Con tutto il popolo di Dio siamo titolari del sacerdozio comune per il mondo; all'interno della Chiesa, cioè all'interno del «popolo sacerdotale», siamo titolari del sacerdozio ministeriale. Non è che il nostro sacerdozio ministeriale non abbia nulla a che fare con il mondo. Voglio solo sottolineare una priorità.
del 01 gennaio 2002
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Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale.
Con tutto il popolo di Dio siamo titolari del sacerdozio comune per il mondo; all'interno della Chiesa, cioè all'interno del «popolo sacerdotale», siamo titolari del sacerdozio ministeriale. Non è che il nostro sacerdozio ministeriale non abbia nulla a che fare con il mondo. Voglio solo sottolineare una priorità.
Il sacerdozio ministeriale ha una forza grandissima, eccezionale all'interno della Chiesa. All'interno del sacerdozio comune, il nostro sacerdozio ministeriale ha il compito di vivificare la coscienza comune dei fedeli. Infatti, se non ci fosse il sacerdozio ministeriale, il sacerdozio comune dei fedeli si ripiegherebbe, si atrofizzerebbe, si avvilupperebbe su se stesso e si morderebbe la coda; il sacerdozio comune sarebbe destinato ad un essiccamento progressivo se Gesù Cristo non avesse scelto, in mezzo al popolo sacerdotale, alcune persone che partecipano in un modo vicino, in un modo diverso, in un modo nuovo, del suo sacerdozio.
Ecco allora il nostro compito all'interno della Chiesa.
Come ho già detto, lo voglio risottolineare: la Chiesa, l'eucaristia, il sacerdozio, il nostro sacerdozio ministeriale, sono nati insieme, nella stessa notte, nella stessa casa, nella stessa cena; sono nati nello stesso parto, con le stesse doglie.
Ministri della parola e dei sacramenti, testimoni della comunione.
Gesù ha istituito il sacerdozio ministeriale perché il popolo di Dio possa vivere in pienezza la sua dimensione sacerdotale. Perciò ci ha costituiti ministri della Parola: perché noi, pronunciando la Parola di Dio, potessimo sollecitare tutto il popolo sacerdotale alla sua missione, al suo compito. La Parola di Dio è efficace e produce ciò che dice: «Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue». La celebrazione dei sacramenti va inquadrata all'interno del ministero della Parola: è il momento vertice in cui la Parola diventa efficace, produce ciò che dice.
Parola e sacramenti: se non ci fosse la Parola di Dio il popolo cristiano non potrebbe nutrirsi. Se non ci fossero i sacramenti, per i quali noi siamo in modo particolare abilitati, il popolo di Dio morirebbe di fame come nel deserto.
Oltre la Parola e i sacramenti c'è la testimonianza con cui dobbiamo sorreggere il popolo cristiano e stimolare la coscienza della grande vocazione a cui Dio ha chiamato la sua Chiesa. È soprattutto la testimonianza della comunione. Il presbiterio deve essere una comunità di fratelli così in sintonia tra di loro da costituire la primizia e il modello della più ampia comunità ecclesiale.
Su questo vorrei fermarmi un momento perché mi sembra una cosa importante. La Chiesa è «propaggine della santissima Trinità», potremmo dire è l'agenzia periferica della santissima Trinità. Sulla santissima Trinità, comunione di persone uguali e distinte che vivono così intensamente la comunione da formare un solo Dio, è modellata la Chiesa sulla terra: più persone uguali e distinte che formano un solo uomo, l'uomo nuovo Cristo Gesù.
La Chiesa è chiamata a vivere la comunione.
La Chiesa è la primizia, il modello di quello che un giorno dovrà essere il mondo, secondo il progetto di Dio. Come Chiesa, noi dovremmo costituire la primizia, l'anticipazione, il modello di come Dio vuole che sia il mondo. È un compito straordinario che ci sovrasta, un compito che dovrebbe farci tremare, perché tutti ci sentiamo in difetto rispetto a questa missione che ci è stata affidata.
Noi comunità presbiterale dovremmo esprimere, all'interno della Chiesa, una forza di comunione incredibile. Presbiteri di una Chiesa locale, dovremmo formare una comunità di fratelli per offrire un modello a tutto il popolo di Dio, per essere la primizia di quello che deve essere la Chiesa. Dovremmo essere capaci di esprimere una comunione forte attorno al nostro vescovo, nelle nostre Chiese locali.
