproposito, ma io sarei disposto a farlo. La mia lingua andrebbe a pezzi, ma importa niente: io allora avrei tanti giovani santi». (Memorie Biografiche, VII, 682) 
Diceva: «Vi assicuro che fino al mio ultimo respiro tutto sarà per voi». Ed è stato così! 
          Il bollettino medico, alla fine della vita, attesterà semplicemente che il fisico di don Bosco era letteralmente consumato. 
          Don Bosco agiva sempre a testa alta con tutti. Anche con la potente marchesa di Barolo, il re, Cavour e il vescovo. Non vacillò mai, neppure davanti alle molteplici “brutte” sorprese.
          Non si preoccupò mai di “che cosa poteva dire la gente”: «Io vidi un giorno don Bosco lasciare don Rua e me, che lo accompagnavamo, per aiutare un giovane muratore a trascinare un carretto sovraccarico, davanti a cui si sentiva impotente e lo dimostrava piangendo, e questo in una delle principali vie della città» testimonia don Dalmazzo. 
L’audacia proposta ai giovani
          Un tempo, la cresima prevedeva ancora uno schiaffetto in faccia da parte del vescovo. Veniva presentata come il sacramento del coraggio, che prepara a soffrire per la fede. Don Bosco non esitò mai a proporre ai suoi giovani esperienze “di punta” di rara audacia che sorprendono per la loro strabiliante modernità.  
          L’eccezione, come esperienza del nuovo, del sorprendente. Basta con la mediocrità! Don Bosco non aveva paura a chiamare i suoi giovani a imprese coraggiose. Mandò i migliori dei suoi, proprio quelli sui quali contava di più, a curare i malati di colera, nel momento in cui il contagio dilagava e i malati morivano come mosche. Tra essi c’era Giovanni Anfossi. Anfossi aveva 14 anni! Propose la vita religiosa ad un gruppo di adolescenti e la santità a dei ragazzi. 
          La regola, come esperienza della perseveranza, del quotidiano, del limite. L’“Esercizio della Buona Morte” è un capolavoro pedagogico: il modo più serio di mettere i ragazzi di fronte al senso del limite. Nell’Oratorio esisteva un “regolamento” e i ragazzi erano invitati ad autoregolarsi, perché l’impegno di don Bosco era tutto per aiutarli a costruirsi una coscienza retta, una spina dorsale personale. E non solo per il campo spirituale: nel tempo in cui Marx scrive il Manifesto, don Bosco scrive il primo contratto di apprendistato. 
          L’esemplarità, come esperienza di proposte convincenti, di modelli di riferimento. Don Bosco proponeva continuamente le figure di santi e di personaggi biblici, ma soprattutto chiedeva ai suoi ragazzi di trasformarsi in “modello” per i loro compagni. I soci della Compagnia dell’Immacolata curavano particolarmente gli indisciplinati, quelli che avevano la parolaccia facile e menavano le mani, e i nuovi arrivati. Ogni socio ne prendeva in consegna uno e gli faceva da “angelo custode”.  
          Il sogno, come esperienza di prefigurazione del futuro. Don Bosco era una persona molto pratica eppure pilotava di continuo i suoi giovani in un regno fatto di possibilità, di fantasia, di sfrenata creatività! Lo faceva con il racconto dei suoi sogni, ma soprattutto con il dono unico che possedeva: la visione, era dotato di “occhi diversi” che vedevano chiaramente ciò che ancora non esisteva, intuiva direzioni e mete che si trasformavano in carica vitale ed entusiasmo.  
          La trasgressione, come coraggio di rompere gli schemi, come esperienza del rischio, dell’imprevisto, dell’avventura. Don Bosco non esitò mai ad andare controcorrente. Nel 1849 affidò tutti i soldi della comunità di Valdocco a Giuseppe Buzzetti, allora diciassettenne. A chi gli chiedeva quale divisa avrebbe voluto per i membri della sua Congregazione rispose: «Voglio che vadano tutti in maniche di camicia, come i garzoni muratori». Appena poté lanciò i suoi nell’avventura esaltante delle missioni. 
          Un premio dell’altro mondo. Scrisse don Alberto Caviglia: “A svolgere le pagine che riportano parole e discorsi di don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch’egli ripeteva in ogni circostanza come argomento animatore supremo di ogni attività nel bene e di ogni sopportazione delle avversità”. Il Paradiso: un premio dell’altro mondo! 
          Papa Giovanni Paolo II è stato certamente un uomo coraggioso, senza paura di niente o di nessuno. Ci ha invitato a essere coraggiosi nella Novo millennio ineunte. Il ritornello è «prendere il largo».  
          Don Bosco nel sogno della zattera dice ai giovani: «Saltate su e non abbiate paura!». E quella zattera diventa come l’Arca di Noè, come la barca dei discepoli di Gesù nella tempesta sul lago.  
          «Quando tutti furono sulla barca, continua don Bosco, presi il comando di capitano e dissi ai giovani: “Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei confida: mettiamoci tutti sotto il suo manto; Ella ci scamperà dai pericoli e ci guiderà a porto tranquillo”».                          
 
Bruno Ferrero
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