Cap I. - IN FAMIGLIA.

Cap I. - IN FAMIGLIA.

da Don Bosco

del 14 dicembre 2011

Nella vita spirituale trasvolano momenti di grazia, in cui l'anima ha intuizioni improvvise, rapide e salutari. Improvvise diciamo quanto all'atto in se stesso della facoltà conoscitiva; ma, sebbene lo Spirito spiri dove vuole, tuttavia, ordinariamente parlando, in cose di tal genere quel percepire immediato e sicuro suole presupporre preparazioni interiori più o meno lunghe, più o meno avvertite, consistenti soprattutto nella fedele corrispondenza ai doni soprannaturali.

Fanciullo undicenne, Giovannino Bosco ebbe uno di questi lampi rivelatori. Per arcane inclinazioni del cuore affezionatosi a un degno sacerdote e messosi con filiale confidenza nelle sue mani, da quella scuola di corta durata riportò un durevole insegnamento: capì essere buono per l'anima «fare ogni giorno una breve meditazione». Due frutti colse da questa chiara visione: «gustare che cosa sia vita spirituale» e non agire più come prima, cioè «piuttosto materialmente e come macchina, che fa una cosa senza saperne la ragione».

Così scrisse egli stesso in certe sue 'Memorie' stese per ordine di Pio IX a vantaggio de' suoi figli. Ma nel luogo qui citato non dobbiamo sorvolare su due parolette assai significative, sfuggitegli dalla penna. Una è là dove dice che cominciò non a conoscere od a sperimentare, ma addirittura a «gustare che cosa sia vita spirituale».

Ecco lo squisito dono della sapienza, che san Bernardo chiama «saporosa cognizione» delle cose divine. Questo dono dello Spirito Santo è veramente un gusto soprannaturale che fa assaporare le cose divine «per una specie di arcana connaturalità o simpatia». L'altra paroletta rivelatrice è in quell'agire di prima «piuttosto materialmente». É ben notevole il «piuttosto», che attenua l'avverbio vicino.

Dunque c'era già nel piccolo l'idea della spiritualità, vaga e indeterminata quanto si voglia, ma pur distinta da ciò che è materialità nell'operare. La cosa poi che maggiormente ci colpisce si è il vedere in età si tenera la nozione precoce della forma di pietà che dovrà essere la sua e de' suoi: armonico accordo di ora et labora, ossia l'orazione anima dell'azione.

Prima d'allora aveva appreso dalla madre l'amore alla preghiera. Nella famiglia rurale piemontese del buon tempo antico il costume cristiano, serbandosi inviolato attraverso infiltrazioni forestiere, si perpetuava pacificamente di generazione in generazione intorno al vecchio focolare, testimonio come di gioie intime e semplici e feconde, così delle comuni preci quotidiane, con cui genti laboriose e oneste chiudevano le loro giornate, recitando il rosario dinanzi all'immagine della Vergine Consolatrice.

La casa meritava davvero il nome di santuario domestico. In ambiente così sano una donna d'alti sensi, quale ci consta essere stata la madre di Giovanni, era maestra insuperabile di religiosità vissuta, massime quando, come nel caso nostro, alla forza educativa dell'esempio poteva unire la comunicativa efficacia della parola.

Sappiamo infatti che con la spontaneità propria del linguaggio materno essa gli venne instillando fin da piccino il sentimento vivo della presenza di Dio, la candida ammirazione delle opere sue nel creato, la gratitudine per i suoi benefici, la conformità a' suoi voleri, il timore di offenderlo. Mai forse scuola di madre incontrò natura più docile di figlio a riceverne gli ammaestramenti.

Così allorché dall'umile casolare nativo il fanciullo cominciò ad ascendere alla Casa santa del Signore, anche le ascensioni infantili del cuore presero slanci nuovi verso le cose celesti. Il seguito della sua vita mirabile ci fa arditi di applicare a lui le parole dell’Ecclesiastico: Ancora giovinetto, prima d'inciampare in errore, io cercai la sapienza con l'orazione. Io la domandava dinanzi al tempio, ed ella fiorì in me di buon'ora, come l'uva primaticcia.

Nei di festivi i divini uffici, a cui andava sempre con gioia e assisteva con divozione, lo infervoravano talmente, che l'impressione soave gli vibrava nell'anima per tutta la settimana. Abbondano infatti le testimonianze di persone che lo conobbero fanciullo e che deposero come durante le sue occupazioncelle campestri, a cui fu avviato per tempo, egli prorompesse sovente in preghiere e della sua voce argentina facesse echeggiare il colle solitario col canto di laudi sacre. Allestiva pure altarini, come sogliono i piccoli, ornandovi di fiori e frondi l'immagine della Madonna, ma, come non sogliono altri della sua età, chiamandovi quanti più poteva compagni a pregare, a cantare, a imitare divotamente le cerimonie vedute nella chiesa.