Credo che, oltre la Parola, oltre la celebrazione dei sacramenti, oltre alla testimonianza in genere, questa testimonianza specifica di comunione sia lo strumento attraverso il quale noi possiamo esprimere il nostro essere presbiteri per la Chiesa.
Presbiterio modello di comunione.
Quale responsabilità!
Non può fiorire il frutto della comunione all'interno delle nostre Chiese se non sboccia prima, turgida di freschezza e di promesse, la gemma della comunione presbiterale. Non illudiamoci: non possiamo pretendere che ci sia una comunione forte attorno a Gesù Cristo e attorno al vescovo all'interno delle nostre comunità diocesane, se non offriamo questo modello, questa primizia, all'interno del nostro presbiterio. Se non spunta la gemma della comunione presbiterale, se una gelata la brucia, se una malattia ne intacca la potenzialità di sviluppo, il frutto della comunione non potrà mai maturare. Nel migliore dei casi potrà solo ingrossare corroso internamente dai vermi.
Potremmo avere anche delle Chiese super organizzate, delle Chiese efficienti, delle Chiese prese dall'ansia della metropoli più che dall'impazienza di Dio, però sarebbero come quei frutti che di fuori sembrano carnosi, ma se li apri vedi che all'interno sono corrosi dai vermi.
Attenzione: qui non si scherza davvero.
Non è in gioco la nostra efficienza aziendale. Se sottolineo la necessità di sentirsi presbiterio in comunione, che sa superare certe divaricazioni di pensiero, di impostazione pastorale, di metodologie, non lo faccio perché sia in gioco la nostra efficienza aziendale: è in gioco la nostra «esistenza teologica».
Se il vostro vescovo vi esorta ad essere uniti, a volervi bene, non è semplicemente perché l'unione fa la forza, non è per il fatto che stando insieme si vive meglio. Se uno tira a destra e uno tira a sinistra e uno va per prati, certo si è disorganizzati, ma non è in gioco solo la nostra efficienza; è in gioco la nostra esistenza teologica.
Perdonate se insisto su questo versante. Qualcuno forse preferirebbe che insistessi sul servizio della Parola o sul servizio delle celebrazioni sacramentali, ma su questo piano non mi pare ci siano molte slabbrature, molte crepe. Oltre che sulla Parola e i sacramenti, dobbiamo insistere sulla testimonianza. Davvero dovremo mettere a fuoco in modo particolare la testimonianza della comunione, la testimonianza del nostro essere presbiterio, cementato dalla Parola di Dio, compattato attorno all'altare; presbiterio in cui ognuno vuole bene all'altro, in cui sappiamo lavarci i piedi gli uni gli altri, come dice Gesù.
Servire prima dentro il presbiterio.
Quello della lavanda dei piedi noi l'abbiamo preso come un invito rivolto da Gesù alla Chiesa perché vada a lavare i piedi al mondo, perché tutti, armati di brocca, catino e asciugatoio, si vada a lavare i piedi al tossico, al marocchino, alla prostituta, agli emarginati. Brocca, catino e asciugatoio, strumenti del servizio, non vanno collocati fuori della Chiesa, perché, uscendo dalle nostre liturgie, si vada a lavare i piedi al mondo, agli altri. Vanno posti all'interno del presbiterio, perché Gesù ha detto ai suoi apostoli: «Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». C'è in questa espressione di Gesù tutto il suo desiderio, tutta la sua preoccupazione per una comunione presbiterale all'interno del gruppo dei suoi apostoli, una comunione profonda che noi dobbiamo riscoprire, mettendoci al servizio gli uni degli altri.
Ne va di mezzo la salvezza del mondo: se noi, presbiterio, noi che siamo più a contatto con l'eucaristia, non viviamo veramente la comunione, non offriamo una plausibile riproduzione della Trinità, se non siamo noi la prima propaggine della Trinità, il popolo di Dio che dovrebbe modellarsi su di noi non potrà che essere una Chiesa falsata, una Chiesa sbilenca, con delle spaccature sotterranee o visibili, una Chiesa che magari ha sul dorso un mantello che sembra «inconsùtile», ma è lacerata, è spaccata. E che propaggine della Trinità sarebbe una Chiesa spaccata? E che primizia del mondo potrebbe essere?
Faremmo fare brutta figura al Titolare... della ditta, perché il mondo dirà: «Siete voi il modello su cui Dio vuole che il mondo intero si compatti? Non ci teniamo a essere così”.
Essere sacerdoti insieme a tutta la Chiesa per il mondo, inviati al mondo, è un compito davvero eccezionale, un compito che non dovrebbe lasciarci chiuder occhio.
Anche come sacerdoti all'interno della Chiesa siamo caricati di una responsabilità eccezionale. Non si tratta soltanto di predicare la Parola e di predicarla magari in modo affascinante, non si tratta di essere preparatissimi sulla Scrittura, non si tratta di celebrare magari delle liturgie coinvolgenti, si tratta di dare questa testimonianza. Guai se proclamiamo la Parola, se spezziamo il pane dell'eucaristia, ma poi ognuno vive per conto proprio, mortificandoci a vicenda, coltivando piccole invidie, piccoli rancori, dissociandoci anche dall'impostazione pastorale dei nostri pastori, vivendo all'interno stesso dei nostri presbiteri la contraddizione, la fuga, la disaffezione reciproca, senza slanci di amicizia e senza le umane tenerezze che il mondo stesso ci insegna.
Lo «scrupolo» della comunione.
Siamo davvero titolari di una missione incredibile che dobbiamo riscoprire, nella preghiera e nell'ascolto della Parola di Dio. Noi per primi dobbiamo lasciarci interrogare dalla Parola che annunciamo, dobbiamo lasciarci nutrire dal corpo e dal sangue di Gesù che celebriamo.
Dovremmo avvertirne la provocazione continua, lo scrupolo: i latini chiamavano così il sassolino che entrava nella scarpa e dava fastidio lungo il cammino: scrupulum. La Parola che annunciamo, che ascoltiamo, che leggiamo, i sacramenti che celebriamo, dovrebbero mettere dentro di noi una salutare inquietudine, dovrebbero essere come una spina nel fianco. Uno stimolo continuo al superamento di noi stessi. Ma soprattutto uno stimolo perché noi si viva il mistero della comunione. Della comunione non soltanto teologica e della comunione ecclesiale, ma anche della comunione pastorale, quella cioè che si sviluppa sui versanti concreti della vita di ogni giorno, della ferialità.
Una volta tornati all'interno delle nostre Chiese locali, il Signore ci metta nel cuore il bisogno di sentirci tutt'uno con tutti i nostri fratelli sacerdoti. Carissimi presbiteri qui presenti, forse la Madonna vi offre questo incarico: ricercate tutti i vostri confratelli sacerdoti, quando vedete che qualcuno fra loro è un po' sbandato, che non tutti si vogliono bene l'un l'altro. Rischiate anche qualche cosa di voi pur di ricompattarli insieme, pur di metterli insieme con il vescovo. Perché se noi diamo un'immagine sbagliata alla Chiesa locale e se la Chiesa dà un'immagine sbagliata di fronte al mondo, se ne vanno a ruzzoloni tutte le considerazioni che stiamo facendo e tutti i temi spirituali che possono suggerirci i vescovi, o il papa, o altri predicatori.
Preghiera per sentirsi famiglia.
Una preghiera deve scaturire nel nostro cuore. Vorrei invitare tutti a pregare con me:
Donaci, Signore, il gusto di sentirci famiglia attorno al nostro vescovo, di sentirci presbiterio, di sentirci protesi verso un'unica missione. Donaci la gioia di sentirci sacerdoti per la Chiesa, perché se noi non viviamo il nostro sacerdozio ministeriale in perfetta comunione tra di noi, la nostra Chiesa non può vivere tutta intera il suo sacerdozio comune e allora sarà inefficiente per il mondo, come se non ci fosse.
Donaci, Signore, il gusto di sentirci estroversi con tutta la nostra Chiesa locale, di sentirci estroversi, rivolti cioè verso il mondo, che non è una specie di Chiesa mancata ma è l'oggetto ultimo del tuo incontenibile amore.
Mettici le ali ai piedi perché, come Maria, siamo sacerdoti per il mondo e «raggiungiamo in fretta la città». E, come Maria, siamo sacerdoti per la Chiesa, nella cerchia dei poveri di Jhwh, dei suoi amici, di coloro che vivono forti esperienze di fede, come quando, «entrata nella casa di Zaccaria, Maria salutò Elisabetta».
Mettici le ali ai piedi perché, come Maria, possiamo “raggiungere in fretta la città», la città terrena, quella che tu ami appassionatamente, la nostra città - Molfetta, Livorno, Roma, Reggio - che non è il ripostiglio di rifiuti, ma il partner benedetto con cui dobbiamo agonizzare perché giunga a compimento l'opera della tua redenzione.
Amen.
Tonino Bello.
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