Lo attraeva la parola di Dio. A catechismi e a prediche non perdeva sillaba. Poi ogni occasione era buona per radunar gente e montare sopra una panca e nell'umile vestire del contadinello, ma con fedeltà di memoria e con piena padronanza di sé rifare i sermoni domenicali del pievano o narrare fatti edificanti appresi e tenuti in serbo a tale intento. Né tralasciava d'intercalarvi preghiere e, se ne fosse l'ora, faceva anche dire alla piccola turba di villici le orazioni della sera.

Tanto zelo di bene veniva nel fanciullo suscitato e avvivato dal suo filiale affetto a Dio. Questo affetto già in si tenera età ne moveva il cuore non solo ad amare Dio, tenendolo a Dio unito con dolce e sempre più stretto vincolo d'amore, ma anche a desiderare di vederlo amato e di contribuire a farlo amare.

Mezzo efficacissimo per promuovere tale unione si considera dai maestri della vita spirituale la mortificazione cristiana, che è il morire a se stesso per vivere della vita di Gesù Cristo in Dio. Ora le anime, che verso Dio si sentono più fortemente trasportate, si danno alla mortificazione quasi per irresistibile istinto d'amore.

Al vedere i Santi gioire fra volontarie privazioni e sofferenze, il mondo ignaro si chiede trasognato: - Ut quid perditio haec? a che pro tanto sprezzo di beni e agi materiali? - La risposta è antica quanto la domanda; la diede da gran tempo san Paolo: Quei che sono di Cristo, hanno crocifisso la loro carne. I risorti con Cristo alla vita dello Spirito sacrificano volentieri la carne per vivere secondo lo Spirito. L'esperienza poi insegna che di li sviluppasi lo spirito di preghiera, come di li procede buona fecondità di azione.

Ed ecco che il piccolo Giovanni aveva già spontaneamente compreso questo gran segreto della perfezione cristiana prima ancora d'imbattersi nel sacerdote che gl'insegnò a meditare; infatti scrive nelle prelodate 'Memorie': «Fra le altre cose, mi proibì tosto una penitenza che io era solito fare, non adattata alla mia età e condizione». Lo incoraggiò invece a frequentare i sacramenti della penitenza e dell'eucaristia.

L'anno innanzi al felice incontro, egli aveva fatto la prima Comunione. La fece dunque a dieci anni. Ci volle uno strappo bell'e buono alla rigida consuetudine di non ammettervi nessuno prima dei dodici o quattordici anni; ma stavolta il comunicandosi presentava alla sacra mensa così ben preparato, che il parroco chiuse un occhio. Giovannino vi si preparò confessandosi tre volte e poi in tutto quel giorno benedetto non si occupò di alcun lavoro materiale, ma solo in leggere libri divoti. Scriverà poi nelle citate 'Memorie': «Mi pare che da quel giorno vi sia stato qualche miglioramento nella mia vita».

Purtroppo però la santa e fruttuosa familiarità col degno ministro di Dio, che lo istradava bel bello alla pietà e al sapere, gli fu bruscamente troncata dalla morte. Dure prove attendevano il caro figliuolo di Margherita. Fino allora tutto casa e chiesa, dovette andarsene dal tetto materno e ridursi sotto un padrone a servire quale garzoncello di campagna. Ricco d'ingegno e straricco di memoria, si vide costretto a logorare si promettenti energie nei grossolani lavori della terra. Dio voleva così, perché innalzasse un edificio di sode virtù sulla sicura base dell'umiltà. Confesserà più tardi che ne sentiva il bisogno.

La preghiera gli era alimento e conforto. La preghiera, e qualcos'altro. Ogni sabato chiedeva rispettosamente licenza ai suoi padroni di recarsi la mattina dopo a una borgata distante un'ora di strada per ascoltarvi la prima messa, che vi si celebrava per tempissimo. Perché tanta premura, se più tardi interveniva sempre alla messa parrocchiale e alle altre funzioni? Andava là di buon mattino per confessarsi e fare là santa comunione. Perseverò così tutte le domeniche e feste per due anni interi. Gran cosa per un fanciullo sbalestrato lungi dai suoi e in quelle condizioni di vita e non certo animato a tanto da esempi o suggerimenti altrui.

Si grande amore per Gesù Sacramentato è segno manifesto di non comune avanzamento nello spirito di preghiera. Le interne disposizioni indotte nell'animo da tale spirito si rivelano poi di leggieri nella condotta, negli atteggiamenti e nelle parole di un giovane. Le prove fornite nei processi dai superstiti della famiglia, presso cui il caro garzoncello prestava servizio, non lasciano luogo a dubbio di sorta sul suo conto per questo riguardo.

Essi non avevano mai non pure avuto, ma neanche immaginato un servitore così obbediente, laborioso ed esemplare. In casa si adempivano i doveri del buon cristiano con la regolarità delle inveterate consuetudini domestiche, tenaci sempre nelle famiglie campagnuole, tenacissime a quei tempi di vita sanamente paesana; il servitorello però d'ordinario pregava in ginocchio, pregava più spesso degli altri, pregava a lungo.

Fuori di casa, mentre guardava le mucche al pascolo, fu trovato ora raccolto in preghiera, ora concentrato nella lettura del catechismo, suo libro di meditazione; una volta fu visto in ginocchio, immote, a capo scopèrto, sotto la sferza del sole, così assorto che, chiamato ripetutamente, non die' segnò cf'intendere, e quando venne scosso e ammonito di non dormire al sole, rispose che non dormiva.

Un giorno il vecchio capo di casa, rientrando stanco dalla campagna, e scorto il giovinetto che inginocchiato diceva tranquillamente l'Angelus, se n'adontò e gliene mosse lamento, quasi che dimenticasse il lavoro per pensare, diceva, al paradiso. Giovanni, finita divotamente la prece, gli rispose con rispetto avvicinandosi: - Sapete bene, se io mi risparmio. Certamente però si guadagna più a pregare che a lavorare. Pregando, si seminano due grani, e nascono quattro spighe; non pregando, quattro grani si seminano, ma due sole spighe si mietono.

Penetrato da tali sentimenti, qual meraviglia se, come ne fecero fede testimoni oculari, osservavasi in lui calma di modi, eguaglianza di umore, senno di osservazioni, riserbo nel tratto, aborrimento da tutto quanto potesse, non che appannare il candore dell'anima, sembrare anche solo disdicevole a giovinetto schiettamente cristiano? Né trascurava colà di adoperarsi a bene dei fanciulli, divertendoli, catechizzandoli, conducendoli a pregare.

Quel tal parroco, da cui andava a confessarsi le domeniche, piangeva di consolazione al vedere come, grazie alle industrie di un povero garzoncello, rifiorisse la pietà nella porzione più eletta del suo gregge. Il fatto sta che, dopo la partenza del piccolo apostolo, l'ottimo pastore non ebbe che da continuare egli stesso quelle adunanze per crearsi un vero oratorio festivo.

Di Domenico Savio dodicenne san Giovanni Bosco scriverà di essere rimasto «non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva già operato in così tenera età».6 Il medesimo sentimento sorge in noi nel riandare, su testimonianze giurate di contemporanei e di conterranei, tutta la condotta di Giovannino Bosco.

Giovanni partì di là, perché giorno e notte lo assillava il pensiero degli studi; ma la via crucis fu ancora lunga e dolorosa. Nello scoraggiante avvicendarsi di speranze e di delusioni egli esperimentò, più che mai per l'innanzi, l'efficacia dell'esortazione di san Bernardo: Respice stellam, voca Mariam. Aveva succhiata col latte la divozione a Maria Santissima. In circostanze solenni e in momenti critici la madre gli raccomandava: - Sii divoto di Maria! A mano a mano che approfondiva il conoscimento delle cose divine, gustava sempre meglio la dolcezza di questa divozione, fatta di assoluta confidenza e di filiale amore, tanto predicata e praticata dai Santi, tanto cara alle anime pie.

Una solinga chiesetta dedicata alla Vergine sull'alto del colle che domina Castelnuovo, divenne allora per lui meta di frequenti visite. Si recava lassù o da solo o più spesso in compagnia di giovani amici. Dei quali pellegrinaggi fatti nella sua prima adolescenza al santuarietto mariano egli portò indelebilmente scolpito in mente il ricordo, tanto che sul declinare degli anni, ripensandovi, s'inteneriva.

Prima di addentrarci nel nostro qualsiasi studio, sembra opportuno aprire una breve parentesi per fissare chiaramente il concetto fondamentale di preghiera. Che nella vita cristiana la preghiera sia di suprema necessità, nessuno lo metterà mai ragionevolmente in dubbio; quindi è che san Paolo, scrivendo a Timoteo, gliela raccomanda primum omnium, prima di tutto. La preghiera poi è stato ed è atto. Come stato, essa consiste nell'orazione, continua voluta dal medesimo Apostolo, quando dice: Sine intermissione orate. Non si può certo stare sempre attualmente fissi in Dio, ma si sta sempre nella disposizione della preghiera mercè l'abito della carità; l'anima del giusto, possedendo la grazia santificante, e perciò presentando in sé la condizione richiesta affinché si avverino le parole di Gesù: Verremo da lui e faremo dimora presso di lui, riceve dalle tre Persone della Santissima Trinità con la loro presenza la comunicazione della loro vita, sicché allora si prega veramente senza interruzione.

Della preghiera così intesa, oltre agli stati ordinari e comuni, vi sono stati elevatissimi e di pochi, stati mistici, stati di puro privilegio. Come atto, la preghiera prende quattro forme, come c'insinua il medesimo san Paolo, dove inculca a Timoteo di fare obsecrationes, orationes, postulationes, gratiarum actiones; cioè, suppliche o preghiere di domanda per noi, orazioni o preghiere di adorazione, voti o preghiere di domanda per gli altri, e ringraziamenti per i benefici ricevuti. La teologia della preghiera si riduce sostanzialmente tutta qui. Vedere in qual modo l'abbiano vissuta i Santi, è spettacolo che edifica e rapisce.

 

Eugenio Ceria

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